Il 10 novembre la corte d’appello di Parigi ha scarcerato l’ex presidente Nicolas Sarkozy, che era entrato in prigione il 21 ottobre dopo essere stato condannato a cinque anni di reclusione nel caso dei finanziamenti libici, e l’ha posto sotto controllo giudiziario, vietandogli in particolare di entrare in contatto con il ministro della giustizia Gérald Darmanin.

Poche ore prima la procura generale aveva chiesto il rilascio dall’ex presidente (2007-2012) in attesa del processo d’appello, che dovrebbe cominciare nel marzo 2026.

Sarkozy, 70 anni, ha partecipato all’udienza in videoconferenza dalla prigione della Santé, nel sud della capitale.

“La prigione è dura, molto dura. È davvero logorante. Immagino che sia così per tutti i detenuti”, ha affermato.

La corte ha stabilito che Sarkozy non potrà lasciare il territorio francese.

Inoltre, gli ha vietato di entrare in contatto, in qualsiasi modo, sia con ex funzionari libici sia con alti funzionari della giustizia francese, e in particolare con Darmanin, constatando la sua “capacità di attivare vari servizi dello stato in qualità di ex presidente”.

Il 29 ottobre Sarkozy, 70 anni, era stato visitato in prigione da Darmanin, un incontro che aveva suscitato molte critiche, soprattutto della magistratura. In una rara presa di posizione, il più alto procuratore di Francia, Rémy Heitz, aveva affermato che l’incontro avrebbe potuto “minare la serenità dei magistrati e quindi l’indipendenza della magistratura” in vista del processo d’appello.

Contattato dall’Afp, l’entourage di Darmanin ha assicurato che “il ministro rispetta sempre le decisioni della giustizia”.

“La scarcerazione di Sarkozy è solo la prima tappa”, ha dichiarato alla stampa Christophe Ingrain, l’avvocato dell’ex presidente.

Associazione a delinquere

Il 25 settembre Sarkozy era stato condannato a cinque anni di prigione per associazione a delinquere nel caso dei finanziamenti dell’ex leader libico Muammar Gheddafi alla sua campagna elettorale per le presidenziali del 2007.

In particolare, era stato riconosciuto colpevole di “aver permesso ai suoi stretti collaboratori e sostenitori politici, sui quali aveva autorità”, di contattare le autorità libiche “al fine di ottenere o cercare di ottenere sostegno finanziario” alla sua campagna elettorale.

Secondo la procura, in cambio dei finanziamenti, che non si erano concretizzati, l’ex presidente avrebbe favorito il ritorno sulla scena internazionale della Libia e rinunciato a perseguire il cognato di Gheddafi, Abdullah Senussi, condannato all’ergastolo in contumacia per il suo ruolo nell’attentato al Dc-10 dell’Uta che aveva causato la morte di 170 persone nel 1989.

Sarkozy, che si è sempre proclamato innocente, aveva invece attribuito le accuse contro di lui a un complotto ordito dal clan Gheddafi per vendicarsi del suo ruolo determinante nella caduta del dittatore nel 2011.