È vero che il Giappone è invaso dai turisti e che certe mete, come la città di Kyoto, sono ormai inavvicinabili e invivibili per i residenti? A giudicare da quanto sui mezzi d’informazione – giapponesi e non – si parla di overtourism, di presenza insostenibile di visitatori stranieri e di necessità di correre ai ripari, parrebbe di sì. La nippomania sembra essere scoppiata più o meno contemporaneamente in tutto il mondo, dato che l’andamento degli arrivi negli ultimi dieci anni è più o meno lo stesso per tutti i paesi di provenienza: i turisti cinesi sono in testa alla classifica, seguiti dai sudcoreani e dagli occidentali – statunitensi ed europei – e poi dai taiwanesi e dai visitatori del sudest asiatico. Oltre a un soft power che può contare su una vasta gamma di prodotti culturali sempre più accessibili e particolarmente efficaci – dal cibo ai manga/anime/videogiochi, dalle serie tv al cinema, ma anche arte e letteratura – probabilmente il fattore di attrazione determinante è lo yen debole, che rende la vacanza in Giappone più abbordabile e appetibile.
L’aumento d’interesse per il paese è tangibile. Banalmente, in una redazione di una quarantina di persone, quella di Internazionale, due sono tornate da poco da un viaggio in Giappone (per una era la seconda volta in pochi anni), una ci è stata l’estate scorsa e un’altra ci andrà ad agosto. Altre tre sono state in Giappone in vacanza negli ultimi dieci anni. Nei dieci precedenti, invece, non c’era stato nessuno. Esattamente in linea con l’andamento delle presenze straniere in Giappone dal 1996 a oggi riportato nel grafico qui sotto. I numeri, poi, parlano chiaro. Nel 2024 s’è registrato il record: 36,9 milioni di visitatori, pari al 47,1 per cento in più rispetto all’anno precedente. Tanti, secondo molti giapponesi troppi, ma il governo punta a sessanta milioni di visitatori all’anno entro il 2030. Ma se già ora si parla di emergenza, di presenze insostenibili, di città sopraffatte, com’è pensabile arrivare al 2030 con lo stesso passo?
In un pezzo intitolato Pride and pain of Japanophilia, uscito nei giorni scorsi sul Financial Times, Leo Lewis, capo della redazione di Tokyo del quotidiano britannico (oggi di proprietà del gruppo Nikkei), fa un’analisi interessante del fenomeno e dice che l’overtourism in Giappone è più una percezione dei giapponesi che una realtà. Una percezione originata dall’aumento repentino e massiccio dei turisti nell’arcipelago, fenomeno che indubbiamente ha creato delle difficoltà concrete, ma che più che altro ha preso alla sprovvista una società abituata a controllare tutto: “Poiché è accaduto all’improvviso, c’è una terribile sensazione di impreparazione in un luogo che fa del suo essere preparato motivo d’orgoglio. Si è dovuto abbandonare il senso di controllo che per tanto tempo ha caratterizzato il modo in cui il turismo interno è stato condotto e sviluppato per generazioni di ‘visitatori in pullman’. Il boom del turismo in entrata si è dispiegato come fenomeno dell’era dei social media, con tutta l’imprevedibilità che questo comporta”.
Le immagini da incubo delle viuzze intorno all’imprescindibile Kiyomizu-dera di Kyoto stipate di turisti fioccano su Instagram seminando il panico tra i giapponesi, abituati a vedere in quelle condizioni il ponte dei Sospiri, non certo l’antica capitale. Ma, come del resto anche a Venezia è ancora possibile fare, basta girare l’angolo e scostarsi dal percorso obbligato per uscire dalla folla. Come altrove, insomma, la percezione dell’invasione è data dal fatto che la massa di visitatori si concentra tutta negli stessi pochi luoghi ma, a differenza che in altri posti ormai irrecuperabili, qui il fenomeno è appena cominciato, dunque si può ancora correre ai ripari (la strategia del governo di Tokyo è far distribuire i milioni di visitatori in modo più equilibrato nel paese promuovendo mete e percorsi meno battuti).
È innegabile che per chi vive in località solitamente tranquille, ritrovarsi di colpo con i treni e gli autobus affollati, i ristoranti pieni e le vie stipate all’inverosimile può spaventare. E ancor più difficile da digerire è che si tratta di persone che ignorano il codice di buone maniere “affinata dai giapponesi fin dalla nascita”. Ma non è il caso di drammatizzare. In primo luogo, dice Lewis, perché insieme alle “orde barbariche” il turismo sta fornendo una notevole “iniezione di vitalità” a un’economia con la popolazione sempre più anziana. I 37 milioni di visitatori del 2024, infatti, sono pari alla porzione di giapponesi sopra i 65 anni (un terzo del totale della popolazione) e tre volte più di quelli sotto i 15 anni. E poi la storia del paese dimostra che ce la può fare: il Giappone moderno è stato progettato proprio a partire dalla necessità di sistemare grandi folle in spazi limitati.
“Gran parte di ciò che rende il Giappone così affascinante – la massimizzazione architettonica dello spazio limitato, reti di trasporto pubblico strettamente interconnesse, l’automazione, la miniaturizzazione e così via – è l’espressione di una società che ha abbracciato l’idea che in un arcipelago prevalentemente montuoso tutti volessero o avessero la necessità di concentrarsi negli stessi luoghi (le grandi città). Nove delle dieci stazioni ferroviarie più affollate del mondo si trovano in Giappone, con treni gestiti sulla base del fatto che un ritardo di pochi secondi può rendere una banchina pericolosamente affollata. Questo è un paese che quando si tratta di gestire luoghi congestionati dà il meglio di sé”.
Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia.
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