Ecco è una domanda che il confinamento generale ci dà occasione di approfondire: chi siamo noi, una volta liberati dei vincoli sociali più comuni, dei ruoli che gli altri ci chiedono d’impersonare? Camille Tazieff non ha bisogno di una pandemia per chiederselo; a un certo punto s’impone da sola una “quarantena” di due settimane, quando decide che non tornerà alla galleria d’arte dove lavora. Un lavoro mal pagato, che consiste nel fare un inventario degli oggetti, dipinti, sculture che si trovano nella cantina della galleria. Camille riesce a sopportarlo solo sabotando silenziosamente la sua missione. Ribellarsi apertamente non sarebbe nel suo stile. Erede dello scrivano Bartleby di Herman Melville, l’eroina della Figurante oppone una resistenza tanto netta quanto passiva alla società, alle sue ingiunzioni, ai ruoli che a trent’anni avrebbe dovuto accettare di interpretare con convinzione, fino a farne il tessuto stesso della sua esistenza. La distanza di Camille dal mondo e la sua fantasia flemmatica irrigano il quarto romanzo di Pauline Klein. La scrittrice si addentra con acutezza nei “travestimenti” che accettiamo o meno d’indossare, nella frenetica ossessione di dare un senso alla nostra vita. Raphaëlle Leyris, Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1399 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati