Il presidente statunitense Donald Trump è arrivato con più di tre ore e mezza di ritardo a Sharm el Sheikh, in Egitto, dove il 13 ottobre ha presieduto un “vertice per la pace” insieme all’egiziano Abdel Fattah al Sisi. Prima era stato a Gerusalemme, dove aveva annunciato “l’alba storica di un nuovo Medio Oriente”. L’affermazione fa sperare che la conferenza in Egitto farà avanzare il suo piano per Gaza. Le fasi successive richiederanno intensi negoziati. Le questioni spinose riguardano il disarmo di Hamas, il ritiro delle forze israeliane per far posto a una forza internazionale di stabilizzazione e la gestione del territorio dopo la guerra. Tutti argomenti che non sono stati neanche nominati a Sharm el Sheikh, dato che il vertice mirava soprattutto a far approvare un cessate il fuoco ai mediatori.
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Prima dell’apertura del vertice Trump ha accolto con una stretta di mano il presidente palestinese Mahmoud Abbas. L’invito all’Autorità nazionale palestinese (Anp) ha permesso una rappresentanza palestinese a Sharm el Sheikh. “È un segnale molto positivo”, ha commentato il presidente francese Emmanuel Macron. “È il riconoscimento della legittimità dell’Anp”. Mentre Israele rifiutava qualsiasi partecipazione di Ramallah nella gestione del dopoguerra a Gaza, l’Anp ha trovato un posto nel piano di Trump. Dovrà subentrare all’“autorità transitoria temporanea” prevista per gestire i servizi pubblici e comunali. Per farlo, però, dovrà aver “completato un programma di riforme” ed essere in grado di “riprendere il controllo di Gaza in modo sicuro ed efficace”. Un processo che il presidente francese si è detto pronto ad accompagnare, dopo aver riconosciuto lo stato di Palestina il mese scorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Il piano statunitense indica che, con la ricostruzione di Gaza e le riforme di Ramallah, “potrebbero finalmente verificarsi le condizioni per aprire una strada credibile verso l’autodeterminazione e la creazione di uno stato palestinese”.
Il premier israeliano, invitato dagli egiziani su richiesta di Trump, alla fine ha rinunciato con il pretesto di una festività religiosa ebraica. Una fonte diplomatica turca ha riferito che in realtà a fargli cambiare idea sono state le pressioni del presidente turco Reçep Tayyip Erdoğan, sostenuto da “altri leader”.
◆ Il piano di pace tra Israele e Hamas annunciato da Donald Trump è stato approvato il 9 ottobre 2025 grazie alla mediazione di Stati Uniti, Egitto, Qatar e Turchia. La prima fase prevede il cessate il fuoco a Gaza (entrato in vigore il 10 ottobre), lo scambio tra prigionieri palestinesi e ostaggi israeliani (avvenuto il 13 ottobre), la consegna dei corpi degli ostaggi morti e l’ingresso di almeno quattrocento camion di aiuti umanitari al giorno nella Striscia. L’esercito israeliano dovrebbe inoltre ritirarsi fino a una linea concordata all’interno dell’enclave. Le fasi successive dell’accordo devono ancora essere negoziate e ci sono molti punti in sospeso, tra cui il disarmo di Hamas e la gestione del territorio, che dovrebbe essere affidata a un “organismo internazionale di transizione”. Afp, Bbc
Il peso di Riyadh e Abu Dhabi
Resta il fatto che la visita di Trump a Gerusalemme, dove l’ambasciata statunitense è stata trasferita nel 2018, ha avuto una forte eco a Sharm el Sheikh. Durante il suo discorso alla knesset (il parlamento israeliano) Trump ha invocato applausi per Netanyahu e ha perfino chiesto al presidente israeliano Isaac Herzog di graziare il primo ministro, coinvolto in procedimenti giudiziari per corruzione, frode e abuso d’ufficio.
Per la seconda volta i leader di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno evitato un vertice presieduto da Trump. La prima è stata la riunione convocata a margine dell’assemblea generale dell’Onu per presentare il piano per Gaza, il 23 settembre. Anche se l’assenza del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman e del presidente degli Emirati Mohammad bin Zayed, rappresentati dai loro ministri degli esteri, non significa necessariamente un rifiuto del piano, per i due leader è difficile impegnare la loro influenza regionale, e il loro potere finanziario, in un progetto che rimane dipendente dalle condizioni di sicurezza sul campo.
I due paesi sono particolarmente attesi sul fronte della ricostruzione, su cui l’Egitto ha annunciato l’intenzione di tenere presto una conferenza, che potrà avere inizio solo quando le forze israeliane si saranno ritirate almeno fino al perimetro di sicurezza previsto dal piano. Prima l’esercito israeliano dovrà disarmare Hamas e la forza internazionale di stabilizzazione dovrà schierarsi gradualmente nella Striscia. Tuttavia, i contorni sono ancora vaghi. Gli Stati Uniti si aspettano che Qatar, Egitto, Turchia, Emirati e Indonesia forniscano la maggior parte del contingente, stimato in circa diecimila uomini. Questo metterebbe i paesi arabo-musulmani in imbarazzo, se la loro missione fosse percepita come una nuova occupazione o addirittura come un sostegno agli israeliani.
L’Iran ha rifiutato l’invito del Cairo al vertice, pur sostenendo controvoglia il piano di Trump. Secondo alcuni osservatori è un’occasione persa, ora che gli europei si sono detti pronti a riprendere i negoziati sul nucleare. Il presidente statunitense ha dichiarato che “la mano dell’amicizia e della cooperazione resta tesa”, ma prima di negoziare con Teheran vuole “chiudere la questione con la Russia”.
Aprendo il vertice egiziano Trump ha detto: “È un giorno fantastico per il Medio Oriente”. Poco prima, da Gerusalemme, aveva invitato i paesi della regione a normalizzare le loro relazioni con Israele: “Mi fareste tutti un favore”. Una prospettiva ripresa da Netanyahu nel suo discorso alla knesset, in cui ha detto che con Trump Tel Aviv può firmare altri trattati di pace con paesi arabi. Il genero di Trump, Jared Kushner, è stato l’artefice nell’ombra del suo piano e già nel 2020 aveva orchestrato la firma degli accordi di Abramo, con l’ambizione di estenderli a tutta la regione, Arabia Saudita compresa. ◆ fg
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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati