Sul retro della stazione centrale di Utrecht torreggiano alti e anonimi palazzi di uffici. Qui Nourhan Bassam si sente piccola e invisibile, soprattutto in questo pomeriggio uggioso in cui i ciclisti pedalano nella pioggia il più rapidamente possibile. È martedì, la giornata lavorativa sta per finire e alcuni uffici hanno già le luci spente. “È un tipico caso di no eyes on the street (niente occhi sulla strada)” dice l’urbanista, autrice di The gendered city (la città sessista). Portoni chiusi, pochissime vetrine o case che si affacciano sulla piazza Jaarbeursplein. Al centro dello slargo c’è un grosso blocco di cemento: è l’ingresso di un parcheggio sotterraneo e impedisce di avere una visuale ampia. Non è un posto in cui Bassam aspetterebbe volentieri il tram di sera. “Se succede qualcosa nessuno ti vede”.

Lo stesso vale per la zona desolata, vicino ad Amsterdam, dove alla fine di agosto è stata uccisa Lisa, una ragazza di 17 anni. Andava in bici su una pista ciclabile che costeggia orti urbani e un campo da golf e dove, nelle parti più “abitate”, ci sono solo edifici commerciali. Accanto alla ciclabile passa una strada, ma di sera il traffico è scarso. Sull’altro lato del sentiero ci sono degli alti cespugli che coprono la visuale. Nel 2024 in un’inchiesta della piattaforma giornalistica Pointer le donne avevano indicato proprio questa strada come un luogo dove non si sentono al sicuro. Il comune ha ricevuto più di cento segnalazioni di lampioni rotti. Per chi è stata costruita questa strada? Per che tipo di utente? Con tutta probabilità, non una giovane donna in bicicletta.

Nei Paesi Bassi l’urbanistica dedica poca attenzione a come le donne vivono la città. Secondo le architette e le urbaniste sentite per questo articolo, per molto tempo i comuni non hanno ammesso che le città sono costruite pensando al loro progettatore originario: l’uomo. Anche se il numero è in crescita, attualmente nei Paesi Bassi le donne iscritte all’albo degli architetti sono solo il 30 per cento (compresi gli architetti del paesaggio e gli urbanisti). Nelle posizioni dirigenziali la percentuale è ancora più bassa.

Battaglie quotidiane

Mentre in altre città d’Europa e del Sudamerica quando si progettano gli spazi urbani si tiene conto già da tempo della sicurezza e delle esperienze di donne e di persone lgbtq, le città olandesi sono ancora indietro. Secondo Eva James, pianificatrice territoriale e ricercatrice di social impact design all’istituto Hogeschool Inholland, “non sono state scelte consapevoli, ma ora bisogna prenderne atto”. Ormai diversi comuni hanno capito che per la pianificazione delle città è importante considerare la prospettiva delle donne e dei gruppi vulnerabili, osserva Geertje Slingerland, docente all’università tecnologica di Delft che fa ricerca sulle esperienze delle giovani donne nello spazio pubblico. Nel settembre 2025, per esempio, il comune di Amsterdam ha annunciato che investirà sei milioni di euro per rendere la città più sicura per le donne.

I Paesi Bassi però sono ancora indietro nella messa in pratica di ciò che hanno capito, afferma Slingerland. “I comuni sanno che è importante cambiare le cose, ma a causa di una serie di regole e norme faticano a realizzare le idee”, spiega. A Rotterdam, per esempio, i cambiamenti devono essere in linea con l’architettura del Rotterdamse stijl, lo stile della città, che prescrive anche come devono essere panchine e cestini. “I comuni esitano a porre al centro la prospettiva femminile”. Si continua a parlarne, ma non si agisce, conferma Eva James: “Dobbiamo deciderci a realizzare uno spazio con lo sguardo di una donna giovane. Non voglio dover andare avanti altri dieci anni dicendo che siamo a un punto morto”.

Una protesta dopo l’omicidio di Lisa, una ragazza di diciassette anni. Amsterdam, 1 settembre 2025 (Joris van Gennip, Laif/Contrasto)

Anche se le città fossero costruite seguendo questi princìpi, non c’è garanzia che le donne siano sempre al sicuro, dicono tutti gli esperti. Ma un’urbanistica che tenga conto del genere almeno le farebbe sentire più al sicuro e le spingerebbe a usare di più gli spazi pubblici.

Sotto il lungo impermeabile di Bassam spuntano le scarpe da corsa. Questo martedì sera la sua organizzazione The gendered city correrà insieme a diverse donne in vari luoghi poco sicuri, per mapparli. Bassam, sempre parlando senza sosta, affretta il passo: è curiosa di vedere cos’ha fatto il comune di Utrecht con la parte della Jaarbeursplein che è stata rinnovata nel 2019. Prima era completamente pavimentata, ricorda l’urbanista, ma l’amministrazione voleva rendere la piazza “vivace in più momenti del giorno”, aveva detto all’epoca il direttore del progetto.

Appena Bassam vede il risultato ammutolisce. Accanto a una stazione per i taxi, occupata da due tassisti appoggiati alle loro auto, è stata costruita una pista da skate. Di fianco ci sono delle costruzioni d’acciaio per il crossfit e un container con attrezzature sportive. Indovina un po’ chi fa uso di questi spazi, sospira Bassam. “Sembra davvero che a volte la metà della popolazione sia semplicemente dimenticata”.

La scritta “Davvero virile” appare a lettere cubitali su un cartellone luminoso su un muro della stazione di Utrecht. E poi, nell’immagine successiva: “Prova a chiedere a una donna quanto spesso si sente in pericolo”. È una risposta all’omicidio di Lisa, in un luogo dove negli ultimi tempi girano spesso uomini che causano fastidi di vario tipo. Nel punto dove Lisa è stata uccisa il comune di Amsterdam si è subito attivato e ha piazzato altre videocamere.

Spesso, dice Bassam, si dà importanza alle “misure di sicurezza formali” , per esempio le videocamere o più polizia per le strade. Anche se sono modi per ridurre la criminalità, da alcune ricerche emerge che non sempre fanno sentire le donne più al sicuro. “Le videocamere aiutano a rintracciare l’autore del crimine, ma nel momento del fatto non servono a nulla”.

Esperienze diverse
Persone che dicono di sentirsi sicure a camminare per strada da sole la sera, % (Gallup)

Qualche idea

Le soluzioni non sono così complicate, spiega Bassam, e in un attimo elenca un’infinità di idee per rendere la Jaarbeurs­plein, ma anche qualsiasi altro spazio pubblico, un luogo dove le donne si sentano più al sicuro: collocare più bar o posti dove potersi sedere per attirare più persone – e quindi più occhi – per la strada anche di sera; un chiosco che resta aperto fino a tardi; delle vetrine, che spesso restano illuminate anche la sera; spostare la fermata del tram e metterla vicino a un bar, con le pensiline aperte, senza manifesti pubblicitari ai lati che bloccano la visuale.

Oppure costruire un piccolo parco, con sentieri ben illuminati e senza recinzione. Le strutture per lo sport andrebbero messe in un luogo riparato, non di fianco alla stazione dei taxi come qui. E preferibilmente in una posizione rialzata, in modo che le donne abbiano una visuale migliore. Lo stesso discorso vale per le panchine. Una piazza dovrebbe avere poi più accessi, ma non troppi, altrimenti non si sa da dove può arrivare la gente.

Per un vero cambiamento

◆ “C’è un aspetto poco considerato nell’urbanistica attenta alle problematiche di genere”, scrive Krisztina Varró su Nrc. “Ci si concentra sulla mancanza di sicurezza di donne e ragazze negli spazi pubblici. Ma la città non è solo un ambiente fisico, è anche un ambito sociale”. Non basta apportare qualche modifica allo spazio pubblico: “Certamente è un primo passo. Ma le politiche urbane attente al genere devono essere estese ad altri settori, perché le donne potranno rivendicare il loro diritto alla città solo se si affronta la disuguaglianza strutturale anche quando si tratta di responsabilità della cura, di lavoro e di welfare. Altrimenti qualsiasi impegno per gli interessi delle donne sarà poco incisivo”.


Per esempio, di fianco alla Jaarbeurs­plein c’è un tunnel con la pista ciclabile: là è buio anche di giorno. Bisogna assicurare la luce giusta: non poca, ma nemmeno troppo intensa, per non creare ombre. Le pareti della galleria dovrebbero essere di materiale trasparente, in modo da vedere cosa c’è dietro, e a metà va aggiunta un’uscita di emergenza. Inoltre i cespugli alla fine del tunnel vanno spuntati. Bassam si accorge solo adesso che dietro ai cespugli c’è un gruppetto di uomini. E soprattutto suggerisce agli architetti di andare nel quartiere e parlare con gli abitanti, perché sono loro che sanno davvero cosa succede e di cosa c’è bisogno. Il comune di Utrecht ammette che alcune parti intorno alla stazione “danno ancora una sensazione di scarsa sicurezza” e fa sapere che cercherà di migliorare la situazione inserendo “abitazioni, verde e strutture di vario genere”.

Da molti studi emerge che modifiche relativamente semplici possono bastare per far sentire le donne (e gli uomini) più al sicuro. “Mi sembra assurdo che malgrado questa consapevolezza, ottenuta da anni di ricerche qui e all’estero, si faccia così poco”, dice Slingerland. Non si tratta di inventare di nuovo la ruota, ribadiscono le urbaniste. Nel suo studio sulla pianificazione urbana inclusiva Anna Nikolaeva, docente all’università di Amsterdam, si riferisce di continuo ad alcune analisi olandesi degli anni ottanta: “Sono stata a conferenze in cui urbanisti più anziani mi hanno detto di avere fatto le stesse conversazioni di quarant’anni fa”. Sembra mancare un collegamento tra la ricerca e il mondo reale, dice Nikolaeva.

Secondo la ricercatrice Catherine Koe­koek, che ha scritto una tesi di dottorato sull’infrastruttura democratica, questo avviene in parte perché, alla fine del novecento, l’interesse verso l’emancipazione femminile è scemato. Gli olandesi pensavano di aver raggiunto la parità di genere. Così alcune conoscenze sono andate perse, anche in seguito a vari tagli di bilancio. “Da una decina d’anni abbiamo capito che le cose vanno cambiate ed è arrivata una nuova ondata di urbaniste femministe, che cerca di recuperare la conoscenza delle generazioni precedenti”.

La rinnovata attenzione verso l’inclusione di genere si nota anche nei corsi di laurea di pianificazione territoriale e urbanistica. Molte università registrano un deciso interesse per il tema dell’inclusività come argomento per la tesi di laurea. E, per esempio, da quest’anno l’università tecnologica di Delft ha due gruppi di laureandi che dedicano particolare attenzione alle città a misura di donna.

Bisogna guardare anche cosa fanno all’estero, dicono le urbaniste. Nei quartieri periferici di Barcellona, per esempio, se prendi l’autobus dopo le 22 puoi richiedere una fermata in più lungo il percorso, in modo da non dover fare troppa strada a piedi. A Karlskoga, in Svezia, quando nevica il comune sparge il sale prima sui marciapiedi e solo dopo sulla strada, perché si sono resi conto che sono soprattutto le donne a finire al pronto soccorso, dal momento che si spostano a piedi più spesso degli uomini. Vienna ha già da 25 anni un ufficio che per ogni progetto urbanistico verifica che sia adatto sia alle donne sia agli uomini, grazie a una politica inserita nella costituzione nel 2009. Dalle ricerche emerge che le donne si sentono più al sicuro in città riqualificate seguendo una prospettiva femminile.

Secondo le architette e le urbaniste anche nei Paesi Bassi l’inclusione di genere dovrebbe essere una parte stabile e obbligatoria dell’edilizia urbana. “Ogni comune deve istituire una squadra di valutazione che controlli se è stato preso sufficientemente in considerazione il genere”, afferma James. “E dovrebbe essere un requisito essenziale nelle gare d’appalto per i quartieri di nuova costruzione”. Non si può intervenire solo dopo una tragedia come la morte di Lisa, ma bisogna cercare di prevenirla incorporando la sicurezza delle donne e dei gruppi vulnerabili nella pianificazione urbana. Nei Paesi Bassi questo approccio sistematico è mancato, afferma Nikolaeva. “Spero che l’attenzione verso questo tema porti finalmente dei cambiamenti”. ◆ oa

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Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati