Il 2 ottobre le autorità dello stato dell’Azad Kashmir, nel nord del Pakistan, hanno annunciato che nove persone sono morte tra il 29 settembre e il 1 ottobre nelle violenze scoppiate durante un’ondata di proteste contro i privilegi della classe dirigente.

Secondo un comunicato ufficiale, le vittime sono sei manifestanti e tre poliziotti, mentre più di duecento persone sono rimaste ferite.

A partire dal 29 settembre migliaia di persone sono scese in piazza nel capoluogo Muzaffarabad, chiedendo tra le altre cose la revoca delle forniture elettriche gratuite e delle auto di servizio per i politici locali.

Le forze di sicurezza hanno sparato lacrimogeni contro i manifestanti, mentre le autorità hanno sospeso internet e sottoposto a forti pressioni i mezzi d’informazione locali.

“I politici si comportano come gangster che dominano le nostre vite. Chiediamo l’abolizione dei loro privilegi”, ha dichiarato Asad Tabbasum, un manifestante di 51 anni.

L’Azad Kashmir fa parte della grande regione del Kashmir, rivendicata sia dal Pakistan sia dall’India dai tempi dell’indipendenza.

Il ministro dell’interno pachistano Mohsin Naqvi ha affermato in un comunicato che “alcuni miscredenti, istigati dal nemico, stanno cercando di destabilizzare l’Azad Kashmir”.

Solitamente il termine “nemico” è usato dalle autorità in riferimento all’India.

“Uso eccessivo della forza”

Le manifestazioni sono state indette dall’organizzazione per i diritti umani Awami action committee (Acc).

Shaukat Nawaz, uno dei leader del movimento, ha accusato la polizia di aver aperto il fuoco contro la folla usando proiettili veri.

Il 2 ottobre l’ong Amnesty international ha chiesto in un comunicato “un’inchiesta imparziale e trasparente” sulle violenze, denunciando “un uso eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza”.

L’ong ha inoltre sottolineato che il blocco di internet alimenta la disinformazione e il panico tra gli abitanti.