Mohammed Bangora ha 31 anni, Mohammed Balde 25. Sono entrambi originari della Guinea-Bissau, uno dei dieci paesi più poveri del mondo. Anche se le loro vite per alcuni versi si somigliano, la probabilità che s’incontrassero era molto bassa. Eppure oggi sono inseparabili. Balde, carpentiere, era andato a Dakar, in Senegal, per cercare una vita migliore, un lavoro, una speranza. Bangora, acrobata, era emigrato in Gambia, un paese quasi interamente circondato dal Senegal, dove poteva guadagnarsi da vivere nelle feste di matrimonio e in altre cerimonie durante la stagione turistica. Si sono incontrati su una spiaggia di Dakar, mentre Bangora si esibiva insieme ad altri ragazzi. Balde è rimasto subito affascinato dallo spettacolo e ha chiesto se poteva imparare ed entrare nel gruppo. Da allora i due Mohammed si esibiscono insieme in numeri acrobatici.
È sulla spiaggia dove si allenavano che la tedesca Johanna-Maria Fritz, nata nel 1994, li ha fotografati come se fossero due fratelli siamesi uniti per la testa, mentre fissano l’obiettivo.
Fritz ha studiato alla Scuola di fotografia di Ostkreuz a Berlino e nel 2019 è entrata nell’agenzia Ostkreuz. Queste foto scattate in Senegal fanno parte di un ampio progetto – intitolato Like a bird, cominciato nel 2014 e durato cinque anni – dedicato a una realtà poco conosciuta del mondo islamico: il circo.
Viaggiando dall’Afghanistan alla Striscia di Gaza, dall’Iran al Senegal, Fritz ha raccontato un aspetto meno seguito dai mezzi d’informazione (come fa di solito nei suoi lavori) che riguarda paesi spesso colpiti da conflitti e guidati da rigidi princìpi morali e religiosi. “Per me il circo rappresenta la libertà. Nel circo la religione, il colore della pelle, la nazionalità non hanno alcuna importanza. La coesione di queste comunità mi ha sempre ispirato”. Fritz, che fa foto dall’età di sette anni, quando sua nonna le regalò la prima macchina fotografica, si è appassionata al circo presto. A 17 anni ha cominciato a fotografare un piccolo circo della Germania Est, il Zirkus Rolandos, che oggi non esiste più. Ma l’universo circense l’ha così sedotta che ha deciso di proseguire con il Sirkus Islands, in Islanda.
Frequentando i lavoratori del circo, Fritz si è resa conto che la maggior parte di loro sceglie questa strada perché cerca “un’alternativa per sfuggire al mondo materiale e può crearsi un diverso tipo di famiglia attraverso una collettività”.
Usando sempre il formato quadrato, in composizioni attente dai colori delicati, bagnate dalla luce naturale, Fritz costruisce il suo progetto combinando due approcci diversi. Da un lato dei ritratti frontali, più o meno distanti a seconda della volontà di attirare l’attenzione sull’espressione o di valorizzare i costumi e gli accessori; dall’altro delle istantanee scattate durante le prove o gli spettacoli.
Oggi le immagini di reportage in formato quadrato, caratterizzate da composizioni equilibrate, che erano alla base della fotografia negli anni cinquanta e sessanta, sono state sostituite da quelle di medio formato, rettangolari, usate nella fotografia documentaria. Fritz si definisce comunque una documentarista, ma lo fa con un approccio libero. È flessibile a livello formale e riesce a mettere in risalto la singolarità e l’esemplarità delle situazioni.
Anche se sa cogliere scene particolari, come un veicolo carico di combattenti di Hamas che a Gaza incrocia un giocoliere sui trampoli con i suoi vestiti colorati, la fotografa non cerca l’aneddoto, come testimoniano i suoi appunti: “Fuori dai sentieri battuti, solo deserto a perdita d’occhio, la guerra, la sofferenza. Una situazione inimmaginabile. Improvvisamente appare un ragazzo sui trampoli. Il suo vestito di seta brilla. Un contrasto incredibile con i palazzi polverosi dietro di lui. Questo ragazzo trasmette forza, orgoglio, libertà. Nessuna serietà nel suo sguardo, ride, si diverte. Il camion dei combattenti carico di kalashnikov sembra ridicolo e fuori luogo quanto l’idea di camminare su dei trampoli di legno in quella che è chiamata la più grande prigione del mondo, la Striscia di Gaza”.
Fritz s’interessa prima di tutto alla dimensione sociale, e spesso di resistenza, dell’attività circense. “In Iran ho seguito un circo di famiglia tradizionale. Il fondatore Khalil Oghab, chiamato Ercole di Persia, aveva lavorato nei bazar e nei circhi in Iran prima di trasferirsi in Italia e nel Regno Unito. Nel 1993 è tornato in Iran con più di trenta camion pieni di animali e di artisti per aprire un circo, subito dopo la rivoluzione e la guerra. Da allora molti artisti locali e internazionali ci hanno lavorato. Tranne le donne, perché in Iran c’è una legge che vieta alle donne di esibirsi davanti al pubblico. Però la moglie di uno degli artisti si allenava tutte le sere per andare a lavorare con il marito in un circo turco. Ora il circo di Khalil Oghab offre spettacoli la mattina e la sera. Quelli della mattina sono per gli studenti. Le femmine sono ovviamente separate dai maschi. I ragazzi sono seduti tranquilli e timidi sulle loro sedie, mentre le ragazze ballano e gridano. E nessuno dice niente, una cosa incredibile”.
Il paese più sorprendente è probabilmente l’Afghanistan, dove Fritz è stata almeno una decina di volte: “Solo una piccola parte della società lavora nel circo. Ma per esempio questa attività dà ai bambini dei campi profughi la possibilità di andare a scuola. Vengono presi, portati a scuola e poi al circo. Il Mobile mini-circus for children è stato creato a Kabul nel 2002, dopo la caduta dei taliban. Questo piccolo circo itinerante ha offerto corsi gratuiti a circa tre milioni di bambini in venticinque province. La compagnia è composta da volontari locali e stranieri. La scuola ha 120 studenti fissi, ragazzi e ragazze. Tutti fanno il trampolino e leggono libri”.
In una fotografia del 2016 tre ragazzini seduti guardano due ragazze che li dominano dall’alto dei loro trampoli e si preparano a far volteggiare i loro birilli. Ma purtroppo tutto questo succedeva tempo fa. ◆ adr
**In alto, da sinistra: Khalil, 25 anni, si esibisce a Wachi, Daghestan, Russia, 2018. Khalil e suo padre insegnano funambolismo in una scuola a Machačkala, Russia; Mohamed Abu Saka nella sua casa a Bir Zeit, Cisgiordania, 2015. Ha passato due anni in un carcere israeliano senza un’accusa precisa. Insegnava nella scuola circense di Ramallah. **
**Sotto, da sinistra: Aminka, 13 anni, durante una lezione di funambolismo, Daghestan, 2018; Sarno, 18 anni, si allena nel cortile della scuola a Yogyakarta, Indonesia, 2019. **
◆Il progetto Like a bird _di Johanna-Maria Fritz è in mostra alla galleria Anne Clergue di Arles, in Francia, fino al 26 settembre. Le foto sono state raccolte nel libro _Circus (con testi in inglese e in arabo) pubblicato dalla casa editrice L’Artiere. In Italia uscirà alla fine di settembre.
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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati