Siete degli scrittori alle prime armi? È la prima volta che raccontate agli altri la trama del vostro libro? Allora sappiate che troverete le critiche incredibilmente dolorose. Abituatevi: la vita di uno scrittore è fatta di stroncature.

Di buono c’è che, se qualcuno vi fa le pulci quando siete ancora agli inizi, avrete la possibilità di correggere i vostri errori prima di mandare all’aria ogni chance di essere pubblicati. Se avete una buona idea per un libro, non sprecatela spedendo in giro una bozza non corretta solo perché non ne potete più di vedervela sotto gli occhi.

Detto ciò, sono stata molto colpita dalla qualità dei testi che mi avete mandato. Quando vi ho chiesto di spedirmi i vostri brani preferiti, temevo che avreste scelto quelli più ornati o fioriti. Invece i testi che ho ricevuto erano relativamente poco “iperscritti”.

Molti hanno mandato frasi che devono per forza preludere ad altro, per esempio queste di Vivie: “Non c’è molto da fare una volta che il desiderio ti afferra… Quando lo incontrai, stavo giusto pensando quanto mi mancasse l’odore di un uomo, quell’aroma forte di tabacco, sapone profumato e sudore”.

Tallulah Long scrive: “Sette giorni dopo la morte di mia figlia, mi sorpresi sul molo di Brighton a fissare il volto viscido di una donna che mi stava leggendo la mano”. Con un incipit del genere è difficile dare un parere critico: più che altro vorrei sapere come continua.

Per mettere davvero alla prova le capacità critiche ci vogliono brani più lunghi, per esempio quello di PJ Lazar, che comincia così: “Una notte d’autunno, al chiaro di luna, m’inoltrai nel bosco”.

Molti lettori del sito ne hanno apprezzato la vena lirica, ma c’è chi ha fatto giustamente notare che forse un brano simile non funziona in un romanzo, a meno che non faccia parte del prologo. In un prologo si può inserire un dettaglio o una domanda come una sorta di “antipasto”, senza un rapporto immediato con la trama. Ma poi anche questi elementi devono dimostrarsi utili per lo scioglimento finale.

Vi ho dato questo esercizio non solo per incoraggiarvi a esporre agli altri ciò su cui state lavorando. Volevo anche sollecitare il vostro spirito critico, che si mette in moto automaticamente nel momento in cui scegliete il brano preferito. Perché vi sembra che proprio quel paragrafo possa dare un’idea significativa del romanzo che state scrivendo?

E di cosa c’è bisogno per portare il resto allo stesso livello? A volte capita che ci piaccia un’intera parte del nostro libro solo per una singola scena: il riscatto di un personaggio, per esempio. Ma spesso sappiamo che c’è dell’altro: il brano che amiamo di più non solo è ben scritto, è anche autentico dal punto di vista delle emozioni.

Allo stesso modo, di solito sappiamo benissimo quali sono i punti deboli e un po’ disonesti del nostro libro, quelli messi lì soltanto per far colpo sul lettore. Quindi vi consiglio di sviluppare il vostro radar interiore e di fidarvi di lui.

Quando arrivano le critiche, la regola base è resistere alla tentazione di difendersi. Ribattendo, smettereste di ascoltare e rischiereste di perdere l’unico, piccolo particolare davvero utile che l’interlocutore vi sta segnalando.

Ormai manca poco: voglio che esaminiate ciò che avete fatto fin qui e che cominciate a prendere delle decisioni. Pensate al finale. Qualche settimana fa Julie ha scritto: “Il lieto fine è così scontato. Come si fa a scrivere una conclusione realistica, che soddisfi il lettore e che però non sciolga tutti i conflitti?”. Bella domanda. Alzi la mano chi non è rimasto deluso dal finale di un libro che fino a quel momento gli era piaciuto.

Voglio che scriviate un paragrafo in cui raccontate la fine del romanzo che state scrivendo da quasi un anno. Se ancora non sapete quale sia, basta un’idea: “Alla fine, i marziani vincono e per la Terra comincia un lungo periodo di tenebre”. Oppure: “Alla fine, Maria decide di lasciare il Costarica, però non si sa se poi lo farà davvero”.

Sembra facile, ma non lo è. Insomma, ditemi come pensate di chiudere la vostra storia.

Internazionale, numero 678, 01 febbraio 2007

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