Dalla nascita del femminismo, più di 150 anni fa, la traiettoria verso una maggiore uguaglianza tra uomini e donne non è mai stata lineare. Se si guarda alla storia, le conquiste e le sconfitte nel corso del novecento seguono una logica comprensibile. Quando però si vive dentro quella storia, i cambiamenti possono accadere in modo repentino e senza preavviso. La doppia catastrofe della prima guerra mondiale e dell’influenza spagnola, per esempio, catapultò le donne nella vita pubblica in un periodo in cui le suffragette dovevano scontrarsi con gli uomini per ogni minima conquista. All’improvviso, con la morte di decine di milioni di uomini, le donne furono reclutate in massa per fare lavori che fino a quel momento gli erano stati vietati, in alcuni casi addirittura pagate quanto gli uomini.
Venticinque anni dopo, alla fine della seconda guerra mondiale, sarebbe stato logico immaginare che le donne, ormai ampiamente inserite nel mondo del lavoro, avrebbero continuato ad avere un posto nella sfera pubblica. Invece è successo il contrario: non solo le donne sono state allontanate dalla sfera pubblica, ma è stata inventata una mitologia per convincerle che era naturale stare a casa e che per una signora non era appropriato desiderare altro. Ci sono voluti altri vent’anni perché le donne cominciassero a rendersi conto di quanto tutto questo fosse illogico.
Un’altra inversione di rotta
Nel 2020, di fronte al più agguerrito movimento per l’uguaglianza di genere dagli anni settanta, sarebbe logico aspettarsi che i diritti delle donne si rafforzino, nonostante la resistenza degli uomini. Ma il covid-19 potrebbe provocare un’altra storica inversione di rotta. In un recente rapporto le Nazioni Unite hanno dichiarato che la pandemia potrebbe diluire decenni di progressi in termini di uguaglianza di genere. Altri sono stati più diretti. Sam Smethers, della Fawcett society, un ente non profit britannico per i diritti delle donne, avverte che si rischia un enorme salto indietro: “Davanti a noi c’è la prospettiva di una forza lavoro a due velocità, in cui gli uomini tornano a lavorare e le donne restano a casa. Abbiamo impiegato vent’anni per fare progressi in termini di partecipazione femminile alla forza lavoro e ora potrebbero sparire nel giro di pochi mesi”.
Non sono solo ipotesi. In tutto il mondo le donne stanno perdendo il lavoro in misura maggiore rispetto agli uomini: in Australia sono rimaste disoccupate 457mila donne contro 380.700 uomini. Questo è dovuto in larga misura ai settori che il virus ha colpito di più: l’occupazione nel settore alberghiero e della ristorazione si è ridotta di circa un terzo, e i servizi legati all’arte e all’intrattenimento di più di un quarto. Sono tutti ambiti lavorativi dominati dalle donne. È il contrario rispetto a quanto accaduto con le crisi precedenti, quando la maggior parte dei posti di lavoro sono stati persi dagli uomini. In aggiunta a questi dati assoluti, un numero ancora più alto di donne, che rappresentano la maggioranza delle lavoratrici saltuarie e part-time, sta subendo un drastico taglio delle ore lavorative. Questo effetto asimmetrico rivela anche un grande problema strutturale: le persone che occupano i posti di lavoro più precari sono in maggioranza donne. Questa disuguaglianza sta creando le condizioni per un passo indietro nei diritti delle donne nell’epoca del covid-19.
La parlamentare laburista Clare O’Neil di recente ha citato un altro dato significativo: da febbraio 320mila australiane hanno smesso non solo di lavorare, ma anche di cercare un lavoro. Non sappiamo quante di loro hanno figli, ma sappiamo che per le madri australiane è sempre più difficile lavorare, che siano assunte o meno. I primi risultati di una ricerca dell’università di Melbourne dimostrano che la cura e la gestione dei figli richiedono circa sei ore in più al giorno rispetto a prima della pandemia. Nelle famiglie eterosessuali, quattro di queste sei ore sono coperte dalle donne. Se gli uomini hanno la sensazione di fare più del solito, hanno ragione. Ma fanno comunque meno delle donne: in media le donne dedicano oltre un’ora al giorno in più ai lavori di casa, gli uomini meno di mezz’ora.
Questa divisione iniqua del lavoro domestico non è una novità. Il censimento del 2016 ha mostrato che le australiane svolgono tra le cinque e le 14 ore alla settimana di lavoro domestico non retribuito, mentre in media gli uomini ne svolgono meno di cinque. E il divario di genere nel lavoro domestico non è determinato solo da aspetti finanziari: un’altra ricerca ha dimostrato che le donne che lavorano svolgono una mole di lavoro domestico maggiore rispetto ai loro compagni che stanno a casa. Nonostante le conquiste in tanti altri ambiti, dai salari all’accesso al mondo del lavoro al tempo dedicato ai figli, negli ultimi quarant’anni il divario nello svolgimento dei lavori domestici ha continuato a essere abissale.
È in casa, il luogo meno cambiato dal femminismo, che il covid-19 sta gettando il maggiore scompiglio tra le donne. Quando le scuole chiudono e i genitori perdono un lavoro retribuito e non si possono più permettere di mandare i figli più piccoli all’asilo, bisogna prendere una decisione: qualcuno deve stare a casa. In Australia, dove gli uomini dichiarano in media al fisco 69.644 dollari e le donne 48.043, la scelta è spesso tristemente scontata. “Non si tratta solo delle norme sociali che impongono alle donne di ricoprire i ruoli di cura, ma anche di semplice pragmatismo”, ha detto di recente all’Atlantic Clare Wenham, docente di politiche sanitarie globali alla London school of economics. “Chi è pagato di meno? Chi ha una maggiore flessibilità?”.
La trappola del buonsenso
La pandemia però non sta solo limitando le libertà delle donne nella sfera pubblica, sta mettendo a rischio le loro libertà anche nella sfera privata. In tutto il mondo, con le famiglie isolate in casa e le economie ferme, si è registrato un picco di violenze domestiche. Uno studio recente dell’istituto australiano di criminologia ha rilevato che dall’inizio della pandemia quasi una donna su dieci ha subìto violenza dal partner o da un ex.
◆ In Australia lo stato più colpito dalla pandemia è quello di Victoria, dove al 26 agosto i casi positivi totali erano 18.600, con un aumento giornaliero di 149 casi, e si registrava l’80 per cento dei circa 500 morti per covid-19 nel paese. A Melbourne è in corso il secondo lockdown e i confini con gli altri stati sono chiusi e sorvegliati dalle forze dell’ordine. Il New South Wales, il secondo stato australiano più colpito, il 26 agosto ha registrato sei nuovi casi positivi. Bbc
L’impatto del covid-19 ha profonde connotazioni di genere e se non si farà qualcosa ci sarà un arretramento nel campo dei diritti delle donne. L’unico modo per invertire questa logica è dare la priorità alle politiche per la parità di genere. Ad aprile il segretario generale dell’Onu António Guterres ha chiesto ai governi “di mettere le donne e le bambine al centro dei loro sforzi per riprendersi dalla pandemia, a partire dal coinvolgimento delle donne nei ruoli di leadership, con una pari rappresentanza e un pari potere decisionale”. In Australia sta succedendo il contrario. La commissione nazionale di coordinamento sul covid-19, incaricata di guidare la ripresa del paese, è presieduta da due uomini e formata da due donne e cinque uomini. La prima categoria di lavoratori eliminata dal programma di aiuti statali è stata quella degli assistenti all’infanzia, dominata dalle donne. Come prima mossa per tornare all’economia di prima della pandemia, il governo ha cancellato l’assistenza gratis all’infanzia, una decisione presa da una commissione di controllo della spesa presieduta da cinque uomini. Com’era prevedibile, il settore edilizio è stato il primo a ricevere una forte sostegno.
Può sembrare puro buonsenso che settori “seri” come quello edilizio beneficino della generosità del governo, così come può sembrare puro buonsenso sopportare di dover dedicare più tempo alla cura dei figli e ai lavori domestici finché la pandemia non sarà finita. Questa però è la stessa logica che ha relegato di nuovo le donne a casa dopo la seconda guerra mondiale. È la stessa logica che ha messo le conquiste degli uomini davanti a quelle delle donne fin dall’avvento del patriarcato. Se non si farà niente per contrastarla e se i diritti delle donne saranno dati per scontati, potremmo assistere a un nuovo rovesciamento delle conquiste fatte.
La femminista francese Simone de Beauvoir disse: “Non dimenticate mai che basterà una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita”. Oggi quelle parole dovrebbero suonare come un campanello d’allarme. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati