13 marzo 2024 10:45

La situazione a Kyoto era insostenibile da tempo: giovani maiko, le apprendiste geiko (così si chiamano le geisha a Kyoto), avvistate e braccate dai turisti come animali selvatici in un safari. Le stradine strette di Gion, il quartiere più instagrammabile dell’ex capitale giapponese, quello delle case da tè dove le geiko intrattengono i clienti, intasate da gruppi di visitatori fermi a scattare foto delle prede incuranti dei cartelli che avvertono di mantenere le distanze e non toccare i loro costosissimi kimono.

La crescita vertiginosa di turisti registrata in Giappone negli ultimi anni (25 milioni nel 2023, quasi ai livelli pre pandemia e circa 20 milioni in più rispetto al 2010) sta creando problemi che le amministrazioni locali stanno cercando di tamponare con sanzioni e divieti, che probabilmente poco potranno contro i sessanta milioni di visitatori all’anno a cui punta il governo di Fumio Kishida entro il 2030.

Da aprile a Gion si potrà passeggiare per la via principale ma sarà vietato entrare nelle stradine private. E, nel tentativo di limitare il numero di persone che quest’estate salirà sul monte Fuji, sarà imposta una tassa per accedere al sentiero più battuto tra quelli che portano in cima al vulcano, che i rifiuti abbandonati e la pressione eccessiva sui servizi igienici rischiano di trasformare in una specie d’inferno turistico.

Per promuovere un turismo che rispetti gli abitanti e la loro qualità della vita, il governo di Tokyo vuole innanzitutto tentare di decongestionare le destinazioni più gettonate promuovendo mete meno battute ma altrettanto “autentiche” (Hokkaido e Okinawa, per esempio). Ma il problema non è solo di numeri. Chi abita nelle località o nei quartieri più famosi lamenta la maleducazione e il mancato rispetto dell’etichetta da parte dei visitatori stranieri.

La giornalista indiana Charukesi Ramadurai qualche giorno fa sul Nikkei Asia parlava di arroganza dei turisti (occidentali) in Asia, in particolare nel sudest asiatico. Raccontando di una processione mattutina dei monaci buddisti a Luang Prabang, in Laos, Ramadurai descrive una scena molto simile a quelle che si osservano ogni giorno a Gion: orde di visitatori stranieri che cercano di fotografare i monaci in tunica arancione che procedono facendo finta di niente, o peggio, di farsi un selfie con loro. “Non per ignoranza, ma per senso di superiorità”, dice. Un problema difficile da risolvere a colpi di multe.

Questo testo è tratto dalla newsletter In Asia

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it