Spesso ho avuto la sensazione di essere nato con un secolo di ritardo. C’è stata un’epoca in cui i satelliti non sfrecciavano sopra le nostre teste e tutto era ancora da scoprire e filmare. Avevo l’impressione che tutte le grandi avventure fossero successe prima della mia nascita. Poi nel 2013 ho scoperto che nessuno era ancora riuscito a fare un viaggio senza interruzioni in tutti i paesi del mondo e senza mai prendere un aereo. L’idea che quell’avventura fosse ancora lì a disposizione mi affascinava. Però avevo già superato i trent’anni, stavo da poco con una donna meravigliosa, i miei coetanei stavano avendo i primi figli e avevo alle spalle una carriera di dodici anni nel campo della logistica e delle spedizioni. Eppure non riuscivo a togliermi quell’idea dalla testa. Così a 34 anni sono partito e sono tornato a casa quasi dieci anni dopo. Queste sono le cose che ho imparato lungo la strada.
Generosità che sorprende
Era una fredda notte di dicembre. Un treno mi aveva portato a Suwałki, che a detta dei suoi abitanti è la città più fredda della Polonia. Si sentiva appena cadere la neve. Avevo un pezzo di carta con un nome, un numero di telefono e l’indirizzo del mio alloggio. Non avevo una scheda sim, così ho cominciato a camminare sperando di incontrare qualcuno che mi aiutasse.
A un certo punto una donna ha aperto la porta di casa. Fortunatamente parlava inglese e mi ha invitato a entrare. Era felice di ospitarmi e mi ha convinto a non tornare al gelo. Anche se non la conoscevo, mi ha preparato qualcosa da mangiare e un letto. Il giorno dopo mi ha offerto la colazione e mi ha accompagnato all’autobus che mi avrebbe portato in Lituania.
Meraviglie nascoste
Il Lesotho è stato il 106° paese del mio lunghissimo viaggio. La bellezza della sua natura mi ha colpito subito. Tutto lo stato è a più di 1.400 metri di altitudine. Mi hanno consigliato di salire ancora più in alto, nelle montagne di Semonkong. Non ero preparato a quello che avrei visto. Ero in Islanda, Austria, Buthan o Bolivia? Ho passeggiato a lungo tra una vegetazione meravigliosa.
Gli uccellini che cinguettano, l’erba alta e l’aria straordinariamente fresca. Il sole brillava in un cielo blu intenso. Le montagne del Lesotho sono popolate dai cavalli. Ogni tanto vedevo passare uomini avvolti in spesse coperte in sella ai cavalli. Poi ho raggiunto le cascate di Maletsunyane, alte duecento metri, illuminate dal sole in fondo a un canyon. C’ero solo io ad ammirare quello spettacolo.
Parte di una comunità
In Danimarca, il paese da cui provengo, quando sali su un mezzo pubblico scegli sempre il posto più lontano dagli altri passeggeri. Diamo importanza alla nostra privacy e rispettiamo quella altrui. Ma in gran parte del mondo i posti migliori sono quelli accanto ad altre persone. In Africa centrale e occidentale ho imparato che chiunque si trova su un autobus o in un taxi condiviso fa immediatamente parte di una comunità in cui si dividono il cibo e le storie e si accudiscono senza problemi i bambini degli altri. Mi sono arrabbiato quando un autista sembrava pronto ad abbandonarmi a un posto di blocco controllato da soldati corrotti. Poi una donna seduta dietro di me sull’autobus mi ha spiegato che l’autista stava solo cercando di mettere pressione alle guardie armate. Era un posto di blocco spartano e isolato, in una strada sterrata. Nei dintorni non c’era nulla. I miei documenti erano in regola e i soldati lo sapevano. Se l’autista mi avesse lasciato lì sarei diventato un loro problema. Dove avrei dormito? Cosa avrei mangiato? Di certo le guardie non volevano quel tipo di preoccupazione. In quel momento ho imparato una lezione importante: eravamo una squadra.
Superare le difficoltà
Nel 2015 viaggiavo attraverso l’Africa occidentale. All’epoca Guinea, Sierra Leone e Liberia erano alla prese con la peggiore epidemia di ebola della storia. “Qui abbiamo tutto, ma non abbiamo niente”, mi disse un tassista in Guinea. Sono paesi ricchi sotto molti aspetti, dalle risorse naturali alla bellezza dei paesaggi, ma la maggior parte degli abitanti non lo è. Eppure ero arrivato in Sierra Leone da un’ora, ma ero già stato invitato a un matrimonio. Mi ritrovai in un vortice di musica tra una folla di persone vestite con abiti eleganti, con un’abbondanza di cibo e bevande, danze e chiacchiere. Non importa quanto dura sia la vita, e il mio viaggio mi ha convinto che può esserlo incredibilmente, ma le persone trovano sempre il modo di ridere, giocare e innamorarsi.
Lentamente
È difficile afferrare la distanza tra Londra e New York quando si è su un aereo. Ma viaggiare con sette navi diverse e vari autobus ti aiuta a capire. Ho visto terre deserte diventare rigogliose, cespugli diventare alberi, alberi trasformarsi in foreste, pianure diventare montagne, villaggi trasformarsi in città e fiumi diventare oceani. Ho visto le zone di confine e di solito non c’è differenza tra una parte e l’altra: le persone tendono a indossare gli stessi vestiti, mangiare lo stesso cibo, parlare una lingua comune. Spesso bisogna andare molto lontano prima di notare delle differenze. Ma per rendersi conto di quanto è grande il nostro mondo basta rallentare.
Desideri e bisogni
Quasi tutto può diventare routine e alla lunga perfino visitare tutti i paesi del mondo comincia a sembrare un lavoro. È raro che le persone viaggino ininterrottamente per più di un anno, perché logora l’anima: la maggior parte delle persone che fa viaggi molto lunghi torna a casa esausta, per riflettere e ricaricarsi. Mi sono spinto oltre i limiti per quasi un decennio. Autobus, treni, barche, persone, procurarsi da mangiare, valigie da fare e disfare, ambasciate, frontiere, burocrazia: moltissimi paesi.
Dopo circa due anni ho avuto una crisi, ma ho dovuto superarla perché volevo raggiungere il mio obiettivo. Ho imparato la differenza tra ciò che desideri e ciò di cui hai bisogno. Ho imparato a vivere su una roccia e a conversare con chiunque. Una volta tornato a casa ho capito che le uniche cose che avevano mantenuto il loro valore erano le relazioni e le conversazioni che avevo avuto. Tutto il resto mi è sembrato senza importanza.
Entrare in contatto
Stavo facendo un viaggio in treno di dodici ore dalla Bielorussa a Mosca. I passeggeri parlavano solo russo, però non sembravano infastiditi dal fatto che non conoscessi la loro lingua, a parte niet (no) e da (sì). Chi di volta in volta si è seduto accanto a me mi ha parlato per ore, condividendo le cose che aveva da mangiare e la vodka. Ho capito che non è difficile creare legami con le persone. Il più delle volte mi sono trovato a ridere con uno sconosciuto, anche se non parlavamo una lingua comune. Con il solo uso dei gesti sono stato invitato a entrare nelle case delle persone. Ho negoziato prezzi mostrando le banconote, togliendole o aggiungendole fino a che non si trovava un accordo. E più di una volta, quando mi sentivo distrutto e giù di morale, il sorriso di un bambino mi ha ridato fiducia.
Esperienza accumulata
Accumuliamo esperienza più velocemente quando siamo messi alla prova e sotto pressione, come quando viaggiamo all’estero: cos’è pericoloso? Come si salutano le persone? Dove trovare ciò di cui si ha bisogno?
Tutti questi anni passati all’estero mi hanno fatto capire meglio i miei limiti. Ho imparato le lingue, esplorato nuove culture e ampliato le mie conoscenze in geografia, geopolitica, cooperazione umanitaria e molto altro. È stata una vera e propria formazione. Sono tornato a casa da due anni ma ho ancora molto su cui riflettere. Avevo 34 anni quando sono partito e 44 quando sono tornato. Considerando l’esperienza accumulata, mi chiedo quanti anni ho veramente. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati