Quando si sono aperte le tende della loggia della basilica di San Pietro a Roma e il cardinale protodiacono ha annunciato che Robert Prevost era stato eletto papa con il nome di Leone XIV, noi cattolici peruviani abbiamo fatto i salti di gioia. È stata una strana sensazione, un misto di stupore, felicità e speranza. È uno di noi! Com’è possibile? Quale miracolo dello spirito santo ha portato gli altri 132 cardinali elettori a scegliere “padre Roberto”, come è conosciuto in Perù?
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Non che gli ultimi papi non siano stati vicini a questo paese. I viaggi pastorali, le encicliche, gli interventi a favore di cause nobili li hanno resi parte della nostra vita. Fin da bambini, a noi cattolici viene insegnato ad amare il papa, il successore di Pietro, che lontano, in Vaticano, si occupa delle cose importanti. Noi, semplici laici, ne sappiamo poco e niente, ma con obbedienza manteniamo la fiducia. Anche se a volte, bisogna dirlo, siamo delusi. La chiesa di dio è anche la chiesa degli esseri umani.
Ma oggi la questione per i fedeli peruviani e in particolare per quelli di Chiclayo è la seguente: questo pastore conosce le sue pecore, perché “ha dimorato tra noi”. Un papa missionario è una novità per la chiesa, perché la sua missione in Perù, che si è svolta in tre fasi lungo un periodo di quarant’anni, è stata quella di vivere ai margini, dove papa Francesco chiedeva pastori che avessero l’odore delle pecore: Chulucanas, Trujillo e Chiclayo. Il suo ultimo ritorno in Perù, dopo essere stato superiore generale degli agostiniani, riflette il suo affetto per il “popolo fedele” di Chiclayo. A quel punto della sua vita avrebbe potuto fare il vescovo in qualsiasi luogo del mondo, ma lui ha scelto di tornare alla povertà di una diocesi dove c’è bisogno di tutto e diventare, di sua volontà, peruviano. Non è forse una sfida molto più grande parlare dell’amore di dio a un popolo che muore per mancanza del minimo indispensabile? Non è un compito titanico parlare di pace e di perdono quando tutto scarseggia?
Ci sono molte storie di fede che nascono da questa vicinanza e che in questi giorni continuano a circolare. Quanto abbiamo dovuto lottare in Perù perché fossero accolti i migranti venezuelani, così vulnerabili? Quanti di quelli che oggi salutano l’elezione del papa hanno discriminato e stigmatizzato come delinquenti le persone che, disperate, sono arrivate qui in cerca di aiuto? A Chiclayo monsignor Prevost ha offerto a queste persone un posto nelle mense e un aiuto per rifarsi una vita, come loro stesse raccontano ai giornalisti stranieri che oggi invadono la città.
I poveri, le donne, i bambini abbandonati, le persone abusate, i familiari delle vittime di violenza, i detenuti, quelli che disperatamente cercano il pane quotidiano, le vittime di catastrofi, i soli, i malati (come quelli che morivano per mancanza di ossigeno durante la pandemia): sono loro i protagonisti di questa elezione, perché abbiamo un papa che li ha messi al primo posto e gli ha dedicato la vita. Senza avere un atteggiamento assistenziale, ma mettendoli al centro. È questo il “popolo fedele”, nonostante tutte le avversità.
Di tutte le storie che sono state raccontate in questi giorni, ce ne sono due che mi toccano da vicino. Prevost e altri cinque vescovi hanno salvato la Pontificia università cattolica del Perù, restituendole quello che le volevano togliere: la sua autonomia. Ha mantenuto un’università aperta al mondo, alla scienza e al dialogo con la fede. La seconda storia riguarda il suo rapporto con le vittime del Sodalicio de la vida cristiana (un movimento cattolico sciolto nell’aprile 2025 in seguito a un’indagine per abusi psicologici, fisici e sessuali ai danni di minori commessi dai suoi dirigenti). Prevost è stato denigrato e accusato con un’orribile campagna di menzogne che, per fortuna, non ha avuto presa sui cardinali elettori. Difendere i deboli ha un costo enorme: hanno fatto a Prevost quello che hanno fatto a monsignor Charles Scicluna e a monsignor Jordi Bertomeu, inviati da papa Francesco per indagare su Sodalicio; la stessa cosa che hanno fatto ai giornalisti Paola Ugaz, Pedro Salinas, Daniel Yovera autori dell’inchiesta sugli abusi; e alle decine di vittime che hanno aspettato per anni un atto di giustizia, che è arrivato con papa Francesco e che proseguirà con il suo successore.
Leone XIV, 69 anni, potrebbe vivere un lungo pontificato. Ha molte qualità necessarie in quest’epoca così turbolenta: età, continuità con Francesco e una profonda esperienza pastorale e sinodale. Ma è anche un uomo di mondo e conosce bene la geopolitica che dovrà affrontare. Dottore in diritto canonico e poliglotta, si è schierato apertamente in difesa dei diritti umani in momenti critici della storia peruviana, sia durante la dittatura di Alberto Fujimori sia con l’attuale presidente Dina Boluarte. Con la prudenza e la fermezza necessarie ha detto quello che doveva: un atteggiamento che può darci un indizio di come sarà il suo magistero.
Nel frattempo questo governo non ci dà tregua. Mentre era ancora viva la gioia della chiesa sono state approvate delle leggi che rendono più difficile raggiungere un minimo di pace sociale: una limita la possibilità per lo stato di confiscare i beni sottratti alla criminalità e un’altra prevede che gli adolescenti di sedici anni siano giudicati e condannati come gli adulti. Dina Boluarte vuole andare a Roma con un seguito di deputati per salutare Leone XIV? Attenti, politici peruviani. Questo papa vi conosce bene e sa anche che con questo spaventoso populismo giustizialista state commettendo peccato. ◆ fr
◆ “Sedici secoli dopo la sua morte, sant’Agostino porta il nome dell’Algeria sui mezzi d’informazione dei cinque continenti”, ha scritto il giornalista algerino Saadi Noureddine su Facebook. Come lui, molti algerini hanno commentato sui social l’elezione di un papa che sentono vicino, riferisce il quotidiano Al Quds al Arabi. Il legame di Leone XIV con la terra agostiniana è noto: nel 2001 Robert Prevost partecipò a un convegno ad Annaba dedicato al santo e nel 2023, in occasione della sua ordinazione cardinalizia, definì Souk Ahras, la città natale di Agostino, “matrice spirituale”. L’attualità ha riaperto nel paese il dibattito sulle radici cristiane dell’Algeria. L’ex ministro Noureddine Boukrouh in un articolo intitolato “Algeria cristiana” ha ricordato il pensiero berbero che ispirò Agostino, sottolineando che anche santa Monica, sua madre, è parte di “un’identità spirituale algerina spesso dimenticata”. Il quotidiano ricorda anche altre voci, secondo cui “le sue idee hanno aperto la strada alle crociate, all’inquisizione e ai massacri commessi in nome della guerra santa, con missionari che giravano il mondo insieme agli eserciti per portare i non cristiani nella ‘città di Dio’ che ispirò sant’Agostino”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1614 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati