Anche se al cinema ci vanno sempre in pochi e nonostante siamo arrivati al momento del massimo rallentamento prima del buco di agosto, da qui alla fine di luglio usciranno ancora alcuni titoli che, se non altro, stimolano un po’ di curiosità.
Cominciamo da Superman. Quello già in sala in questi giorni è un reboot, quindi si riparte dal principio: ci sono Superman/Clark Kent (David Corenswet, visto in Twisters e nella miniserie Netflix Hollywood), Lois Lane (Rachel Brosnahan, brillante protagonista di La fantastica signora Maisel), l’arcinemico Lex Luthor (Nicholas Hoult) e addirittura Jor-El, il padre di Superman che nel classico di Richar Donner del 1978 era interpretato nientemeno che da Marlon Brando, mentre qui abbiamo Bradley Cooper. Per la regia i Dc Studios (casa di produzione appena nata con la benedizione della Warner Bros) si sono affidati a James Gunn, il re Mida che a suo tempo ha trasformato I guardiani della galassia (Marvel) in una miniera d’oro. Difficile immaginare qualcosa di davvero nuovo per le avventure del kryptoniano caduto sulla Terra, ma quello che importa è “l’aggiornamento” del messaggio. Vedremo.
Un altro grandissimo classico dei fumetti dei supereroi, stavolta sponda Marvel, sono I Fantastici Quattro (i miei preferiti, da bambino, insieme a L’Uomo Ragno). Qui forse potrebbe sembrare indelicato parlare di reboot, visto che i precedenti tentativi di portare al cinema i personaggi creati nel 1961 da Stan Lee e Jack Kirby sono stati fallimentari. Forse per questo (e magari anche per invertire una certa tendenza al flop), il cast di I Fantastici Quattro. Gli inizi è di grande richiamo: Pedro Pascal, Vanessa Kirby, Ebon Moss-Bachrach (The Bear) e Joseph Quinn (Il gladiatore 2), nei ruoli rispettivamente di Reed Richards/Mister Fantastic, Susan Storm/la Donna Invisibile, Ben Grimm/La Cosa e Johnny Storm/La Torcia umana. Completano la squadra Julia Garner (Silver Surfer) e l’ineffabile Paul Walter Hauser (L’uomo talpa). Almeno per gli amanti dei fumetti sembra sensata l’ambientazione “vintage”, ovvero retro-futuristica, ispirata agli anni sessanta. Il film uscirà il 23 luglio.
Il 19 luglio esce invece El jockey di Luis Ortega, una delle più intriganti proposte del concorso veneziano del 2024. Di ritorno dalla 81esima edizione della Mostra del cinema ho scritto: “Remo Manfredini (Nahuel Pérez Byscayart) è un fantino leggendario che non vince più, perso tra droghe e alcol. Il suo capo (un criminale) gli sta addosso, e a rimetterlo in sella non basta l’amore della fidanzata Abril (Úrsula Corberó, potentissima), anche lei fantina. Dalla trama potrebbe sembrare un thriller sportivo, ma come rende evidente la ‘seconda vita’ di Remo, El jockey sfugge a ogni etichetta di genere”. Lo so, non ci si capisce molto, ma il film è davvero interessante.
In Una sconosciuta a Tunisi di Mehdi Barsaoui, la trentenne Aya sopravvive a un incidente stradale, ma la sua famiglia la crede morta. Per lei è un’occasione imperdibile di lasciare l’angusta cittadina nel sud della Tunisia e rifarsi una vita nella capitale. Probabilmente però la società tunisina non si è evoluta come si poteva sperare dopo le primavere arabe. Il film prende una piega thriller che sembra un po’ forzata ma, leggiamo su Télérama, “la forza innegabile del film è nella ricerca d’indipendenza di Aya, sostenuta dall’interpretazione di una fantastica Fatma Sfar”. In sala il 24 luglio.
Sempre il 24 luglio arriva un nuovo esperimento del sommo Steven Soderbergh. In Presence la famiglia Payne si trasferisce in una nuova casa in cui alberga una misteriosa presenza. I vari componenti della famiglia non ci mettono molto a percepirla, ma reagiscono diversamente. Chi è questo poltergeist? È cattivo o benevolo? Il film dura 85 minuti ed è realizzato interamente in soggettiva. Indovinate di chi è il punto di vista scelto dal regista? La sceneggiatura di David Koepp intreccia sovrannaturale e dramma familiare, un’accoppiata che spesso funziona bene.
Proprio alla fine del mese (30 luglio) arriva una delle proposte più curiose ma anche, per certi versi, inquietante: Una pallottola spuntata. Ebbene sì, Akiva Schaffer ha realizzato un sequel (remake? reboot?) del cult demenziale con Leslie Nielsen nei panni di Frank Derbin. Forse uno dei motivi di maggiore interesse (ma anche il dettaglio che trovo più inquietante) è che a riprendere quel personaggio, interpretando Frank Derbin Jr. (il figlio) è stato chiamato il presidente onorario di tutti gli old guys di Hollywood: Liam Neeson. Accanto a lui Pamela Anderson che dopo il successo di The last showgirl passa comprensibilmente a incassare qualche ricco assegno. Nel cast anche l’impareggiabile Paul Walter Hauser.
Per concludere un film già in sala. Shayda è il titolo del film della regista iraniana-australiana Noora Niasari ed è anche il nome della protagonista, una donna iraniana che vive insieme alla figlia di una decina d’anni in un rifugio per donne vittime di violenza in Australia. Il rifugio è un luogo difficile ma Shayda si preoccupa soprattutto della serenità della figlia. Poi però riaffiorano i traumi e le violenze subite dal marito Hossein, uno studente di medicina, da cui Shayda vuole divorziare, mentre lui dopo la laurea punta a tornare in Iran dove la donna perderebbe la custodia della figlia. La paranoia, la paura di quello che potrebbe fare Hossein se scoprisse dove sono la moglie e la figlia sono una costante per Shayda. E ovviamente Hossein a un certo punto arriverà.
Shayda, ispirato alla vita della madre della regista, è il primo film di finzione di Niasari e soprattutto all’inizio è evidente la sua formazione da documentarista. Poi però s’impongono l’intensità e la gamma espressiva della protagonista, Zar Amir Ebrahimi, attrice fantastica che abbiamo già visto nel bellissimo Holy spider di Ali Abbasi e più recentemente nel thriller francese Sopravvissuti al fianco di Denis Ménochet. Sulle conseguenze e sulla violenza del patriarcato in Iran abbiamo ricevuto mazzate peggiori, come lo stesso Holy spider o anche Il seme del fico sacro, ma la storia di Shayda aggiunge dettagli su cosa sono costrette a subire le donne iraniane, in questo caso anche fuori del loro paese.
Questo testo è tratto dalla newsletter Schermi.
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