17 settembre 2018 10:02

In fondo a un lungo corridoio pieno di sole e rumore, Victor ha trovato un’aula vuota e silenziosa dove possiamo parlare. È un ragazzo di origine nigeriana, ha diciassette anni, i capelli crespi e un piccolo ciondolo al collo. Siamo al terzo piano della sua scuola, un istituto tecnico di Bologna. “Dal porno ho imparato che ognuno è padrone del proprio corpo e può farci quello che gli pare”, racconta. Victor non ne guarda molto, e sorridendo esclude che gli possano capitare situazioni come quelle viste in certi video – “tipo ritrovarsi a consegnare una pizza e finire a letto con una ragazza” – ma ammette: “Grazie alla pornografia ho imparato le posizioni. E ho capito come approcciarmi a una tipa che non conosco”. Dice di pensare spesso alle immagini delle ragazze che vede sui social network – e a come costruire e comunicare la sua, sempre in competizione con gli altri.

“Per molti di noi è così. Questa cosa ci sta sovrastando”. Victor usa Instagram per contattare molte sue coetanee. “Con le foto che postano, le ragazze vogliono farsi conoscere e far parlare di loro in giro. Vogliono che si dica: ‘Guarda che gran culo ha questa’. Ormai di una tipa, prima di tutto, guardiamo quello”. Anche lui usa Instagram per farsi conoscere. “È una specie di ossessione. Passiamo molto tempo a guardare e a commentare le foto”.

Victor è uno dei tanti ragazzi e ragazze con cui parlo prima che la scuola finisca, un giorno caldo che anticipa l’estate, per capire quanto c’è di vero, di verosimile e di immaginato – o di proiettato – nella visione che hanno gli adulti della sessualità degli adolescenti, e del loro approccio al porno.

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Se ne parla tanto sui giornali e in tv – spesso con toni moralisti e giudizi severi – e ogni tanto è pubblicato qualche studio che fa discutere. Uno degli ultimi è uscito nel 2016 sulla rivista Archives of Sexual Behavior ed è stato molto ripreso sui mezzi di informazione. È una ricerca condotta negli Stati Uniti che ha coinvolto 30mila persone, ma è stata usata come metro universale per misurare la sessualità dei giovani in tutto il mondo – o per lo meno in occidente. Il risultato è stato riassunto sempre più o meno così: i millennials, cioè i nati negli anni ottanta e novanta, fanno meno sesso rispetto alle generazioni precedenti.

Nello specifico, solo il 44 per cento delle adolescenti ha dichiarato di aver fatto sesso, mentre 25 anni fa la percentuale era del 58. Oggi gli adolescenti che lo hanno fatto sono il 47 per cento, contro il 69 di 25 anni fa. I motivi sarebbero i più diversi: è colpa della tecnologia e dei social network, delle serie tv, della pornografia, del fatto che si va via di casa sempre più tardi.

Ma è davvero così? Non sarà che queste conclusioni, come scrive Maïa Mazaurette su Le Monde, sono influenzate dal fatto che a tirarle sono troppo spesso adulti che hanno una visione ben precisa del sesso, e che magari questa visione non rispecchia quella che hanno gli adolescenti? È per questo che ho chiesto a loro di raccontare le loro esperienze con la pornografia e la sessualità, e l’idea che se ne sono fatti, senza filtri. Per sentirsi più liberi, mi hanno chiesto di evitare di citare i loro nomi, per questo quelli usati sono di fantasia.

Nuove idee
Marko e Lavinia sono compagni di banco e frequentano una terza superiore. Stanno insieme da un anno. Lui è un ragazzo alto dalle spalle larghe, di origine moldava, lei una ragazza bionda con gli occhi chiari. Raccontano di guardare insieme i video porno. “Ci danno spunti, nuove idee. Vedi una cosa, la provi, magari ti piace. Ci scappa da ridere quando guardiamo certe scene, però in generale ci eccitiamo”.

Tuttavia, concordano che “il porno è squilibrato, è sempre l’uomo che comanda, che domina la donna”. Gli chiedo se nelle loro famiglie parlano di sesso. Lavinia si confronta liberamente, Marko no. “Mia madre, come tante donne nate e cresciute in Moldavia, è più severa riguardo a certe cose. Non parliamo apertamente di argomenti come la droga o il sesso. Mai. Piuttosto chiacchiero con il suo nuovo compagno, che è italiano. Lui è più aperto”.

Jacob, 2010. (Evan Baden)

Diverso è anche il modo in cui si confrontano con i coetanei. “Con le mie amiche ne parlo”, dice Lavinia, “con i maschi, invece, preferisco evitare. Se parli di sesso così, in libertà, molti ti reputano una troia”. “Se ho una relazione stabile, preferisco non dire ai miei amici cosa faccio con la mia ragazza”, dice Marko, “se invece è una storia occasionale sì, dico com’è stato”.

Insicurezze e fragilità
Torno nella stessa scuola una settimana dopo. È il giorno dell’assemblea d’istituto. In palestra c’è un incontro sulla politica internazionale organizzato dagli studenti. In sala lettura, una sessuologa dell’azienda sanitaria locale (asl) sta parlando a un gruppo di ragazzi, chiedendogli se consumano pornografia attraverso riviste cartacee o su internet. I ragazzi, annoiati da domande del genere, rispondono un po’ controvoglia.

Faccio un giro e conosco Tommaso, un ragazzo del terzo anno alto e magro, con un po’ di lentiggini chiare sul viso. Come tanti, Tommaso guarda i porno da solo. Ha cominciato presto: “Avevo dodici anni”, dice, “ma per due anni non mi sono mai masturbato. Ero curioso di sapere cosa succede tra un uomo e una donna quando decidono di fare sesso. Ho imparato molte cose che la generazione dei miei genitori ha imparato attraverso l’esperienza diretta. Chiaro che, rispetto a quello che vedo sullo schermo, la realtà è più complicata”.

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Parliamo delle insicurezze e delle fragilità che caratterizzano i primi rapporti sessuali, e Tommaso racconta un paio di episodi che l’hanno colpito. “Mi è capitato di frequentare una ragazza che fingeva. Non stavamo facendo nulla di particolare, ma lei mi trattava come se fossi Rocco Siffredi. Anch’io ogni tanto fingo, ci sta, ma quella volta mi ha dato fastidio. Guardando i porno ho imparato a riconoscere chi finge. Scoprirlo quella volta non mi è piaciuto, sembrava che si prendesse gioco di me. Già me la immaginavo a sfottermi con le sue amiche”.

Non è stato un caso isolato: “Prima di cominciare a toccarci un’altra ragazza mi ha detto che le piace fingere, enfatizzare il momento. In quel caso non mi sono fatto problemi, perché me l’aveva detto prima”. Tommaso mi saluta, ha un appuntamento con una ragazza vicino alla palestra. “Andiamo a fare un po’ di sana pornografia”, scherza.

Al di là del piacere
Dopo Tommaso, raggiungo Halima, una ragazza marocchina dai lunghi capelli neri di diciassette anni, nata in Italia. Mi aspetta a un tavolo del bar della scuola. È truccata, al collo porta una catenina d’oro con scritto il suo nome. Non guarda porno perché dice di non avere troppo tempo e perché non le interessa tanto.

Le chiedo che rapporto ha con la sua sessualità. “Mi sono data un limite. Ci sta conoscersi, andare avanti, avere una relazione. Quando però l’altro pretende di andare a letto io mi fermo”. Halima dice di essere d’accordo con i genitori di fede musulmana sul fatto che bisogna arrivare vergini al matrimonio, ma non condivide altri limiti: “Più avanti, se trovassi la persona giusta potrei pensare di avere rapporti sessuali prima di sposarmi. Invece, non sopporto che mi venga proibito di vestirmi in un certo modo, di andare a ballare. Per questo spesso mi sono scontrata con i miei. Essendo nata e cresciuta in Italia ho un’altra mentalità rispetto a loro”.

Al tavolo ci raggiunge Doha, anche lei figlia di marocchini. Ha un vestito a fiori, i capelli raccolti in trecce, gli occhi grandi e scuri. Anche la sua famiglia, dice, vorrebbe che arrivasse vergine al matrimonio. Ma come Halima, non è molto d’accordo: “Per me il sesso è un legame che deve durare nel tempo”, dice, “qualcosa che va al di là del piacere e dell’attrazione fisica, qualcosa di molto più profondo tra due persone”.

Secondo Doha, che va in moschea solo durante il Ramadan, la pornografia trasmette una visione violenta del rapporto tra due persone, soprattutto dal punto di vista fisico: “Quello che penso del sesso non corrisponde a quello che vedo nei porno, né con quello che vedo intorno a me. Vorrei che tutto fosse molto più calmo, rispettoso. Non sempre ‘una botta e via’”.

Pubblicare i video online
Giovanni e Bledar, entrambi al terzo anno, ammettono di essere stati molto influenzati dalla pornografia. Bledar, di origine albanese, capelli biondi e orecchino al lobo sinistro, i baffi tagliati corti, spiega che ha cominciato a guardare porno a tredici anni: “Nei miei primi rapporti mi sembrava di essere dentro un film, mi muovevo come un attore. Adesso non più”.

Giovanni, capelli pettinati all’indietro e maglietta verde, aggiunge: “È inevitabile, se prima di avere esperienze guardi solo quello un po’ ti condiziona. Il sesso però è qualcosa che dev’essere naturale, non meccanico come si vede nei porno”.

Chiedo ai due ragazzi cosa pensano di chi pubblica sul web i video dei propri rapporti sessuali, se loro lo farebbero. Bledar vorrebbe provare a fare l’attore in un film hard, ma non gli piace l’idea di riprendersi mentre fa l’amore con la fidanzata. Giovanni la pensa diversamente: “Dipende. Se fosse la mia ragazza non vorrei che tutti la vedessero. Se è una persona con cui esco di tanto in tanto, lo farei. E con il suo consenso pubblicherei il video”.

I social network
A scuola parlo anche con Nicolò, un ragazzo di 17 anni con l’orecchino e i capelli rasati: “Credo che la pornografia sia un primo passo per entrare in un mondo che non conosci. E più vai avanti, più capisci”. Nicolò, che finora ha avuto solo storie brevi, ha però dei dubbi sul modo in cui molte sue compagne si raccontano: “Molte ormai usano Instagram come una carta d’identità, anche se, spesso, le foto spinte che pubblicano non coincidono con quello che sono veramente. Eppure, farsi vedere in quel modo sta diventando la normalità”.

Tutte le ragazze e i ragazzi con cui parlo sottolineano l’importanza che hanno i social network nelle loro relazioni. Condividere immagini ammiccanti, per lo più selfie, ha un posto di assoluto rilievo nella costruzione della propria identità. E cambia il rapporto con il proprio corpo.

“È cambiato il modo di viverlo e di rappresentarlo”, dice Marco Scarcelli, professore di sociologia dei media all’università di Venezia, “e sta cambiando l’idea di cosa intendiamo per ‘intimo’. I confini tra pubblico e privato, ormai, sono molto più labili che in passato”.

Helen, 2010. (Evan Baden)

Secondo Scarcelli, che nei suoi studi si occupa del rapporto tra tecnologie digitali e sessualità, la pubblicazione di foto sui social network – soprattutto su Instagram – risponde a una logica molto semplice: “Difficilmente speriamo di raggiungere un pubblico indefinito. Parliamo anzitutto ai nostri pari, a persone che conosciamo o con cui condividiamo uno spazio. Gli adulti stanno insegnando ai ragazzi che ‘bisogna piacere’. Loro, i ragazzi, hanno loro stessi, non molto altro, e provano a valorizzarsi con gli strumenti che possiedono. Spesso non è narcisismo, ma rafforzamento dell’identità”.

Uno specchio
Continuo a parlare di identità, sessualità, social network e pornografia con i ragazzi di un’altra scuola superiore di Bologna, in un parco pubblico a pochi passi dal portone di ingresso, tra ciliegi e castagni. Martina, diciotto anni, gonna e calze nere, la frangia sulla fronte, crede che un certo tipo di pornografia possa aiutare a esplorare parti di sé spesso ignorate. “I video che mostrano solo persone che fanno sesso li trovo piuttosto meccanici e freddi, mentre quelli in cui entrano in gioco oggetti, o pratiche come il bondage, sono molto interessanti”, dice. “Io sono piuttosto riservata, ho sempre avuto problemi ad accettare il mio corpo. Guardare porno da sola mi ha aiutato ad avere più consapevolezza. Ora nei rapporti mi sento più sicura”.

Alta, il piercing al naso che interrompe la delicatezza dei suoi tratti, le chiedo se riesce a dire facilmente al partner quali sono i suoi desideri sessuali. “È conoscendo te stesso che capisci cosa vuoi dall’altro, cosa desideri, cosa vuoi fare. Ma ammetto che non è semplice. Dovrei esprimermi un po’ di più quando faccio sesso, ma faccio fatica a dire quello che voglio”.

Lunghi capelli rasati ai lati, Veronica ha gli occhi verdi e un volto allegro. Prima di cominciare a parlare mi fa vedere i suoi disegni, che tiene in una cartella: c’è il volto della ragazza con cui sta ora, insieme ad autoritratti e disegni di persone viste sull’autobus. “Vedi?”, dice indicando i fogli, “di una persona cerco sempre il particolare, il dettaglio. È quello che mi attira”.

Veronica è bisessuale e ha cominciato a vedere porno quando aveva tredici anni. “Secondo me, quello che sei si riflette in quello che guardi. Aiuta a conoscere il tuo corpo”. Appassionata di manga e anime, all’inizio Veronica guardava hentai, porno animati giapponesi: “Sono video che hanno sempre una storia dietro e che, in molti casi, mostrano pratiche che mi hanno subito incuriosito”. Hentai, tra l’altro, è il secondo termine più cercato sul sito Pornhub nel 2017.

Racconta di essere intrigata dalla cosiddetta suspension, un tipo di bondage che prevede la sospensione del corpo con le corde: “L’ho scoperta grazie alla pornografia, e poi l’ho sperimentata”.

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Ultimamente guarda anche video in cui ci sono scene di sesso di gruppo, dove ci sono tanti uomini e una sola ragazza. Racconta di non immedesimarsi in lei, ma in uno degli uomini. “Mi piace vedere una donna in situazioni di quel tipo, è una cosa che mi attira sia dal punto di vista fisico sia da quello psicologico. Ovviamente, tutto deve essere fatto con il suo consenso. I video che guardo sono sempre preceduti da brevi interviste in cui l’attrice dice di essere maggiorenne e di essere d’accordo a girare scene di quel tipo”.

Per Veronica, i porno sono qualcosa da condividere in una relazione: “Con la mia ragazza, all’inizio, è saltato fuori l’argomento, avevamo questo interesse in comune. Guardare video insieme ci aiuta a capire cosa ci piace davvero”.

Veronica ha sempre tenuto separate pornografia e realtà, ma dice che nel suo caso la prima ha influenzato la seconda. “Guardare gli hentai ha fatto sì che dalle prime esperienze sessuali mi aspettassi molto di più, immaginavo cose diverse”, dice, “per questo una volta ho chiesto a un mio ex ragazzo di legarmi a letto. L’avevo visto in un video e mi ero detta ‘io voglio questo’”.

Maschilismo
Secondo Viola, diciotto anni, pantaloncini da basket e lunghi capelli castani, la pornografia comunica un messaggio maschilista: “Gli uomini pensano di avere il potere sulle donne. Ma non è così solo nel porno: pensa ai trapper. Sono anche peggio, forse. Nelle loro canzoni siamo trattate come oggetti”.

Secondo Cécile, una ragazza nera di 18 anni, la pornografia può influenzare una relazione: “Credo che guardare spesso pornografia possa causare una specie di chiusura mentale. Rischi di costruire un mondo tutto tuo, basato sulle leggi del porno”.

Cécile guarda video hard da quando ha nove anni – li guardavano i fratelli più grandi, e lei ha cominciato così. Ha avuto una storia con una persona che a letto si aspettava che tutto andasse come nei film.

“Vedeva tutto dal suo punto di vista, non lasciava spazio ai miei desideri. Quando magari chiedevo qualcosa che mi piaceva, si fermava. Mi guardava storto”.

L’educazione sessuale che non c’è
Parlando con ragazze e ragazzi, si capisce che la pornografia ha riempito in fretta un vuoto. Questo vuoto si chiama educazione sessuale. In Italia, ogni scuola decide quante ore dedicarvi. L’Emilia Romagna è l’unica regione in cui esiste un progetto a livello regionale. Si chiama W l’amore e coinvolge più di quaranta scuole medie. Il modello è Long Live Love, nato nei Paesi Bassi più di venti anni fa.

In un ciclo di cinque lezioni, tenute lungo tutto l’anno, si parla dei cambiamenti legati all’adolescenza, di diritti sessuali, di identità di genere, di sentimenti, di “prime volte”, di violenza, di amore e di sesso. Come in altri progetti in Italia si parla molto di orientamento sessuale e di prevenzione di gravidanze indesiderate, meno di pornografia su internet.

“Molti dirigenti scolastici non vogliono trattare argomenti di questo tipo per paura delle reazioni dei genitori”, dice Marco Scarcelli. “Prevale l’istinto di protezione, l’idea per cui la pornografia non deve occupare spazi di discussione pubblica. Un’idea che però cozza con la realtà, perché l’oggetto della discussione si trova in rete, ed è accessibile a tutti”.

Secondo Scarcelli dire che la pornografia e l’esposizione continua a immagini “spinte” hanno cambiato la sessualità di ragazze e ragazzi è un grave errore: “Casomai, influenzano il rapporto tra i generi. Tutto rischia di diventare più diretto e meno rispettoso, soprattutto tra chi è meno istruito”. Secondo il professore, un effetto paradossale della diffusione della pornografia su internet è che non ha creato nessun dibattito pubblico serio sulla sessualità: “In generale si parla di sesso ancora con un atteggiamento voyeuristico, oppure solo in termini negativi”.

Anche per tanti giovani, il sesso resta un argomento difficile da affrontare. Eleonora, che frequenta il quarto anno del liceo artistico, è una ragazza minuta con i capelli corti neri e una voce calma. Dice: “Non se ne parla con facilità, neanche con i propri partner. Io credo che sia una questione di fiducia: se mi fido della persona che ho accanto posso dire quello che penso ed essere accettata per quello che voglio fare con lei a letto”.

Olmo, un ragazzo di diciotto anni con i capelli biondi raccolti in una coda, la barba accennata, dà voce a molti dei dubbi e dei pudori delle ragazze e dei ragazzi che ho incontrato. Riconosce alla pornografia una certa utilità, se non altro per capire la “meccanica” dei rapporti sessuali, ma dice che tutto deve però essere riportato alla vita reale: “Non mi sono mai fatto guidare dalle performance degli attori. Il sesso è un divertimento, non qualcosa da usare per mostrare cosa sai fare o potresti saper fare”.

Le foto di questo articolo fanno parte della serie Technically intimate del fotografo Evan Baden. Per questo lavoro Baden ha chiesto ad alcuni attori e attrici di posare per ricostruire scene ispirate a foto trovate online. (Evan Baden)

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