Arriverà il momento in cui emergeremo dall’ombra che il covid-19 ha gettato sulle nostre vite e scopriremo come sono cambiati i luoghi in cui viviamo e lavoriamo? Per le variegate conseguenze della pandemia, e il fatto che la sua fine sarà graduale, è probabile che anche gli effetti ci colpiranno un po’ alla volta: un negozio chiuso qui, un ristorante con l’ingresso sbarrato lì, un marciapiede vuoto o un edificio abbandonato dove un tempo c’erano persone e vita. I centri storici e le strade commerciali si stavano già trasformando, un modo gentile per dire che con l’aumento degli acquisti online molti erano in difficoltà. L’annuncio che Cine­world chiuderà per il momento i suoi 127 cinema nel Regno Unito – e più di cinquecento negli Stati Uniti – è un segnale cupo. Nel Regno Unito 5.500 lavoratori del settore perderanno l’impiego, oltre a migliaia di addetti alle pulizie. Per anni le persone che si battevano per il recupero dei centri storici hanno sostenuto che gli operatori dell’intrattenimento come Cineworld erano i logici eredi di spazi di cui i rivenditori al dettaglio non avevano più bisogno. Le esperienze avrebbero preso il posto degli oggetti, dato che le persone avrebbero speso di più per fare cose (mangiare, giocare a bowling, assistere a eventi) e meno per comprarle.

La salute delle organizzazioni e delle aziende (pubbliche o private) che offrono un servizio e accolgono le persone è di grandissima importanza per chi ci lavora. Ma lo è anche per tutti noi. Svuotando gli spazi – negozi, cinema, mercati all’aperto – che condividevamo, e costringendoci a trascorrere più tempo a casa, la pandemia ci ha reso meno pubblici e più privati. Mettere fine a questo momento antisociale e reclamare un mondo esterno fatto anche di film, amici e divertimento è più urgente che mai.

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Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati