In Messico l’inizio del confinamento nel 2020 per la pandemia di covid-19 ha coinciso con la settimana santa. Le autorità municipali ed ecclesiastiche hanno usato le loro infrastrutture nella regione della Sierra Madre occidentale, nel nord del Messico, per avvisare le comunità native del fatto che una malattia molto contagiosa stava minacciando il mondo e che era vietato riunirsi in gruppi numerosi. E hanno precisato che tutti i paesi del mondo stavano prendendo le stesse precauzioni.

Ma le comunità della Sierra Tarahumara erano più preoccupate per la tubercolosi, che nella regione non è stata debellata. Nel primo trimestre del 2020 ci sono stati 234 casi a Parral (nel sud dello stato di Chihuahua), a Chínipas e a Guadalupe y Calvo. La malattia colpisce con più forza le persone denutrite e sono passati anni prima che i popoli originari capissero che, se era curata con tempestività, la malattia non era letale.

Per i popoli nativi delle montagne (rarámuri o tarahumara, ódami o tepehuanes, pimas e guarijíos) con la settimana santa si apre un nuovo ciclo di vita. Per tutto il mese successivo fanno offerte, ballano e suonano. Celebrano la vita.

Le persone partono dai villaggi per partecipare ai festeggiamenti in posti che loro stessi hanno scelto per assicurarsi un buon raccolto, animali sani e la pace. La festa è una fusione tra le tradizioni della cultura preispanica e quelle dell’evangelizzazione cristiana.

Negli ultimi dieci anni, a causa della violenza e delle minacce dei cartelli di Sinaloa e Juárez, i festeggiamenti sono diminuiti. Gli abusi contro le bambine e le ragazze sono ricorrenti negli yúmare, le cerimonie in cui i nativi portano in offerta cose da mangiare e una bevanda ancestrale, il tesgüino, per dare forza al loro dio e per garantirsi un buon futuro. Solo in alcune zone si sono incontrati senza esporsi a grandi pericoli. Ma nel 2020 la cerimonia dello yúmare non si è tenuta.

In queste comunità baci e abbracci non sono frequenti. Per questo motivo, e per le condizioni in cui hanno vissuto storicamente, l’ordine di mantenere l’isolamento durante la pandemia è sembrato insensato alle quattro etnie delle montagne. Vivono isolati nella natura, in zone in cui la persona più vicina può abitare a due o a cinque chilometri di distanza.

Questo stile di vita è stato un vaccino contro la globalizzazione per i 130mila nativi dello stato di Chihuahua (più di 97mila tarahumara o rarámuri, più di 14mila tepehuanes o ódami, 890 guarijíos e 663 pimas, secondo i dati del 2015 dell’atlante dei popoli indigeni del Messico). L’isolamento naturale è stato anche una protezione contro le crisi economiche, perché la gente mangia quello che coltiva. Il problema sono i periodi di siccità e il cambiamento climatico, che li obbligheranno a trasferirsi altrove.

Il più anziano

Mancano pochi giorni al Natale del 2020. Le comunità native della Sierra Tarahumara vogliono riunirsi e interrompere il distanziamento fisico per poter compiere i loro rituali. Non ce la fanno più: la terra è dura e centinaia di pannocchie non cresciute restano a terra, piccole e secche.

I contadini raccolgono quel poco che resta nei campi. Non piove da molto e sta finendo il primo anno della pandemia, quello in cui non hanno celebrato la settimana santa. È la festa più importante in onore di Onorúame, il dio rarámuri. Non svolgere questi rituali rende i nativi più deboli: come hanno imparato dagli antenati, è l’unione a dare la forza.

Con una croce cristiana di legno in mano, gli uomini e le donne di Sahuérare, uno dei villaggi rarámuri di Choréachi, nel municipio di Guadalupe y Calvo, ballano, cantano e offrono al dio Onorúame tesgüino, tortillas di farina e pinole. Il tesgüino è una bevanda di mais fermentato che si usa nei riti e nelle feste, e il pinole è un alimento energetico a base di mais macinato, che i corridori tarahumara usano nelle maratone lunghe.

Le donne hanno preparato tutto in una casa di legno con il tetto di lamiera. È il 18 dicembre 2020 e la mattinata è fredda. La comunità si è riunita su un terreno brullo, che fa presagire un 2021 difficile. I rará­muri si dividono in comunità distribuite in diversi villaggi. Scelgono un paese come centro cerimoniale e nominano un governatore o siríame. Il centro cerimoniale di Choréachi si estende su 32mila ettari dove ci sono 53 villaggi con poche famiglie, a un’altezza che oscilla tra i 2.200 e i 3.300 metri sul livello del mare, tra valli e crepacci. C’era un fiume, ma oggi è completamente asciutto. Questa regione non è la più fredda della Sierra Tarahumara, ma gli inverni sono rigidi e quando la temperatura scende sotto lo zero molte comunità si spostano in baracche più protette, dove fa meno freddo.

Dietro la croce avvolta da un telo è seduto Ramiro Cruz Ramos, il “dottore”, come viene chiamata la persona più anziana della comunità.

Qualche anno fa Cruz Ramos ha perso la vista e si è formato come medico tradizionale, owirúame. Si rivolge nella sua lingua alla gente del villaggio, circa venticinque persone, per chiedere perdono a Onorúame e presentare le offerte affinché abbia pietà di loro e mandi pioggia e neve.

Per i rarámuri la medicina migliore è la spiritualità, e la cura è comunitaria. Uomini e donne con indosso scialli e cappelli colorati ascoltano con attenzione. Il dottore ringrazia i giornalisti stranieri per essere lì e interessarsi al rito. Non parla spagnolo, ma un giovane leader della comunità, Severiano Ramos, traduce per chi non capisce: “Facciamo offerte al nostro dio perché piova e ci sia un buon raccolto l’anno prossimo. Il ballo serve ad allontanare la malattia”, dice.

Secondo Ramos, la pandemia è arrivata nella regione perché ci sono state molte morti violente. Dal 2011 Guadalupe y Calvo ha registrato uno dei tassi di omicidio più alti del paese. Secondo la Segreteria del sistema nazionale per la sicurezza pubblica, nel 2016 il tasso di omicidi è stato di 253 ogni centomila abitanti. Dal 2011 al 2017 ce ne sono stati in media 104 all’anno. Con i suoi cinque casi, Choréachi è la regione con più morti violente di attivisti. Considerando anche la vicina comunità di Coloradas de la Virgen sono state uccise sei persone dal 2016 e diciotto negli ultimi trent’anni.

Nonostante questo, gli omicidi non sono la principale causa di morte tra i rarámuri. Per anni Guadalupe y Calvo ha occupato i primi posti per mortalità materna e infantile, soprattutto a causa della denutrizione. Secondo l’organizzazione Alianza Sierra Madre, tra il 2013 e il 2016 a Choréachi ci sono state cinque morti materne e diciassette di bambini e bambine minori di cinque anni (tra questi anche cinque neonati). Ma non sono state registrate ufficialmente perché la maggior parte della popolazione della comunità non è iscritta all’anagrafe. Secondo il ministero della salute dello stato di Chihuahua, nel primo semestre del 2020 i casi di denutrizione sono stati 871.

Daniel Trejo Ruiz, medico del ministero, spiega che ci sono due tipi di malnutrizione: kwashiorkor e marasma. A Choréachi il più comune è il kwashiorkor, che si presenta con sintomi come infiammazione del ventre e di altre parti del corpo per lo squilibrio di liquidi e la carenza di proteine.

I casi di marasma si riconoscono perché i bambini e le bambine sono magrissimi e hanno le costole affossate. Se la malattia non viene trattata e la persona sopravvive, spesso la malnutrizione diventa cronica. Trejo Ruiz spiega che in gran parte della Sierra Tarahumara la cultura alimentare ha cominciato a cambiare circa quindici anni fa, quando le aziende multinazionali hanno portato sul mercato cibo spazzatura e bevande gassate. Da allora sono aumentati i casi di diabete e ipertensione.

L’aspettativa di vita degli abitanti di queste zone del Messico dipende dall’assistenza sanitaria che ricevono.

Sfera emotiva

Quando Elvira Luna Cubésare era bambina non c’erano ospedali a Huisuchi, il villaggio dov’è nata. Huisuchi si trova nel municipio di Batopilas, vicino a Guadalupe y Calvo. I genitori di Elvira Luna l’hanno spinta a studiare e lei ha lasciato la comunità. Quando la nonna è morta per una semplice diarrea, lei ha cominciato a farsi delle domande: cos’era andato storto? Perché non erano riusciti a salvarla? Così si è iscritta al corso di infermeria. Oggi Cubésare è l’unica infermiera nativa che lavora in un ospedale covid-19 nella città di Chihuahua.

Messico, dicembre 2020. Celebrazione di un rito per il dio Onorúame

“Non fa parte della nostra cultura avere un dottore a disposizione”, spiega. “I familiari del malato si rivolgono al medico tradizionale, è lui che va a trovare il paziente. Nella nostra comunità nessuno chiama un medico. Le famiglie ci vanno solo quando è necessario, per esempio se devono fare i vaccini”, aggiunge.

“Ci facciamo guidare dai sintomi, che per noi sono associati alla sfera spirituale ed emotiva. Un medico tradizionale di solito domanda: ‘Cosa ti è successo? Ti sei spaventato? In che occasione? Ti sei arrabbiato con qualcuno?’. E allora il paziente risponde: ‘Ho fatto una cosa che non è andata giù a questa persona’ oppure ‘ho attraversato un fiume e poi mi è capitato quest’incidente’. A quel punto il medico comincia a trattare lo spavento, l’indigestione, i problemi alla testa o la stregoneria”, dice Cubésare.

Quando i nativi si ammalano si rivolgono a un curatore tradizionale. È difficile che si facciano visitare da uno specialista se hanno una polmonite, sono denutriti o hanno la tubercolosi. O se hanno i sintomi del covid-19. In questo contesto un gruppo di professionisti indigeni di diverse comunità è stato invitato a prendere parte a un programma del governo di Chihuahua promosso da alcuni attivisti. Gli obiettivi principali del progetto sono identificare i casi di denutrizione in bambine e bambini minori di cinque anni e controllare la salute delle donne incinte.

Le professioniste rarámuri che fanno parte del progetto e vivono a Chihuahua si sono adattate alle dinamiche della città, ma hanno mantenuto il contatto con le comunità originarie e vogliono introdurre nel programma la loro visione del mondo. Il progetto si chiama Chihuahua crece contigo (Chihuahua cresce con te), ma con la pandemia rischia di saltare. L’iniziativa era stata avviata in quattro località della Sierra Tarahumara. Quest’anno è stata confermata solo in una, a Choréa­chi. Il governo ha assunto cinque promotori sanitari scelti dalle comunità. Il cuore del programma sono loro, i promotori che vivono nelle comunità native: sono stati formati per controllare i sintomi e identificare i segni di denutrizione e le anomalie nelle gravidanze, come gonfiore in alcuni punti del corpo, edemi o lividi, mancanza di appetito, macchie sulla pelle, mal di testa e irritabilità.

Quando i promotori individuano qualche problema, avvisano subito i responsabili della regione. Hanno cellulari con poche funzioni di base, perché a Choréachi non arriva il segnale del telefono e non c’è collegamento internet. Ma loro sanno in quali punti delle montagne c’è campo e dove andare per fare una telefonata. Superati questi ostacoli, però, ne devono affrontare altri: la burocrazia dell’ospedale o le brigate sanitarie. Devono insistere prima di ricevere aiuto.

Denisse Ariadna Salazar, un’antropologa ed ex coordinatrice statale di Chihuahua crece contigo, spiega che il programma è cominciato nell’ottobre del 2019 e subito a Choréachi è emersa la gravità della situazione. “In un mese Prudencio Ramos ha segnalato venticinque bambine e bambini con segni di denutrizione che richiedevano assistenza medica e che hanno riempito l’ospedale di Guadalupe y Calvo. Era l’unico promotore”, dice Salazar. “Chiamava le infermiere responsabili del programma e chiedeva l’aiuto dei medici per trasferire i pazienti. Alcuni bambini avevano degli edemi, altri non mangiavano da tre giorni o avevano difficoltà a respirare. Erano i sintomi che gli avevano insegnato a riconoscere. Tre bambini sono morti perché non sono stati portati subito in ospedale”, racconta.

Messico, 16 dicembre 2020. In una casa a Choréachi (Nicola Ókin Frioli)

All’inizio la comunità era diffidente. Il personale sanitario di Chihuahua, che per anni si era occupato di quelle zone difficili e isolate, affermava che non c’erano casi di denutrizione nella zona e che nessuno aveva bisogno di essere ricoverato.

“Ci siamo resi conto che l’unità medica mobile non andava più a Choréachi da tempo. Senza consultare né avvisare la comunità si era spostata nella località di Cumbres del Durazno, che è in conflitto con Choréachi”, dice Salazar.

Il 16 novembre 2020 nove bambine e bambini sono arrivati all’ospedale di Guadalupe y Calvo. Il numero di ricoveri ha fatto scattare l’allarme tra i medici dell’ospedale perché non c’erano abbastanza medicinali e la maggior parte delle persone veniva da un solo villaggio, Sitánachi.

Sergio Ramos Arareco è un altro giovane promotore responsabile di alcuni villaggi, tra cui Sitánachi e Carichí. “Mi piace stare con la gente e fare questo lavoro”, mi ha detto durante una visita alla comunità. “Prima morivano molti bambini e non sapevamo perché. Anche molti adulti sono morti. Per questo abbiamo deciso di occuparci delle donne incinte”, ha aggiunto camminando con passo agile sui pendii.

Giocattoli e armi

Prudencio Ramos Ramos, il promotore più anziano (ha circa 50 anni), è responsabile di cinque località. Lo incontro a Choréachi, ha una ferita al piede che non gli impedisce di visitare i villaggi e mi racconta di aver sollecitato varie volte la creazione di un presidio sanitario più vicino. In passato avevano cominciato a costruire degli ambulatori in alcuni villaggi, ma poi i soldi sono finiti e molte strutture sono rimaste a metà. Oggi si vedono scheletri di mattoni abbandonati a Coyachi, Choréachi, Mesa de Royabó e Cerro Pelón.

Julio porta le pecore al pascolo tra valli e pendii. È un ragazzo dall’aria timida con un viso sorridente, porta dei sandali di cuoio intrecciato e indossa abito e cappello neri. Ha sempre con sé una fionda di legno a forma di fucile, per qualsiasi imprevisto. È un oggetto ricorrente nella zona di Choréachi: i bambini si divertono con giocattoli costruiti a mano che hanno la forma di arma da fuoco.

La cultura del narcotraffico e della violenza è molto diffusa nella regione e le attività illecite sono spesso considerate normali. La Sierra è anche un territorio segnato da una lotta costante per la difesa dei boschi. La comunità di Choréa­chi, dopo l’omicidio di tre attivisti per l’ambiente, è soggetta ad alcune misure di protezione stabilite dalla Commissione interamericana per i diritti umani.

A Cerro Pelón i bambini non vanno a scuola. Lavorano nei campi fin da piccoli

A Choréachi abitano anche i nativi rarámuri e ódami, circa 30mila persone che rappresentano il 54 per cento della popolazione del municipio. Da sempre l’attività economica più diffusa è il narcotraffico, soprattutto a causa della guerra tra le varie fazioni del cartello di Sinaloa. Choréachi confina a sudest con lo stato di Durango e a sudovest con quello di Sinaloa, e insieme formano il cosiddetto triangolo dorato. In questa zona la gente ha imparato a convivere con i delinquenti che compiono furti e stupri, con le gang criminali e con i grandi progetti dell’industria mineraria. Ha anche imparato a resistere e a lottare contro la deforestazione selvaggia e la discriminazione che tiene la popolazione in isolamento.

In molte regioni seminano marijuana da più di cinquant’anni, e da un po’ di tempo hanno cominciato a coltivare anche il papavero. La produzione di droghe è comune anche se illegale. Gli abitanti della regione sono cresciuti così, tra queste coltivazioni, senza l’opportunità di studiare o di trovare lavoro.

A causa dei gruppi criminali, nell’ultimo decennio nella Sierra Tarahumara le feste della settimana santa e gli altri rituali si sono ridotti. Uno degli obiettivi di quegli incontri era organizzare le attività della comunità e la violenza era diventata un argomento centrale nei dibattiti e nelle riunioni.

Le pressioni dei gruppi criminali si sono fatte sempre più forti proprio per evitare che le comunità si organizzassero da sole. Le minacce e le violenze sono di vario tipo: dalle domande sugli argomenti affrontati nelle riunioni agli abusi nei confronti delle bambine o delle ragazze durante le feste. I narcotrafficanti reclutano adolescenti e giovani, soprattutto tra i gruppi nativi. Altri ragazzi, invece, entrano nelle organizzazioni criminali volontariamente. Le attività illegali sono varie. Oltre alla lotta per il territorio, alla produzione e al traffico della droga, i gruppi criminali si contendono il disboscamento e la vendita clandestina di alcolici. La lotta per il controllo del territorio ha provocato omicidi, minacce di morte e sparizioni forzate, e ha costretto intere comunità a lasciare i loro villaggi.

Un ritmo lento

La posizione geografica di Guadalupe y Calvo nel cosiddetto triangolo dorato, considerando anche la vicinanza alla frontiera con gli Stati Uniti, è strategica: il terreno è perfetto per la coltivazione di marijuana e papavero, ma anche per i grandi progetti industriali e per le attività minerarie.

Secondo il ministero nazionale della difesa, nel 2016 questo era il municipio con più ettari coltivati a papavero. Sono stati distrutti 31.556 campi: nella versione preliminare del programma speciale Guadalupe y Calvo del 2019, risulta che il 17 per cento del terreno era destinato alla coltivazione del papavero e il 13 per cento all’agricoltura.

Nello stesso municipio sono stati distrutti trecento campi di marijuana in un’area di 3.379 chilometri quadrati, il 7 per cento della superficie destinata a questa coltivazione a livello nazionale.

Il Consiglio nazionale per la valutazione della politica di sviluppo sociale (Coneval), un ente del governo messicano che misura la povertà nel paese, considera Guadalupe y Calvo il quarto municipio più povero del Messico. Il Coneval ha tenuto conto anche dell’accesso all’alimentazione, che è intorno al 21 per cento.

I sentieri della Sierra Tarahumara portano a un’entroterra dove il tempo si ferma. La gente che viene da fuori ha capito queste comunità e ha imparato a lavorare con loro. Sono persone allegre e festose. Spostarsi in una zona isolata come Choréachi, con case che si trovano a trecento metri o addirittura a un chilometro l’una dall’altra, vuol dire fare un tragitto sconosciuto in condizioni che variano molto. Il ritmo del tempo, la quotidianità e anche la libertà di respirare aria pura influiscono sul modo di vivere.

Andare a Choréachi significa ammirare un paesaggio imponente, quello del canyon del Cobre, formato da sette crepacci. Tra le valli e i monti di diversi colori di terra e pietra corre un sentiero circondato da pini, che diventano sempre più alti a mano a mano che si va avanti. La strada è accidentata e irregolare. I rarámuri (parola che significa piedi leggeri) la conoscono perfettamente e la percorrono senza sforzo. Sono riconosciuti in tutto il mondo per essere dei maratoneti di alto livello.

Nel villaggio di Coyachi vive Tania Cuevas Flores, una donna alta, con le mani grandi e forti, abiti dai colori accesi e un sorriso che non l’abbandona mai. Insieme a un altro gruppo di donne macina il mais per il pinole, che poi mangeranno le famiglie. José, il figlio di 3 anni, è seguito per denutrizione dall’ospedale di Guadalupe y Calvo dal 2019. Per lei l’assistenza delle brigate mediche è una novità: prima nessuno veniva al villaggio. Flores ricorda che quand’era piccola molti bambini e adulti morivano senza che se ne capisse la ragione. Oggi sospetta che fossero denutriti. Tania parla con frasi brevi e solo nella sua lingua. L’assistenza di Sergio Ramos, che conosce da quando era bambino, è stata fondamentale per la comunità.

Grazie al suo aiuto ha capito che José soffriva di malnutrizione. Ramos ha identificato i sintomi: infiammazione dei piedi, mancanza di appetito e stanchezza. Il piccolo José è rimasto un mese in ospedale, ma da quando è rientrato a casa è stabile. Durante la visita il bambino si nasconde dietro la gonna della madre, piange se un estraneo si avvicina e si rifiuta di far vedere la sua pancia.

Tutte le madri che hanno avuto figli ricoverati per denutrizione per giorni, a volte per mesi, sono d’accordo sul fatto che è stata un’esperienza difficile: dovevano occuparsi degli altri figli e allo stesso tempo seguire il raccolto, altrimenti rischiavano di non avere niente da mangiare.

Da sapere
Un paese a secco
Precipitazioni annuali in Messico dal 1985 al 2019, millimetri. (Fonte: El País)

Sono donne poco espansive al primo incontro: rispondono con tranquillità e gentilezza, ma sono di poche parole. Il loro lavoro è estenuante. Percorrono ogni giorno lunghe distanze per prendere l’acqua e portarla a casa, racimolano da mangiare tra le pannocchie secche e si occupano dei figli in condizioni precarie. La loro dieta è a base di mais, fagioli, erbe di campo, patate (quando sono fortunate) e spinaci. Il problema è che non c’è abbastanza da mangiare. Dal 2020, con la lunghissima siccità, la situazione è peggiorata.

Sitánachi è la comunità con più problemi. È in una valle circondata da montagne e pini e ha circa 120 abitanti. Nessuna casa è raggiunta dalla rete idrica. Insieme a Cerro Pelón è uno dei villaggi con più difficoltà ad accedere ai servizi di base. Sembra oscillare tra passato e presente, tra i valori ancestrali e una modernità mascherata da sviluppo. Progetti di estrazione mineraria e gasdotti convivono senza problemi con le attività dei gruppi criminali, il disboscamento selvaggio e l’inquinamento dell’acqua. Inoltre i gruppi armati contrastano i nativi quando si organizzano per proteggere il loro ambiente.

Un po’ di speranza

Nella prima casa di Sitánachi, tra l’erba ingiallita e le pannocchie secche, Servando gioca insieme a un altro bambino con la terra, le erbacce e i bastoni di legno. Ha tre anni, ma per la sua statura ne dimostra di meno. Al posto del pannolino ha un pezzo di stoffa consumata dall’uso. Quando si accorge che degli estranei sono venuti per parlare con la mamma, ride e guarda con curiosità. Servando è stato uno dei primi bambini a essere portato all’ospedale di Guadalupe y Calvo, nel novembre del 2019. Un anno dopo può giocare sereno. La casa in cui abita insieme ad altri dodici familiari è di legno con il tetto in lamiera. È composta da tre stanze, ma in una conservano l’acqua in due serbatoi da duecento litri.

La madre di Servando, Antonia Sonaya, è uscita con un’altra donna a cercare l’acqua. Camminano un’ora all’andata e una al ritorno con un asino che trasporta le taniche. Con quell’acqua preparano da mangiare nel patio esterno alla casa, dove si trovano i fornelli portatili e delle panche improvvisate in pietre e legno. Quando le incontro non sanno ancora cosa cucineranno. È presto. “Sono stanche dopo la lunga camminata. Usano l’acqua per cucinare e per lavarsi. Di solito mangiano tortillas, pinole, bietole, quello che c’è. Sono preoccupate per il mais, ne servirebbe di più”, spiega Ramos traducendo quello che dicono.

Il giorno dopo arriviamo a Cerro Pelón. La promotrice sanitaria Luz Elena Ayala Ramos ha organizzato una riunione con gli abitanti dei villaggi della zona. A Cerro Pelón i bambini non frequentano la scuola: restano a casa con la madre e fin da piccoli imparano a lavorare nei campi. Non conoscono lo spagnolo. Se stanno male i genitori si rivolgono ai curatori tradizionali, che a volte consigliano qualche pianta medicinale oppure parlano con i bambini per curare l’anima e ristabilire un equilibrio tra le emozioni.

Il 26 marzo 2021 il sistema nazionale per lo sviluppo integrale della famiglia ha creato a Choréachi un centro per la nutrizione e la maternità con lo scopo di offrire assistenza alle comunità della regione. Ma non è ancora chiaro come funzionerà. Daisy Acevedo, la coordinatrice statale del programma per conto del ministero della salute, spiega che l’idea è avere un nutrizionista fisso e una squadra di promotori sanitari. Ma ancora non si sa quanti soldi saranno stanziati.

Con la campagna elettorale in corso nello stato e con la pandemia il programma rischia di essere cancellato o ridotto. Molti componenti delle brigate mediche, tra cui anche i professionisti rarámuri, sono già stati licenziati.

I casi ufficiali di covid-19 nella Sierra Tarahumara sono abbastanza pochi: su poco più di 63mila casi confermati nello stato di Chihuahua, solo 71 interessano Guadalupe y Calvo.

Secondo l’Indice di vulnerabilità municipale al covid-19, presentato dall’Universidad nacional autónoma de México a maggio del 2020, non avere potere economico né accesso ai diritti di base, tra cui l’assistenza sanitaria, potrebbero mettere la popolazione della Sierra Tarahumara in una situazione critica nel caso di una terza ondata tardiva della pandemia.

Alla fine del 2020 i rarámuri, nonostante la violenza e la denutrizione, hanno ballato e cantato per celebrare i riti tradizionali della loro comunità. Hanno fatto offerte al dio Onorúame, pregandolo di mandare la pioggia e garantirgli la salute. Alcuni giorni dopo nello stato del Chihuahua c’è stata finalmente una forte nevicata. Non ha assicurato il raccolto per il 2021, ma almeno ha dato un po’ di speranza. ◆ fr

Patricia Mayorga è una giornalista messicana, nata a Chihuahua. Collabora con le riviste Proceso e Gatopardo e fa parte dell’alleanza Periodistas de a Pie, fondata nel 2007 per favorire la collaborazione tra giornali indipendenti in Messico.

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Questo articolo è uscito sul numero 1407 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati