A dieci anni dalla storica Cop21 di Parigi, i leader mondiali stanno per riunirsi di nuovo nella conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima. Ma l’ambizioso obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi in più dell’epoca preindustriale è ormai fuori portata e anche il traguardo di due gradi sembra un sogno, perciò non c’è molto ottimismo.

Basandosi sugli impegni presi dai vari paesi, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente stima che in questo secolo l’aumento della temperatura sarà compreso tra 2,3 e 2,5 gradi. Secondo i climatologi, la trentesima Conferenza delle parti delle Nazioni Unite (Cop30) a Belém, in Brasile, è decisiva per resettare la traiettoria del surriscaldamento del pianeta, in un momento in cui gli oceani, le foreste e le calotte polari si stanno avvicinando a punti critici. Oggi è necessario un intervento concreto per allontanare il mondo dai combustibili fossili e trovare i 1.300 miliardi di dollari all’anno di cui i paesi poveri hanno bisogno entro il 2030 per rallentare il cambiamento climatico e adattarsi alle sue conseguenze.

“Il dibattito sul clima è chiaramente minacciato, non solo dalle decisioni politiche ma anche da quelle finanziarie, economiche e commerciali”, spiega Manuel Pulgar-Vidal, responsabile globale per il Wwf del settore clima ed energia. “Questo significa che la Cop brasiliana sarà una delle più importanti dal 2009, sullo stesso livello di quella di Parigi ma in modo diverso”.

In realtà le aspettative dei partecipanti sono molto basse. Un accordo multilaterale coraggioso come quello raggiunto a Parigi sembra inconcepibile nel panorama politico attuale.

Un pessimo anno

La Cop29 dell’anno scorso a Baku, in Azerbaigian, si è conclusa in un clima di tensione, con i paesi più ricchi che si sono impegnati a finanziare un pacchetto di dimensioni molto ridotte rispetto alle speranze degli stati più poveri. Oggi la fiducia in queste conferenze è talmente bassa che sono apertamente messe in discussione.

“I finanziamenti privati non ci sono, mentre i governi vogliono rimangiarsi la promessa di allontanarsi dai combustibili fossili. Nessuno mette più sul piatto le Ndc”, cioè gli impegni nazionali sul clima, spiega Claudio Angelo, della ong brasiliana Observatório do clima. “Le aspettative sono nere”.

Le spaccature causate dalle guerre commerciali e dai conflitti geopolitici stanno coinvolgendo anche le trattative sull’ambiente, con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla guida di una crociata contro l’azione climatica. Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi e blocca le iniziative per limitare l’uso dei combustibili fossili, incoraggiando altri paesi a seguire il suo esempio. Il 17 ottobre l’organizzazione marittima internazionale ha rinviato l’approvazione formale di un piano per tagliare le emissioni del trasporto navale dopo che Trump ha minacciato di imporre sanzioni ai paesi che lo avessero sostenuto.

La crescita economica lenta, l’aumento del costo della vita e le spinte populiste sono altri ostacoli che impediscono ai leader mondiali di fare interventi concreti per proteggere clima. “Il 2025 è un pessimo anno per chi vuole salvare il mondo”, ammette Angelo.

Con il ritiro degli Stati Uniti, ci si aspettava che l’Europa assumesse un ruolo più incisivo, ma i leader europei sono divisi e in generale danno la priorità alla spesa per la difesa, alle lotte commerciali e ai costi dell’energia.

Conto alla rovescia per salvare il pianeta
Abbiamo mancato l’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 gradi in più rispetto alla media del periodo preindustriale, e ora non c’è più tempo da perdere.

Anche nel paese dove si tiene la Cop, il Brasile, il presidente Luiz Inácio Lula da Silva – che durante la campagna elettorale aveva promesso di difendere la foresta pluviale – ha approvato la costruzione di nuove strade in Amazzonia e progetti per la ricerca del petrolio nel bacino del Rio delle Amazzoni, in vista delle elezioni dell’anno prossimo.

Perfino la decisione del Brasile di portare la Cop a Belém è stata contestata. La prima Cop amazzonica avrebbe dovuto ricordare al mondo l’impatto del cambiamento climatico sulle popolazioni e le foreste, ed essere il simbolo di un piano ambizioso per salvare il mondo. Inoltre il ministero dell’ambiente brasiliano ha sottolineato che la Cop30 coinvolgerà le comunità indigene come mai prima d’ora.

Tuttavia per molti partecipanti è stata una decisione avventata. La mancanza di alberghi a Belém ha fatto impennare i prezzi degli alloggi creando enormi problemi alle ong, ai diplomatici e alle aziende, costretti a contendersi tende, container e amache pur di trovare un posto dove dormire.

I limiti imposti dalle Nazioni Unite agli accrediti è un’altra delle cause per cui la “Cop dei fatti” rischia di passare alla storia come la “Cop vuota”.

“Le organizzazioni che l’anno scorso avevano ricevuto otto accrediti quest’anno ne hanno ottenuti appena due”, conferma Carla Cardenas della Rights and resources initiative, una coalizione di organizzazioni senza scopo di lucro che difendono i diritti sulla terra delle popolazioni indigene. Secondo Cardenas, c’è il rischio che la partecipazione dei gruppi della società civile che vigilano sui governi sarà limitata, mentre le ricche lobby del petrolio e del gas non avranno problemi.

Segnali positivi

Tuttavia alla vigilia del vertice ci sono stati dei segnali positivi. La preoccupazione che non ci fossero abbastanza leader presenti si è attenuata a mano a mano che alcune figure di rilievo, come il primo ministro britannico Keir Stamer, hanno deciso di partecipare.

E con il multilateralismo in crisi, il Brasile, considerato un abile mediatore, potrebbe essere il padrone di casa perfetto per creare un clima favorevole alla diplomazia e alla cooperazione.

La presidenza brasiliana ha adottato un approccio pragmatico al negoziato, dichiarando che probabilmente stavolta non ci sarà un testo ideato per conquistare l’attenzione della stampa. Al posto dei titoli sensazionalistici, vuole concentrarsi sulla realizzazione degli accordi già firmati.

Il mondo farebbe meglio a non aspettarsi passi avanti clamorosi a Belém, ma secondo Thomas Hale, esperto di questioni transnazionali all’università di Oxford, nel Regno Unito, ci sarà comunque spazio per un intervento delle amministrazioni locali, dei governi regionali e delle aziende, impegnate nell’azione climatica. “La coalizione dei volenterosi”, un gruppo di stati riuniti per annunciare iniziative ambientali, può ancora avere un impatto significativo.

“I nemici dell’azione climatica come gli Stati Uniti possono anche farsi da parte, ma non è da questo che dipendono le iniziative e la capacità di azione della Cop”, sottolinea Hale. “La conferenza non prenderà decisioni internazionali dalle conseguenze radicali, ma può fornire un quadro di riferimento per molte iniziative positive”.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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