La risposta di Mosca all’operazione ucraina che il 1 giugno ha distrutto decine di bombardieri russi non si è fatta attendere. Tra il 5 e l’11 giugno l’esercito russo ha lanciato più di mille droni e decine di missili contro obiettivi civili nelle città ucraine. Tra i centri più colpiti ci sono Kiev (dove il 10 giugno è stata danneggiata la millenaria cattedrale di Santa Sofia), Cherson, Charkiv e Odessa. Nonostante la contraerea ucraina abbia abbattuto la maggior parte dei droni, gli attacchi russi hanno comunque provocato almeno venti morti e decine di feriti. Kiev ha risposto colpendo obiettivi strategici in diverse zone della Russia. Intanto, il 9 giugno è cominciato lo scambio di circa 2.400 prigionieri deciso da Kiev e Mosca nel breve summit di Istanbul della settimana precedente, lo stesso in cui la Russia aveva respinto la proposta di un cessate il fuoco di trenta giorni avanzata dagli ucraini per avviare negoziati più ampi. “Mentre si continua a combattere, l’attenzione resta concentrata sul campo di battaglia, ma il punto debole della Russia non è al fronte: è nelle finanze pubbliche”, scrive l’analista Wojciech Jakóbik sul sito ucraino Kyiv Independent. “I paesi occidentali, e in particolare gli Stati Uniti, dispongono delle leve economiche per spingere Vladimir Putin ad accettare negoziati seri o perfino per privarlo delle risorse necessarie a proseguire la guerra. La vera minaccia per la macchina bellica russa è infatti la fine dei profitti derivati dalla vendita di gas e petrolio, da cui l’economia russa è totalmente dipendente”. Negli ultimi mesi i prezzi del greggio sono calati e gli effetti per Mosca si sono già fatti sentire. “A questo punto, delle sanzioni severe e una strategia coordinata tra Washington e Bruxelles potrebbero davvero mettere in ginocchio l’economia russa”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati