Il 30 maggio milioni di persone hanno seguito il lancio di due astronauti della Nasa verso la Stazione spaziale internazionale (Iss) organizzato dell’azienda aerospaziale SpaceX. È stato un momento epocale che ha segnato l’inizio di una nuova era in cui sono le aziende private e non gli stati a mandare le persone nello spazio. I due architetti danesi Karl-Johan Sørensen e Sebastian Aristotelis hanno esultato più degli altri quando il razzo si è staccato dalla rampa di lancio per attraversare l’atmosfera. Con il loro studio Saga Space Architects si erano preparati da tempo a questo momento: gli astronauti cominceranno a condividere il cosmo con normali cittadini che andranno in gita nello spazio o si trasferiranno addirittura su altri pianeti. “Se il lancio fosse andato male, l’industria spaziale sarebbe rimasta al palo per molti anni ancora. Ma ora si è aperta la strada per chi vorrà abitare sulla Luna come primo passo verso Marte e altri pianeti. Ci aspetta un futuro in cui le persone che andranno nello spazio saranno molto più numerose, quindi è fondamentale rendere la vita spaziale più piacevole e meno monotona”, sostiene Sørensen. La vocazione dei due architetti è disegnare alloggi per la nuova era spaziale. Sono disposti a sforzi estremi per raggiungere il loro scopo. Per portarsi avanti in questa corsa appena cominciata si sono alleati con l’istituto spaziale dell’università tecnica della Danimarca, il fondo danese di ricerca per le arti e una lunga serie di sostenitori privati. L’obiettivo è testare la loro base lunare, che sorgerà in uno dei luoghi più estremi della Terra. Al momento i due architetti e il loro gruppo di dodici volontari, che comprende ingegneri, designer, programmatori e sviluppatori, lavorano al progetto in un magazzino di Sydhavn, a Copenaghen, ma se tutto andrà secondo i piani, da settembre la base lunare sarà a Moriusaq, nel nord della Groenlandia. Qui gli architetti collauderanno personalmente la base spaziale, abitando per 91 giorni in totale isolamento in un’area popolata da orsi bianchi, con 30 gradi sottozero e le raffiche di vento più forti del mondo. “Ci mettiamo in una situazione estrema. Ma non dobbiamo provare a raggiungere il polo nord. Spero che non ci toccherà picchiarci con gli orsi polari. Se tutto andrà bene si tratterà solo di stare in una piccola capsula per tre mesi. E sarà una noia mortale. È così anche per gli astronauti nello spazio e per le persone che un giorno vivranno su Marte”, dice Sørensen.

I due architetti hanno già sperimentato l’inevitabile noia di vivere in un paesaggio esotico ma sterile. Quando erano ancora studenti hanno vissuto a turni di due settimane da soli nel deserto Valle della Luna, in Giordania, il luogo sulla Terra più simile a Marte. Nei primi giorni tutto era entusiasmante, ma gli occhi si sono abituati in fretta all’immutabile paesaggio rosso e a quel punto sono subentrate solitudine e monotonia. Al ritorno dal deserto hanno concluso che non si riesce a stare in una base spaziale stretta e squadrata. In un ambiente sterile è difficile vivere decentemente su un altro pianeta.

Per questo hanno sviluppato, tra l’altro, una parete vegetale con erbe aromatiche che porta un po’ di vita nella base spaziale e di gusto nei loro cibi congelati. Negli spazi comuni si coltiveranno alghe commestibili per dare colore al quotidiano e al cibo, ma anche per proteggersi dalle radiazioni cosmiche.

In tutta la base, inoltre, hanno creato un sistema di illuminazione che replica l’illusione del movimento del Sole in cielo, cosa fondamentale nella Groenlandia settentrionale, dove il Sole comincerà a tramontare solo verso la fine della missione. Il sistema d’illuminazione ha un margine di imprevedibilità che fa sì che Sørensen e Aristotelis al risveglio non sappiano mai come apparirà il tempo nella base lunare. In certe giornate ci saranno vento, pioggia e tuoni con relativi suoni dagli altoparlanti sulle pareti. Altri giorni offriranno sole e arcobaleni.

L’idea di diversificare le giornate è nata dopo aver parlato con i partecipanti all’esperimento Marte 500. In quell’occasione sei volontari hanno vissuto in totale isolamento per 520 giorni. L’obiettivo era osservare le conseguenze psicologiche del lungo viaggio verso Marte su una navicella spaziale. “Dopo cento giorni dall’inizio dell’esperimento c’è stata un’interruzione di corrente che ha rappresentato un evento fondamentale per loro. I volontari hanno spiegato che l’interruzione è diventata un punto di riferimento per ricordare se un evento era successo prima o dopo e ha dato grande valore alla scansione del tempo. Descrivevano l’incidente come se fosse l’uscita da uno stato di trance. Questo ci dice quanto abbiamo bisogno di variazioni nel nostro quotidiano. Servono per dividere la nostra vita in capitoli. Senza variazioni si va in tilt”, dice Aristotelis.

Migliori amici o peggiori nemici

Quando si deve vivere in isolamento lo spazio è determinante. È stato quindi difficile sviluppare una base lunare abbastanza piccola da poter essere spedita in Groenlandia in un container lungo sei metri e allo stesso tempo abbastanza grande da non causare claustrofobia e permettere di allungare le gambe, considerato che Sørensen è alto più di due metri. Gli architetti hanno trovato una soluzione applicando i princìpi dell’origami, l’arte giapponese di piegare la carta. La base lunare è costruita con piccole lastre che si possono compattare in una sfera durante il trasporto, e all’arrivo possono essere assemblate in una forma che si potrebbe descrivere come un alveare coperto da pannelli solari.

Copenaghen, Danimarca, 2020. Il modulo lunare di Sørensen e Aristotelis (Andreas Merrald, Scanpix Denmark)

Al suo interno i due architetti avranno uno spazio comune di un paio di metri quadri dove lavorare e fare esercizio fisico. Avranno un ingresso dove c’è una toilette mobile. E una camera da letto ciascuno, che sarà un po’ più lunga per Sørensen. Ma anche con la loro spaziosa base lunare e i molti dispositivi per migliorare il benessere mentale, i due temono che i loro rapporti personali possano rovinarsi. “Penso che ci siano due possibilità. O usciamo dall’esperimento come i migliori amici o come i peggiori nemici. Non c’è molto che si riesca a tenere per sé quando si vive così vicini per tre mesi. Ci conosciamo bene, ma stare così vicini è una prova estrema”, dice Sørensen.

Se va male tra i due, sarà un dramma spettacolare davanti a un ampio pubblico. Per coprire le spese della spedizione, lo studio ha lanciato una campagna di raccolta fondi sul sito Kickstarter. All’inizio di giugno più di 500 persone avevano già donato quasi 200mila corone (25mila euro) in cambio di un modellino della base in 3d, un manifesto, il loro nome stampato sui muri della base o un aggiornamento video giornaliero dalla missione in corso. Inoltre gli architetti hanno accettato di partecipare a una serie di progetti di ricerca che dovranno indagare l’evoluzione delle loro condizioni psicologiche durante la spedizione.

“Sono in tanti a guardarci, e la posta in gioco per noi è alta. Ma lo facciamo per dimostrare ai grandi attori dell’industria aerospaziale come la Nasa o la SpaceX che siamo in grado di farlo. Se non ci riusciremo, avremo una grande perdita dal punto di vista professionale, ma avremo posto una domanda aperta: cosa può migliorare la vita delle persone nello spazio? E dobbiamo accettare il fatto di non avere nessun controllo su quello che succederà durante la missione e che forse non troveremo la risposta giusta”, dice Sørensen.

È sempre stato scontato per i due architetti essere osservati mentre realizzavano i loro progetti. È stato così anche mentre studiavano architettura. Tutto è cominciato quando, come tesi finale per il percorso di studi, hanno avuto il compito di disegnare la nuova casa della cultura nel porto di Køge, una quarantina di chilometri a sud di Copenaghen. Secondo loro il progetto non era abbastanza ambizioso e dopo una lunga lotta con il loro docente hanno ottenuto un’altra località per il loro progetto: uno sperone di roccia alla base di un vulcano su Marte.

“Si è sparsa velocemente la voce: due studenti pazzi hanno cominciato a disegnare abitazioni per Marte. Tante persone sono venute alla presentazione del progetto. Era la prima volta che osavamo rivelare la nostra fascinazione per l’architettura spaziale e abbiamo imparato che quando uno fa una cosa così pazza è necessario lavorarci ancora di più. Quasi tutti sono in grado di capire la logica dietro il disegno di una casa della cultura a Køge, ma non dovevamo semplicemente disegnare un edificio, dovevamo anche convincere la gente che più in generale ha senso costruire nello spazio”, dice Aristotelis.

Massima protezione

Per fortuna i professori si sono convinti dopo aver visto il loro progetto, che trasforma una roccia in una base marziana con il consumo minimo di risorse e la massima protezione dal difficile clima del pianeta. In seguito le idee per le abitazioni su Marte sono diventate un nuovo progetto che ha fatto vincere alla coppia il primo premio in un concorso internazionale. Il progetto Marte gli ha permesso anche di scoprire perché l’architettura spaziale li attrae così tanto. “Mentre studiavo architettura trovavo irritante i tanti discorsi banali e il fatto che venissero trascurati i valori di fondo e la verità nel costruire abitazioni. Non che noi li abbiamo trovati, al contrario. Ma se costruisci qualcosa che non funziona nello spazio o su Marte, puoi far morire delle persone. In questo caso quello che funziona diventa visibile”, dice Aristotelis.

In altre parole, lo spazio favorisce quella che gli architetti chiamano una mentalità no bullshit, niente cazzate. Perché oltre al fatto che le cattive soluzioni sono fatali, la sfida dello spazio è che dalla Terra puoi portare poche cose. “Per costruire abitazioni su un altro pianeta devi essere lucido ed eliminare tutto quello che non è necessario”, secondo Sørensen.

“Lo spazio può essere una prova sotto stress per l’architettura e per gli esseri umani. È chiaro cos’è essenziale per il benessere di una persona in una situazione abitativa estrema. Si parla spesso di come sarebbe bello costruire in modo più sostenibile, ma nello spazio non c’è scelta. Devi usare quello che il pianeta offre, e le risorse vanno riusate per più di dieci anni. Credo che quando la sfida è così estrema anche le soluzioni diventano migliori. Mi piacerebbe che si costruisse di più sulla Terra come si costruirà su Marte”.

Il rischio di morire comincia già quando togli una persona dall’atmosfera familiare della Terra e la spedisci nello spazio. Ma Sørensen e Aristotelis non possono lasciare il pianeta per testare la loro base lunare. Per questo si sono messi da soli in una situazione ad alto rischio, scegliendo uno dei posti più isolati ed estremi del mondo. In base ad alcuni parametri la base dovrà resistere a situazioni anche più estreme di quelle su Marte. “Quello che al momento mi tiene sveglio di notte è il pensiero del vento che soffia in quella zona. Si tratta delle raffiche più forti misurate sulla Terra e la questione mi preoccupa un po’. Può creare situazioni molto pericolose che non sorgerebbero sulla Luna, dove non c’è né vento, né atmosfera”, dice Sørensen.

La zona di Moriusaq, dove sorgerà la base, ha un clima così inclemente che gli abitanti dell’insediamento locale se ne sono andati da tempo. E anche se per la maggior parte delle persone questa condizione è nefasta, l’isolamento è stato un parametro decisivo per decidere la collocazione della base. In caso di necessità, una squadra di soccorso impiegherebbe due giorni per raggiungere la base. Anche sulla Luna gli aiuti sono così lontani che bisogna saper risolvere tutti i problemi con l’aiuto della radio.

“Dobbiamo installare la base lunare in un posto con condizioni estreme e pericolose. Perché essere rinchiuso in una base spaziale è un processo sia psichico sia fisico. È troppo semplice se te ne stai chiuso in una cabina e sai che puoi fermare tutto quando non ne puoi più”, dice Sørensen. “Perciò noi siamo gli unici a poter fare l’esperimento. Le linee guida etiche degli esperimenti scientifici prevedono che le persone sottoposte al test possano interrompere l’esperimento e questo noi non possiamo offrirlo, perché invaliderebbe la prova”.

Inoltre i due architetti non nascondono che per loro è un sogno potersi mettere in gioco e provare a vivere isolati a nord del Circolo polare artico. Sono impazienti di vedere la luce del nord e godersi il bel paesaggio in una zona della Groenlandia che pochissime persone vedranno mai. E addirittura sperano che ci saranno giorni difficili nella base lunare, così dovranno lottare per superarli e distrarsi da tre mesi di noia totale in pochi metri quadrati.

“Penso che negli ultimi mesi, dopo lo scoppio della pandemia, molte persone si siano rese conto che non è necessariamente bello stare a casa con il massimo del comfort, il divano, il cibo e tv a volontà. Quello che stiamo cercando di dimostrare è che noi esseri umani abbiamo bisogno delle avversità per stare bene”, dice Aristotelis.

Carico di lavoro

I due architetti hanno cominciato il progetto un anno fa lavorando quasi tutto il giorno e si aspettano che il carico di lavoro crescerà fino a settembre, quando, secondo i piani, arriveranno a Moriusaq con la loro base.

Per questo la prospettiva di tre mesi di isolamento in una piccola base lunare non solo non li spaventa, ma sembra quasi un momento di tregua necessario nel viaggio verso il loro riconoscimento come grandi protagonisti nell’industria spaziale. “Lo scenario migliore è naturalmente che qualcuna delle soluzioni che portiamo con noi risulti davvero efficace e che, per esempio, possiamo continuare a lavorare con le pareti vegetali o la struttura origami. Può anche succedere che tutto quello che abbiamo fatto non funzioni, e allora dovremo ricominciare da capo. Non vedo l’ora che arrivi il momento in cui chiuderemo la porta della base. Non importa cosa succederà, sarà comunque un’esperienza unica che poche altre persone faranno”, dice Sørensen. ◆ fc

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Questo articolo è uscito sul numero 1372 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati