Sembra smarrita, signora. Cerca l’agenzia consolare degli Stati Uniti? L’ho capito dal suo cappello, lo zaino e i documenti che tiene stretti al petto. È vero che i piccoli furti possono essere un rischio a Casablanca, ma le assicuro che l’aeroporto è un edificio sicuro. Nessuno le porterà via le sue carte. Si sieda, si sieda. A distanza, certo, conosciamo le regole. Si metta comoda. Ci vorrà qualche ora prima che arrivino i funzionari del consolato e poi ci metteranno ancora un po’ a preparare la scrivania e a cominciare il controllo dei passeggeri in partenza.
Da quanto tempo aspetto? Un bel po’, devo dire. Questi voli di rimpatrio sono solo per i cittadini e – se lo spazio lo consente – per i residenti. Ma a quanto pare lo spazio non lo ha consentito, almeno nelle ultime due settimane. Ogni volta che ho presentato una richiesta mi hanno dato la stessa risposta: “Spiacenti miss Bensaïd, il volo è pieno”. Ho pensato di provare con l’aeroporto di Tangeri, ma il servizio ferroviario è sospeso, e in ogni caso probabilmente lì la gente che aspetta è ancora di più. I funzionari del consolato continuano a dirmi che devo essere paziente, avrò più fortuna la prossima volta.
Il fatto è che è stata proprio la fortuna a portarmi qui a marzo. Di solito vengo a trovare la mia famiglia d’estate, quando sono libera dalle lezioni, ma all’inizio di quest’anno mio fratello ha annunciato che stava per sposarsi. Per la quarta volta, se l’immagina? Ha fissato la cerimonia nel bel mezzo delle vacanze di primavera, proprio per prevenire quella che sapeva sarebbe stata la mia prima obiezione. Io gli avevo detto comunque che non avrei potuto essere presente perché volevo andare in Texas con il mio gruppo di bird watching. Ma ha sempre avuto un talento per farmi sentire in colpa. Ha tirato fuori come sarebbe stata felice di vedermi nostra madre, come sta invecchiando, come dovrei approfittare di ogni occasione per stare un po’ con lei. Non potevo dire di no.
Però mi dispiaceva che i miei progetti fossero stravolti, così avevo organizzato un viaggetto a Merja Zerga, 225 chilometri a nord di qui. C’è mai stato? Deve andarci. È una laguna di marea, ospita un’impressionante varietà di specie ornitologiche. Volevo vedere i trampolieri e i gufi di palude e, con un po’ di fortuna, i fenicotteri e le anatre marmorizzate che migrano attraverso la regione in questo periodo dell’anno.
Prima, naturalmente, dovevo sopportare il matrimonio. Non è che non voglia vedere mio fratello felice, mi capisca, è solo che in fatto di donne ha un gusto terribile. Tutte giovani, ingenue e con un timore reverenziale nei suoi confronti. Durante la cerimonia – invariabilmente una celebrazione sfarzosa che caricava di debiti i parenti della sposa – si metteva accanto alla nuova moglie come se stesse posando per una rivista di moda. Il mio ruolo era quello della dimessa sorella maggiore che completava l’affresco familiare rimanendo sullo sfondo, leggermente fuori fuoco.
Avevo recitato la parte abbastanza spesso da arrivare alla festa pronta a seguire il copione. Stavolta c’era un centinaio d’invitati, un numero modesto per gli standard di mio fratello, ma c’è voluto comunque parecchio tempo per fare il giro di tutti, essere presentata e scambiare congratulazioni e auguri. I genitori della sposa erano pieni di domande. “Vive in California?”, mi ha chiesto il padre.
“Sì”, ho detto. “A Berkeley”.
“E cosa insegna?”.
“Informatica”, ha risposto mia madre per me. Per lei è un punto d’orgoglio, credo, perché inizialmente avevo detto che volevo fare la pittrice, cosa che lei giudicava poco pratica.
Il padre della sposa ha sgranato gli occhi, e mentre la notizia viaggiava fino alle zie, agli zii e ai cugini si è levato un mormorio. California, ha bisbigliato qualcuno. Berkeley. Ma la sposa non era colpita; mi ha scrutato con infinita pietà. “Dev’essere dura per te”, ha detto con voce stridula. In piedi accanto a lei, mio fratello annuiva con aria di approvazione.
“Cosa vuoi dire?”, le ho chiesto.
“Vivere così lontano”.
“Può essere duro vivere in qualunque posto”. Aspetta di aver vissuto con il mio caro fratellino, pensavo, e poi vediamo chi troverà difficile la vita.
Ma la sua attenzione era già rivolta da qualche altra parte. “Ci sono i fotografi”, ha detto.
Ci siamo messi in posa per le foto: la sposa, lo sposo, le loro famiglie e gli amici, in diverse combinazioni. Ho cominciato a sentire vampate di calore, anche se avevo un abito senza maniche invece di un pesante caftano. Stavo frugando nella borsa per trovare le mie pillole di ormoni quando la sposa mi ha fatto segno di uscire dall’inquadratura. “Ora facciamone una solo con i marocchini”.
Si rende conto? Stavo per dare una risposta tagliente quando è intervenuto mio fratello. La sua nuova moglie non voleva dire niente di male, ha detto, è solo che il colore del mio abito stonava con il suo caftano. Mi ha tirato di nuovo dentro l’inquadratura, lampeggiando ai fotografi un sorriso bianco candeggina. Ma non credo che gli sia dispiaciuto troppo. In fondo in fondo ce l’ha con me perché me ne sono andata a 18 anni mentre lui vive nella casa dove siamo cresciuti e si prende cura di nostra madre. Forse le cose tra noi sarebbero diverse se fosse rimasto single come me, invece di saltabeccare da una moglie all’altra ogni pochi anni.
Con tutto quel trambusto ho dimenticato di prendere le pillole. Dopo qualche minuto sotto le luci dei fotografi ho avuto un giramento di testa e sono svenuta, afferrando lo strascico della sposa per tenermi. L’ultima cosa che ho sentito prima di perdere i sensi è stato il fruscio della stoffa che cadeva per terra.
Il giorno dopo mi stavo preparando per il viaggio a Merja Zerga, ero elettrizzata al pensiero della gita in barca sulla laguna, quando ho sentito che il Marocco stava chiudendo le frontiere. Mi sono precipitata qui per cercare di trovare un posto su un volo in partenza, ma finora non ho avuto fortuna. A proposito, ecco i funzionari del consolato. Riconosco il giovanotto con la camicia azzurra. Era qui due giorni fa. Sta già venendo in questa direzione; dev’essersi accorto del suo passaporto blu. Vada. Forse ci vedremo dall’altra parte. ◆ gc
**Laila Lalami **
è una scrittrice statunitense nata in Marocco. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è _La speranza e altri sogni pericolosi _(Fusi orari 2007).
Questo articolo fa parte del Decameron project del New York Times, una raccolta ispirata al Decamerone di Boccaccio con 29 racconti scritti durante la pandemia. È uscito con il titolo That tim e at my brother’s wedding.
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Questo articolo è uscito sul numero 1378 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati