Le elezioni presidenziali romene del 24 novembre 2024 hanno provocato uno scandalo politico che ancora oggi agita il paese. A quarantott’ore dal ballottaggio, che doveva tenersi l’8 dicembre, la corte costituzionale ha annullato i risultati del primo turno, e qualche giorno dopo è stata presa la decisione di ripetere l’intero processo elettorale. La data delle nuove elezioni è il 4 maggio 2025.
Al centro della vicenda c’è Călin Georgescu, il candidato indipendente di estrema destra e ultranazionalista che era uscito vincitore dal primo turno. Georgescu ha sempre dichiarato di non aver ricevuto alcun finanziamento elettorale, ma dai rapporti dell’intelligence romena, che hanno portato all’intervento della corte costituzionale, è emerso che il suo successo era stato favorito da una campagna di propaganda online sostenuta dal Cremlino. Per farla breve, il processo democratico aveva subìto interferenze straniere.
Alla fine, il 9 marzo, le autorità hanno escluso Georgescu dalla competizione elettorale. La decisione ha scatenato un acceso dibattito: era una misura necessaria per impedire manipolazioni da parte di soggetti stranieri o è stato un atto antidemocratico di natura essenzialmente politica?
Georgescu ha reagito sostenendo che la Romania è sotto assedio: non di missili o carri armati nemici, ma di accordi e alleanze internazionali. A minacciare l’indipendenza del paese sarebbero il liberalismo occidentale, l’Unione europea e la Nato. Queste dichiarazioni hanno scavato un fossato profondo nella società romena, divisa tra chi considera Georgescu un nazionalista fedele ai suoi princìpi e chi uno strumento della Russia per guadagnare influenza sull’Europa orientale.
Una cosa è certa: il messaggio di Georgescu è arrivato a tutti, indipendentemente dalle simpatie politiche.
Nostalgia e fascismo
Sotto il profilo dell’ideologia, Georgescu è erede della Guardia di ferro, l’organizzazione fascista e antisemita romena attiva prima della seconda guerra mondiale. Al contrario di altre organizzazioni simili europee, il “movimento dei legionari” aveva una forte impronta cristiana, mistica e ruralista, caratteristiche che oggi distinguono Georgescu da altri esponenti dell’estrema destra romena. Il suo punto di riferimento è il fondatore della Guardia di ferro, Corneliu Zelea Codreanu, che i seguaci chiamavano “il capitano”. Per via dei suoi toni pacati e quasi paternalisti, Georgescu è venerato come una sorta di messia: i circoli di estrema destra vedono in lui il nuovo “capitano”, l’erede spirituale e politico di Codreanu.
A volte Georgescu ha ripreso anche i temi e i discorsi di un altro idolo dell’estrema destra romena, Ion Antonescu, il dittatore fascista alleato con i nazisti durante la seconda guerra mondiale. Codreanu e Antonescu, insomma, sono i suoi modelli. Martiri ed eroi, li definisce Georgescu.
Una volta, uscendo dalla stazione di polizia dov’era stato portato dopo un arresto per aver violato le leggi che vietano l’apologia dei responsabili dell’Olocausto, Georgescu ha voluto ribadire la sua simpatia per il fascismo facendo il saluto romano. Durante la Shoah in Romania sono morte più 400mila persone tra ebrei e rom.
Al di là dei riferimenti storici, Georgescu condisce il suo messaggio politico con un linguaggio esoterico e le suggestioni di una pseudofilosofia all’apparenza profonda e iniziatica, ma in realtà priva di ogni logica e contenuto. “Comprendere”, ha detto, “è impossibile, e provarci non ha senso. È questa l’unica comprensione possibile, perché nel momento in cui ci si sforza di comprendere si entra nel regno dello spirito, dove ogni sforzo è vano”.
Questo esplicito rifiuto della razionalità gli consente di avere la faccia tosta necessaria per fare affermazioni palesemente false con incrollabile sicurezza. Così, per esempio, Georgescu può giurare e spergiurare che gli scrittori romeni oggi sono vietati nel loro stesso paese, che certe bevande analcoliche contengono nanochip o che è in corso un complotto globale per cancellare “l’ancestrale identità divina” della Romania.
Con un miscela di pragmatismo e opportunismo, Georgescu è salito anche sul treno del movimento Maga (Make America great again, slogan del presidente degli Stati Uniti Donald Trump). Ma la sua improvvisa simpatia per Trump e il suo vice JD Vance non è tanto l’espressione di un’affinità ideologica, quanto il segnale del fatto che il mito del Maga trumpiano può essere per Georgescu uno strumento utile ad aumentare il suo peso politico.
Georgescu non porta avanti nessuna battaglia particolare, ma la disputa tra Trump e l’Unione europea gli sta offrendo l’occasione perfetta per guadagnare visibilità. L’anno scorso sosteneva pubblicamente che Vance fosse di origini ebraiche e lo definiva un “virus”, mentre dell’attentato a Trump del luglio 2024 diceva che era stato una “trovata pubblicitaria hollywoodiana”. Oggi, invece, sostiene senza riserve il governo statunitense, un “faro di democrazia”, e chiede aiuto a Washington nella sua battaglia contro il cosiddetto deep state. I suoi avvocati sostengono che Trump in persona verrà a testimoniare a suo favore in tribunale.
Va anche detto, però, che non tutti i suoi elettori sono fascisti: molti lo considerano semplicemente un outsider che promette di mandare a casa i vecchi partiti corrotti.
Tuttavia la sua vicinanza ai movimenti dell’estrema destra novecentesca va ben oltre il piano puramente ideologico, perché Georgescu intrattiene legami concreti anche con una rete di miliziani fascisti che fa capo a Eugen Sechila, esponente di punta del neofascismo romeno ed ex volontario della Legione straniera francese. Oltre a coordinare una vasta squadra di ex legionari e mercenari impegnati in zone di conflitto, Sechila è di fatto il responsabile della sicurezza di Georgescu.
Il suo lavoro non si svolge nell’ombra. Organizza campi paramilitari per preparare i romeni a quella che definisce “la sopravvivenza del popolo”. E fa tutto alla luce del sole. I suoi obiettivi dichiarati, perfettamente in linea con il linguaggio misticheggiante della Guardia di ferro, sono “salvaguardare la vita, far proliferare la razza ed elevare lo spirito romeni”. Senza questi princìpi, spiega Sechila, “non meriteremmo di sopravvivere”.
Un’altra figura chiave nella cerchia di Georgescu è Horaţiu Potra, ex compagno d’armi di Sechila nella Legione straniera e oggi a capo di una società di mercenari attiva in Africa, dove gestisce servizi di sicurezza per politici e miniere. Potra è soprannominato il “Prigožin romeno”, in riferimento all’ex leader dei mercenari russi del Gruppo Wagner, morto nel 2023. Dopo l’invasione dell’Ucraina Potra è stato a Mosca e in varie occasioni è stato ospite dell’ambasciata russa a Bucarest.
Le indagini della magistratura romena hanno fatto emergere stretti legami tra Georgescu e Potra, entrambi accusati di aver cercato di sovvertire l’ordine costituzionale. Secondo quanto è trapelato di recente, su incarico di Georgescu, Potra avrebbe contattato un suo vecchio amico – un oscuro uomo d’affari diventato ricco con le miniere in Africa occidentale e in Romania – per proporgli un affare: se avesse finanziato la sua campagna elettorale, una volta eletto presidente, Georgescu gli avrebbe dato mano libera nello sfruttamento dei giacimenti romeni.
Ma l’alleanza tra Potra e Georgescu è andata ben oltre una collaborazione di natura puramente economica: sembra infatti che il 7 dicembre 2024, il giorno dopo l’annullamento del voto presidenziale, i due si siano incontrati in un allevamento di cavalli vicino a Bucarest. Lì avrebbero pianificato come provocare violenze nelle proteste di piazza che sarebbero senz’altro seguite all’annullamento delle elezioni. Gli ex militari al soldo di Potra erano pronti a infiltrarsi tra i manifestanti per alimentare la tensione.
Indagando su Potra, la polizia ha scoperto e sequestrato armi, esplosivi e lanciagranate, oltre a venti chili di lingotti d’oro e milioni di dollari in contanti. Anche se era nel mirino delle autorità, Potra è però riuscito a lasciare il paese e si è trasferito a Dubai, da dove incita i romeni alla rivolta armata contro lo stato, colpevole di aver impedito a Georgescu di candidarsi alle presidenziali. Sempre dalle stesse indagini sono emerse anche diverse intercettazioni: in particolare quelle di uno stretto collaboratore di Georgescu che parla con l’ambasciata russa di Bucarest per stabilire un collegamento informale con l’addetto militare, poi espulso dalle autorità romene.
La retorica aggressiva non è certo una rarità tra i nazionalisti, ma Georgescu si distingue per l’estremismo ideologico e l’estensione della sua rete di sostenitori. Dalle indagini della magistratura emerge inoltre che alcuni dei suoi uomini di fiducia non sono affatto contrari all’idea di un colpo di stato che rovesci il governo e lo sostituisca con un regime nazionalista e autoritario sul modello della Russia di Vladimir Putin.
Il mito delle origini
Non ci sono prove dirette del fatto che Georgescu prenda ordini da Mosca, ma è evidente che ha usato e sfruttato in modo molto efficace i gruppi complottisti, le reti nazionaliste e i canali di disinformazione che la propaganda russa coltiva da anni.
La retorica di Georgescu riproduce molto fedelmente le interpretazioni storiche diffuse da questo ecosistema della disinformazione, per esempio quando sostiene che l’unica vera scienza è Gesù Cristo o che l’acqua non è due molecole di idrogeno e una di ossigeno, ma un veicolo d’informazione: entrambe teorie cavalcate dalla propaganda russa. Per Georgescu il cambiamento climatico è una truffa, il covid-19 una bufala e l’allunaggio un falso. A sentir lui, seguire la saggezza russa è la “nostra sola opportunità” e Vladimir Putin è l’unico vero leader del nostro tempo.
Al centro della propaganda di Georgescu c’è l’idea mitologica secondo cui la Romania sarebbe la prima civiltà del mondo e la vera patria della lingua latina (poi imparata e portata a Roma dai soldati imperiali), mentre i Daci, gli antichi abitanti del territorio romeno, avrebbero addirittura fondato la Danimarca. In un’altra occasione ha affermato che in Austria e in Svizzera (dove ha vissuto quando lavorava come funzionario delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali) “non hanno niente da mangiare”.
Georgescu considera il liberalismo occidentale una minaccia per l’identità romena e sostiene l’uscita del paese dall’Unione europea: se la Romania ha “Dio dalla sua parte – sostiene – può fare tranquillamente a meno dei fondi europei. Ha promesso un referendum per il divorzio dall’Unione e dalla Nato, ha definito la base militare della Nato a Deveselu, nel sud della Romania, “una vergogna diplomatica” e ritiene che l’unico scopo dell’alleanza atlantica non sia difendere l’occidente ma provocare la Russia. Uscirne sarebbe quindi un primo passo verso la “neutralità”, cioè un legame più stretto con Mosca.
In tutto questo, l’Ucraina sarebbe un paese inventato e il suo presidente, Volodymyr Zelenskyj, un “mezzo dittatore”, unico responsabile della guerra con la Russia. Georgescu arriva perfino a chiedere che la Romania s’impegni per la riconquista di alcuni territori dell’Ucraina del sudovest che un tempo furono romeni.
Durante la pandemia di covid-19, Georgescu ha raccolto consensi tra i sostenitori delle teorie del complotto grazie alla crescente diffidenza nei confronti delle autorità. Quando in Romania è arrivato il vaccino, ha pubblicato un video girato in un bosco in Austria, dove aveva vissuto per dieci anni, in cui liquidava la pandemia come un’esplosione di “paura e stupidità”, prima di tuffarsi in un lago ghiacchiato e di riemergerne esclamando: “La mia immunità è la mia sovranità”.
Il suo scetticismo antiscientifico non si ferma ai vaccini: il cancro è un’invenzione, la chemioterapia una truffa e la cosa migliore è affidarsi ai prodotti detox e per il “riequilibrio energetico”.
Forte di questo complottismo radicale, Georgescu è diventato uno strumento essenziale del progetto russo per la destabilizzazione del sistema politico romeno. Ben prima della partecipazione alle presidenziali era già un beniamino dei russi, sostenuto da canali di propaganda come Sputnik e altri siti di disinformazione: la sua sola presenza politica doveva servire a indebolire la fiducia dell’opinione pubblica nell’Unione europea e nelle istituzioni democratiche.
◆ Dopo l’annullamento delle elezioni presidenziali del 24 novembre 2024, per ingerenze russe, i romeni torneranno a votare il 4 maggio 2025 per scegliere il nuovo capo dello stato. I candidati sono undici. Secondo i sondaggi monitorati dal sito d’informazione Politico, in testa c’è George Simion, del partito nazionalista e di estrema destra Aur (Alleanza per l’unione del romeni), con il 29 per cento delle intenzioni di voto. Dietro di lui, con il 22 per cento, c’è il sindaco di Bucarest Nicușor Dan, indipendente ma sostenuto dal partito centrista e anticorruzione Usr (Unione salvate la Romania), che all’inizio di aprile ha scaricato la sua candidata Elena Lasconi, ferma all’8 per cento delle intenzioni di voto. In terza posizione c’è l’ex ministro Crin Antonescu (20 per cento), sostenuto dall’alleanza Avanti Romania!, composta dalle tre forze che hanno governato il paese negli ultimi decenni: Partito nazional-liberale (Pnl), Partito socialdemocratico (Psd) e Unione democratica magiara di Romania. Al quarto posto c’è l’ex primo ministro Victor Ponta (12 per cento), che si presenta da indipendente.
◆ La Romania è una repubblica semipresidenziale, in cui il potere esecutivo è esercitato sia dal presidente sia dal primo ministro.
Per sostenere Georgescu è stata creata una rete di disinformazione, alimentata con denaro proveniente dalla Russia e sostenuta da personaggi le cui tracce portano direttamente al Cremlino. È stata questa macchina ad aiutare Georgescu a vincere il primo turno delle presidenziali.
Pur avendo fatto dell’indipendenza romena il suo cavallo di battaglia, dopo la vittoria di Donald Trump alla presidenziali del novembre 2024, Georgescu aveva cercato di coinvolgere gli statunitensi nella sua campagna elettorale, arrivando perfino a chiedergli di immischiarsi nelle questioni romene intervenendo a suo favore. A dare la grande spinta alla sua candidatura era stata però soprattutto l’aggressiva campagna propagandistica lanciata su TikTok (che in Romania ha circa nove milioni di utenti, poco meno del 50 per cento della popolazione totale) con uno stile veloce, rumoroso e martellante. La strategia si basava sui social media, con una serie di account che inondavano i feed con brevi video tratti dai suoi numerosi interventi nei podcast. Questi video dovevano ottenere la massima diffusione e rafforzare la retorica nazionalista e antioccidentale di Georgescu, amplificando le parole d’ordine dei filorussi. C’è un video in cui Georgescu imita perfino Putin, andando a cavallo e facendo judo.
Anche il suo quartier generale durante la campagna elettorale, allestito in casa di una persona legata agli ambienti filorussi della città moldava di Chișinău, si inseriva bene in questo contesto.
Nel suo tentativo di portare in Romania la propaganda russa, Georgescu è stato aiutato da una complessa rete di testate che diffondono disinformazione, coordinata da alcuni “giornalisti” che collaborano con Sputnik, sostengono la politica di Putin e intervistano regolarmente diplomatici russi ostili all’occidente. Il sito Geopolitika.ro, gestito da Mugurel Calistrat Atudorei, è una delle principali casse di risonanza del messaggio di Georgescu e fa capo a Geopolitika.ru, di proprietà dell’ideologo di estrema destra Aleksandr Dugin, più volte multato per aver diffuso disinformazione, sostenendo, tra le altre cose, che il coronavirus era stato creato in laboratori ucraini finanziati dagli Stati Uniti. Il sito di Dugin elogia regolarmente Putin e diffonde notizie false sulla Nato, l’Unione europea e le istituzioni democratiche occidentali, contenuti riproposti anche dalla piattaforma di Atudorei che, nonostante le sue dimensioni ridotte, ha contatti con alti funzionari russi e ha pubblicato più volte interviste con l’ambasciatore russo in Romania.
◆ Di quale tipo fosse l’europeismo dei politici democratici romeni si era già capito quando la candidata liberale Elena Lasconi, subito dopo l’annullamento del voto del 24 novembre, aveva inviato a Donald Trump (allora presidente eletto) una lettera in cui spiegava di non essere legata a George Soros (nemico giurato dell’estrema destra globale). Questo tipo di servilismo ideologico non aiuta, nemmeno alle urne. Lasconi avrebbe dovuto tacere. Come anche Crin Antonescu e Nicușor Dan, i due principali candidati europeisti alle elezioni del 4 maggio, che in occasione della disputa del 28 febbraio nello studio ovale della Casa Bianca tra il presidente statunitense e quello ucraino, hanno dichiarato di stare dalla parte degli aggressori: Donald Trump e il suo vice JD Vance. Ecco l’europeismo romeno nell’era della post-verità: due politici saputelli che ci proteggono dal fascismo di Călin Georgescu inchinandosi davanti al fascista più potente di tutti, Donald Trump. In un certo senso, il confronto con le dichiarazioni di Dan e Antonescu fa sembrare quasi rispettabile la posizione di Georgescu. Il candidato di estrema destra non ha mai nascosto di ispirarsi alla “saggezza russa” e di appoggiare Mosca nella guerra in Ucraina, alla quale sottrarrebbe volentieri dei pezzi di territorio. Antonescu e Dan non hanno mai detto cose simili, e sostengono di stare dalla parte giusta della storia. Ma non si può stare dalla parte giusta della storia quando ci si affretta a lucidare gli stivali di Trump, un leader che di fatto ha dimostrato di perseguire la stessa linea di Vladimir Putin. Răzvan Filip, PressOne, Romania
Secondo Viginum, il servizio francese per la vigilanza dei contenuti online, la campagna presidenziale di Georgescu è stata sostenuta da un apparato digitale ben coordinato. Il suo messaggio è stato diffuso in tutta Europa da piattaforme come Pravda.ru e canali Telegram legati alla Russia, che hanno dipinto il candidato come una vittima delle forze globaliste. Quest’operazione, chiamata “Portal Kombat”, rilanciava in varie lingue le parole d’ordine del Cremlino, presentando la Romania come un paese che si ribella al controllo straniero e rafforzando l’immagine di Georgescu come difensore della nazione.
Un altro tema delicato e preoccupante è quello dei finanziamenti elettorali. Dai documenti sequestrati emerge che milioni di euro sono stati versati a mezzi d’informazione romeni. Stando a diverse analisi, una parte considerevole dei fondi proveniva da AdNow, un’agenzia pubblicitaria con sede a Londra che ha forti legami con il Cremlino ed è stata coinvolta anche nel finanziamento di siti di estrema destra e nella diffusione di teorie del complotto su farmaci miracolosi e covid-19. Il pubblico raggiunto era di milioni di persone.
Il fondatore di AdNow è Stanislav Fesenko, figlio di un ricercatore del ministero della difesa russo e spesso presente in conferenze pubbliche al fianco di generali del ministero e dell’Fsb, i servizi di sicurezza russa. La moglie di Fesenko lavora invece per la Guardia nazionale, un corpo militare alle dirette dipendenze del Cremlino.
AdNow condivide la sede con un’altra società, la Always efficient Llp, che gestisce il sistema di scambio di criptovalute usato anche da Fancy Bear, il gruppo hacker russo legato al Gru, l’agenzia di intelligence militare di Mosca. Robert Mueller, procuratore speciale del dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, aveva accusato gli hacker di Fancy Bear di essersi intromessi nella campagna presidenziale statunitense del 2016 per favorire Trump.
Il sogno di Simion
Georgescu, insomma, è riuscito dove gli altri politici di estrema destra hanno fallito: mettere insieme la galassia frammentata dei “neo-legionari” e il campo degli ultraortodossi.
Agli elettori stanchi della corruzione diffusa, sembra l’unica alternativa possibile, perché non esita a fare nomi e usa la Nato e l’Unione europea come capri espiatori del declino della Romania. Per i suoi sostenitori fascisti, Georgescu non è solo un populista: è il “capitano”, l’uomo che riuscirà a realizzare il cambiamento radicale tanto atteso.
La sua ascesa, quindi, non è semplicemente la storia di un outsider politico che conquista consensi e successo, ma dimostra come l’azione congiunta di capitale politico, mezzi finanziari, manipolazione mediatica e propaganda digitale possano attirare un paese nella sfera d’influenza della Russia. Un’altra cosa è chiara: l’impatto di Georgescu sulla politica romena non è destinato a tramontare tanto presto.
Certo, respingendo il suo ricorso contro l’esclusione dal voto di maggio decisa dall’ufficio elettorale, la corte costituzionale romena lo ha definitivamente escluso dal voto, almeno per il momento. Ma la macchina politica dell’estrema destra nazionalista è ancora attiva. Il posto di Georgescu lo ha preso George Simion, leader del partito Alleanza per l’unione dei romeni (Aur, “oro” in romeno). Simion subito dopo la pronuncia della corte ha scritto su Facebook che chi aveva preso la decisione doveva essere “scuoiato sulla pubblica piazza”. Sogna di unificare la Romania e la Repubblica di Moldova e di annettere la regione ucraina della Bucovina settentrionale, motivo per cui entrambi i paesi gli hanno vietato l’ingresso. Ha definito Aur “una specie di partito trumpiano”.
Alle elezioni del 4 maggio, Simion sfiderà altri dieci candidati e l’eventuale ballottaggio è previsto il 18 maggio. Anche stavolta ci sarà Elena Lasconi. Il suo partito, l’Unione salvate la Romania (Usr, liberale e contro la corruzione), le ha però ritirato il sostegno. Nelle elezioni annullate del 24 novembre Lasconi era arrivata seconda con il 19,2 per cento dei voti contro il 22,9 per cento di Georgescu. Se Simion dovesse vincere, il futuro politico della Romania potrebbe essere non molto diverso da quello immaginato da Călin Georgescu. ◆ sk
Matei Bărbulescu **e ** Andrei Petre sono due giornalisti freelance romeni. Collaborano entrambi con varie testate internazionali.
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Questo articolo è uscito sul numero 1612 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati