Dal 10 ottobre, quando la debole tregua mediata dagli Stati Uniti è entrata in vigore, Israele ha ucciso circa cento palestinesi a Gaza e ne ha feriti 230 (dati aggiornati al 20 ottobre). Sono state giornate piene di accuse e controaccuse.
Il 19 ottobre l’esercito israeliano ha dichiarato che Hamas aveva violato l’accordo e che i suoi combattenti avevano ucciso due soldati israeliani a Rafah. Israele ha poi effettuato “un’ondata ampia e massiccia” di attacchi in tutta la Striscia. Le Brigate al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno detto di non essere a conoscenza di scontri, sottolineando che Rafah è controllata da Israele. Non è stata l’unica occasione in cui Hamas è stata accusata di aver violato la tregua. Israele sostiene che il gruppo stia ritardando la restituzione dei corpi degli ostaggi uccisi nei bombardamenti israeliani su Gaza. Hamas risponde che servono grandi macchinari di scavo per poter recuperare tutti i cadaveri dei prigionieri, come anche quelli di circa 10mila palestinesi che si ritiene siano sepolti sotto le macerie.
Secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, Israele ha violato l’accordo ottanta volte. Il 17 ottobre l’esercito israeliano ha sparato su un veicolo civile, uccidendo undici componenti della famiglia Abu Shaaban nel quartiere di Zeitoun. Nell’auto c’erano sette bambini e tre donne che cercavano di raggiungere la loro casa. Il 20 ottobre, dopo aver dichiarato che avrebbe ricominciato a rispettare l’accordo, Israele ha ucciso diversi palestinesi nella zona nord di Gaza, spiegando che “rappresentavano una minaccia” per i soldati israeliani perché avevano superato la “linea gialla”, non segnalata, dietro cui si è ritirato l’esercito. Israele ha anche imposto restrizioni sugli aiuti, tenendo chiuso il valico di Rafah e comunicando il 21 ottobre all’Onu che avrebbe permesso l’ingresso di soli trecento camion (la metà di quelli previsti dall’accordo). Hamas ha restituito dodici dei ventotto corpi degli ostaggi morti. Il gruppo ha ribadito il suo impegno a rispettare l’accordo, ma ha dichiarato che il recupero è difficile a causa dell’enorme volume di macerie creato da Israele con i suoi incessanti bombardamenti. Senza nuove attrezzature e assistenza esterna, il lavoro potrebbe essere lento e con esiti non garantiti.
Margini di manovra
Interi quartieri sono scomparsi sotto le bombe israeliane, rendendo quasi impossibile per le persone riconoscere il luogo in cui si trovava la loro casa. Inoltre, la “linea gialla invisibile” superata la quale i palestinesi corrono il rischio di essere uccisi fa paura a molti, soprattutto alle persone che non sanno se la loro casa si trova sul lato israeliano o palestinese della linea. Una mappa approssimativa mostra che la linea gialla lascia circa il 58 per cento di Gaza sotto controllo israeliano. Anche generi alimentari e risorse continuano a scarseggiare nell’enclave assediata. Israele non si è impegnato a ritirare totalmente le sue truppe da Gaza, dichiarando che potrebbe mantenere una zona cuscinetto finché non sarà scongiurato il “ritorno della minaccia terroristica”, un cavillo che per alcuni esperti gli darebbe dei margini per restare a tempo indeterminato.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che il cessate il fuoco è ancora in atto, ribadendo che i funzionari statunitensi faranno in modo che la situazione sia “molto pacifica”. Il 21 ottobre il vicepresidente statunitense JD Vance è arrivato in Israele per consolidare il cessate il fuoco, preceduto il giorno prima dall’inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff e da Jared Kushner, genero di Trump. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1637 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati