Ayo e la moglie avevano lasciato presto la casa dei loro amici ad Akure, nel sudovest della Nigeria. Erano stati avvertiti che alcuni banditi attaccavano le persone lungo la strada statale che portava a casa loro e, visto che il viaggio sarebbe durato due ore, volevano arrivare prima che facesse buio. A metà del tragitto hanno incrociato il posto di blocco della polizia. Gli agenti e altre guardie armate stavano perlustrando la scena dell’attacco precedente.
Hanno guidato ancora per qualche minuto ma poi le due auto davanti a loro hanno cominciato a rallentare. Una quindicina di uomini armati sono usciti dalla boscaglia, si sono posizionati a tre metri l’uno dall’altro a formare una lunga fila e hanno sparato in aria con dei fucili a pompa, urlando contro gli automobilisti.
Ayo ha fermato la macchina sul ciglio della strada, tenendo il motore acceso e i finestrini alzati. Mentre i banditi si avvicinavano alle auto dietro la sua, ha sussurrato alla moglie: “Sei pronta?”, facendole segno di abbassarsi. Si è poi curvato sul volante anche lui, ha premuto forte sull’acceleratore e ha superato il bandito – l’unico disarmato – che aveva davanti.
“Non avevo semplicemente paura: ero sotto shock. Pensavo ai miei tre figli, che inizialmente sarebbero dovuti venire con noi. È stato un giorno terribile”, racconta Ayo, 39 anni, che vuole essere identificato solo con il nome per timore di rappresaglie. “Questa cosa non era mai successa nel sudovest della Nigeria. Ma da un po’ di tempo i banditi si sono resi conto che è un buon metodo per guadagnare soldi”.
Quella domenica di metà gennaio Ayo e la moglie stavano per unirsi alle migliaia di nigeriani che ogni anno vengono rapiti sulle strade statali e nei villaggi da gruppi di uomini armati chiamati genericamente “banditi”. Ayo è venuto a sapere che alcune delle persone fermate con loro quella sera sono state sequestrate.
L’esplosiva crescita della popolazione, la disoccupazione dilagante, le tanti armi leggere in circolazione, l’incapacità delle forze di sicurezza d’intervenire e la mancanza di mezzi a loro disposizione: questi fattori combinati insieme hanno fatto aumentare notevolmente il banditismo in un paese in gravi difficoltà economiche. Oggi è una delle peggiori minacce alla sicurezza della Nigeria. “Purtroppo l’industria dei rapimenti prospera in tutto il paese”, dice Aisha Yesufu, un’attivista per la giustizia sociale che vive nel nord e che nel 2014 ha contribuito a lanciare la campagna #Bringbackourgirls per spingere le autorità a ottenere la liberazione delle 276 studenti rapite in una scuola di Chibok nell’aprile di quell’anno. “In Nigeria ci sono giovani senza lavoro e senza speranze. E questi ragazzi ricorrono ai rapimenti per guadagnare”.
La situazione economica è disperata. La crescita demografica era più rapida di quella del pil già prima della pandemia, che ha portato in recessione (la seconda in sei anni) il paese, il primo in Africa per produzione di petrolio. L’inflazione dei prezzi alimentari ha raggiunto il record degli ultimi quindici anni. La disoccupazione dilaga: più della metà dei nigeriani è sottoccupata o disoccupata. Se si prendono in considerazione solo i giovani, la parte più consistente dei 200 milioni di nigeriani, i sottoccupati o i disoccupati diventano i due terzi.
Il pagamento dei riscatti – che vanno da poche centinaia di dollari per dei normali cittadini a cifre a sei zeri per personalità conosciute o con ruoli di rilievo – funziona come incentivo per le organizzazioni criminali e per i giovani senza speranze. Pur di rivedere i loro familiari, molti sono disposti a pagare il riscatto in contanti. In alcuni casi i banditi chiedono parte del pagamento in credito telefonico.
“Quando hanno capito che potevano rapire le persone e poi farsi pagare, alcuni si sono detti: ‘Perché no?’”, spiega Amaka Anku, responsabile per l’Africa della società di consulenza Eurasian group. I sostanziosi riscatti versati ai miliziani del gruppo jihadista Boko haram per la liberazione delle studenti di Chibok hanno aperto la strada. “Quello che succede oggi è il frutto della combinazione tra incentivi perversi e la totale incapacità dello stato di mantenere l’ordine”, conclude Anku.
La presenza costante della violenza nella vita quotidiana dei nigeriani – che devono farci i conti se pianificano un viaggio, se pensano di andare a fare visita ai parenti o se devono trasportare delle merci, anche per brevi distanze – ha danneggiato gravemente la credibilità del presidente Muhammadu Buhari, in particolare per quanto riguarda la sicurezza nazionale. E ha messo in evidenza fino a che punto l’esercito e la polizia nigeriani siano disorganizzati e quante poche risorse abbiano a disposizione.
La crisi del banditismo sta acuendo anche le tensioni etniche, che sono sempre pronte a riesplodere. È opinione diffusa che i banditi siano del gruppo etnico dei peul, composto principalmente da pastori nomadi, o agricoltori hausa. Gli scontri tra pastori e contadini da anni degenerano in periodiche esplosioni di violenza. Buhari, che è peul ed è originario del nord, nel sud cristiano della Nigeria è accusato di essere troppo morbido con i banditi.
A differenza di precedenti crisi legate alla sicurezza, l’ondata di rapimenti che sta dilagando in Nigeria non è limitata ad alcune parti del paese, per esempio il delta del fiume Niger – come succedeva quindici anni fa, quando a essere presi in ostaggio erano i lavoratori dell’industria petrolifera – o il nordest, l’area dove operano i jihadisti di Boko haram, che nel 2014 finirono sulle prime pagine di tutti i giornali per il rapimento di Chibok.
“Si diceva che non fare niente per impedire la disoccupazione e l’ozio tra i giovani è come sedere su una bomba a orologeria”, ricorda Aliyu
Allevatori e coltivatori
Negli ultimi mesi ci sono stati due episodi molto gravi di rapimenti nelle scuole: a dicembre il sequestro di più di trecento ragazzi in un istituto nello stato del Katsina – lo stesso dov’è nato Buhari – e a febbraio più o meno lo stesso numero di adolescenti sono state portate via da una scuola superiore nel vicino stato di Zamfara. Entrambi i gruppi di studenti sono stati liberati e il governo insiste che non sono stati pagati riscatti. A fine aprile, invece, sono stati ritrovati i cadaveri di tre dei ventitré studenti rapiti alla Greenfield university di Kaduna. Erano stati uccisi con colpi di arma da fuoco.
In ogni angolo della Nigeria si verificano regolarmente rapimenti meno eclatanti, che coinvolgono per esempio i passeggeri di un autobus o una famiglia. Secondo l’analista José Luengo-Cabrera, le persone rapite nel 2020 sono state quasi 1.100, più del doppio rispetto al 2014, al culmine delle attività di Boko haram. I dati raccolti dall’ong Armed conflict location and event data project (Acled) sono quanto di più vicino a dei dati ufficiali possa esserci, ma lo stesso “devono essere considerati come indicativi”, spiega Luengo-Cabrera. Il numero totale “potrebbe essere più alto per via della forte tendenza a non denunciare i sequestri”.
Nel nordovest del paese, il centro della crisi del banditismo, l’anno scorso sono state uccise 2.690 persone, un numero non tanto lontano da quello dei civili morti per le violenze nello stato del Borno, la roccaforte di Boko haram, che sono stati 3.044. Le violenze hanno costretto centinaia di migliaia di nigeriani a lasciare il nordovest.
A lungo si è ipotizzata una collaborazione tra i banditi nel nordovest e Boko haram. Qualunque sia il nesso, i banditi stanno di fatto ottenendo uno degli obiettivi perseguiti dal gruppo jihadista, cioè impedire che i bambini frequentino le scuole, accusate di basarsi su valori “occidentali”. Da quando i criminali hanno cominciato a prendere di mira gli studenti, i governatori hanno chiuso centinaia di istituti, che non solo offrivano l’opportunità di studiare ai figli di una popolazione emarginata ma in qualche modo servivano anche a impedire i matrimoni precoci.
Oggi le cose stanno cambiando, sostiene Yusuf Anka, un esperto di sicurezza dello stato di Zamfara. Tre delle sue nipoti facevano parte del gruppo di 279 ragazze rapite a Jangebe a febbraio e poi liberate. “Ho sentito alcuni dire che neanche morti avrebbero fatto tornare le figlie a scuola”, riferisce Anka. “Trecento ragazzine sono state trascinate nella foresta. E per i genitori è stupido rimandarle proprio in quegli istituti da cui sono state portate via”.
Molti fanno risalire il banditismo agli scontri tra agricoltori e allevatori per il controllo delle terre. I pastori nomadi sono stati espulsi, a volte in modo violento, da pascoli poi convertiti in campi agricoli. A loro volta, hanno sconfinato sui terreni coltivati, anche in modi aggressivi, innescando un circolo vizioso di rappresaglie, che alla fine sono sfociate in massacri di interi villaggi e rapimenti di massa. I ladri di bestiame si sono resi conto di poter guadagnare anche sequestrando le persone.
Il banditismo si è diffuso facilmente in un’economia a pezzi ed è ormai considerato un modo di vivere accettabile da giovani per cui non ci sono mai abbastanza posti di lavoro, ribadisce Zainab Usman, direttrice per l’Africa del think tank Carnegie endowment for international peace: “I politici e i partner per lo sviluppo della Nigeria devono ripensare urgentemente a come aumentare la produttività e far crescere le aziende locali, in modo da creare nuove opportunità di impiego”.
Chi compie i sequestri quasi non subisce conseguenze, afferma Chris Kwaja, docente del Centre for peace and security studies di Yola, una città nel nordest del paese. “In alcuni casi le agenzie di sicurezza sono riuscite ad arrestare i rapitori, ma non si è mai arrivati ai processi. Così i banditi sono diventati più audaci”, dice Kwaja, aggiungendo che le forze di sicurezza, senza fondi e corrotte, sono incapaci di affrontare il problema.
L’ha riconosciuto anche il presidente Buhari, ammettendo che non possono farcela da sole. Buhari e il ministro della difesa Bashir Salihi Magashi hanno cercato di addossare parte della responsabilità ai cittadini. “Per quanto efficiente e ben armato, il nostro esercito ha bisogno di uno sforzo in difesa della nazione e le popolazioni locali devono rispondere a questa sfida”, ha scritto a marzo su Twitter il portavoce di Buhari.
“È vero che le cose stanno così”, commenta Anka, “ma è incredibile che a dirlo sia il presidente, perché di fatto sta comunicando ai cittadini che è meglio non sperare nella protezione dello stato e imbracciare direttamente le armi. Ma è così che nascono nuove violenze. Nel momento in cui queste persone si armano e capiscono di poter guadagnare con le armi, si creano nuovi banditi. È una follia”.
Ayo e la moglie sono stati attaccati nello stato dell’Osun che, insieme ad altri cinque stati del sudovest, vuole abolire il pascolo libero. I governatori hanno assicurato che la loro intenzione non è allontanare i pastori peul. “Questa è casa vostra. Avete vissuto qui, vi siete sposati e avete fatto affari con noi. Nessuno va da nessuna parte”, avrebbe detto ad alcuni mezzi d’informazione locali Kayode Fayemi, il governatore dello stato dell’Ekiti.
Secondo Anku, l’annuncio del divieto e le scene degli arresti dei trasgressori mandate in onda sulle tv sono state un teatrino della politica. Il pascolo libero è stato già proibito da altri stati. “Tuttavia quella decisione ha innescato una serie di violenze che a loro volta daranno vita a episodi ancora più gravi”, dice Anku.
◆ Dal dicembre 2020 più di 700 studenti sono stati rapiti dalle scuole nel nordovest della Nigeria, scrive il sito nigeriano The Republic, ricordando che nel 2020 il paese è arrivato al terzo posto, dopo Iraq e Afghanistan, nel Global terrorism index, la classifica dei paesi più colpiti dal terrorismo, mentre è al 1470 posto su 163 nel Global peace index. Il governo ha più volte dichiarato di aver sconfitto i jihadisti di Boko haram, ma ammette di stare affrontando una nuova sfida, rappresentata dal gruppo chiamato Stato islamico in Africa occidentale (Iswap).
La ricercatrice fa l’esempio di un litigio avvenuto a febbraio tra un calzolaio yoruba e un commerciante hausa in un mercato di Ibadan, una città del sudovest della Nigeria. Da quell’episodio sono scaturiti degli scontri su base etnica che, secondo l’agenzia di stampa Reuters, hanno causato più di una decina di morti. Le violenze sono state il culmine di settimane di tensioni, nel corso delle quali i leader della comunità yoruba, un gruppo etnico prevalente nel sud, hanno accusato i pastori peul di essere dei criminali violenti, e ne hanno chiesto l’espulsione dallo stato.
Responsabilità politiche
Secondo Abubakar Umar Girei, il coordinatore nigeriano dell’organizzazione internazionale peul Tabital Pulaaku, molti peul sono reclutati dai criminali perché sono “ignoranti e analfabeti” e le loro azioni sono usate per stigmatizzare tutte le persone dello stesso gruppo etnico, che “non possono più camminare tranquille per strada e svolgere attività legittime”. I peul vivono in molti paesi dell’Africa occidentale. Girei spiega che anche se gli oppositori accusano Buhari di appoggiare i peul, la situazione per loro non è mai stata peggiore. I mezzi d’informazione locali li descrivono costantemente come “pastori assassini”.
“I problemi dei peul sono dovuti in larga misura al fatto che il presidente è peul. Ecco perché le comunità del sud ci attaccano, senza che Buhari se ne renda conto”, dice Girei. “Il governo non ha mai preso sul serio la questione”.
Buhari, un ex generale che negli anni ottanta guidò un regime militare e che nel 2015 ha vinto le presidenziali promettendo di proteggere il paese dai jihadisti di Boko haram, negli ultimi mesi ha assunto posizioni più intransigenti, almeno a parole. Il presidente, 78 anni, ha detto che il governo non negozierà con i banditi. Così facendo ha sconfessato alcuni suoi alleati politici nel nord, che hanno cercato di convincere i gruppi di banditi a deporre le armi offrendogli in cambio un’amnistia, indennizzi e l’impegno a costruire ambulatori e scuole per le loro comunità. Uno di questi stati è quello di Zamfara. Secondo l’analista per la sicurezza Yusuf Anka, la volontà di negoziare non è di per sé negativa, perché molti appartenenti alle bande criminali sono persone che sono state abbandonate dallo stato. “Il dialogo è importantissimo, ma in questo caso i carnefici sono stati messi davanti alle vittime”, sostiene Anka. Queste offerte sono come nuovi incentivi per i banditi e non fanno altro che alimentare il risentimento del resto della popolazione.
Sia Buhari sia i suoi alleati politici si sono impegnati a “trattare i criminali come tali”. L’ufficio di presidenza ha rilasciato una serie di dichiarazioni in cui avverte i banditi di cessare le loro attività o prepararsi ad affrontare la collera delle forze di sicurezza.
Uno di questi avvertimenti è stato lanciato a metà marzo, dopo che decine di studenti erano stati rapiti da un’università di scienze forestali che sorge vicino a un’accademia militare nello stato di Kaduna. “Lo stato non permetterà che il sistema scolastico sia distrutto”, ha detto il presidente Buhari. Pochi giorni dopo un altro gruppo armato ha fatto irruzione in una scuola primaria, prendendo in ostaggio tre insegnanti. A marzo il presidente ha anche ordinato agli agenti di “sparare a chiunque imbracci un Ak-47 in una qualsiasi foresta del paese” e ha vietato tutte le attività minerarie nello stato di Zamfara, dov’è diffusa l’estrazione illegale di oro.
Bello Matawalle, governatore dello Zamfara, ha annunciato il dispiegamento di seimila soldati nella vasta foresta di Rugu, in gran parte incontrollata, per distruggere gli accampamenti dei banditi. Ha inoltre vietato di viaggiare in più di una persona sulle motociclette, che sono uno dei mezzi di trasporto preferiti dai banditi. Ma c’è chi fa notare che la moto è il veicolo più usato dai nigeriani in generale e che i divieti del passato hanno sempre dato scarsi risultati.
Aliyu, un disoccupato di trentun anni che vive nello stato agricolo del Niger, racconta che fin da quando era bambino sente ripetere che è necessario affrontare il problema della disoccupazione giovanile. “Si diceva che non fare niente per impedire la disoccupazione e l’ozio tra i giovani era come sedere su una bomba a orologeria. A mio avviso, quella bomba sta per scoppiare”, afferma. “Gli anziani non vanno in giro armati, non sostano ai lati delle strade per uccidere o rapire la gente. Sono i giovani a farlo. In gioco c’è la sicurezza del paese”. ◆ gim
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1410 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati