Quasi quattromila persone del mondo dello spettacolo, statunitense e non solo, hanno firmato un appello al boicottaggio di Israele impegnandosi a “non proiettare film, partecipare a incontri o collaborare con istituzioni cinematografiche israeliane che siano implicate nel genocidio e nell’apartheid del popolo palestinese”. Tra loro ci sono attori e registi come Mark Ruffalo e Yorgos Lanthimos, Emma Stone e Javier Bardem. Il dibattito su questi strumenti di pressione è antico. C’è chi sostiene che, nel caso dei boicottaggi commerciali, si finisca per colpire gli strati più deboli della popolazione. Oppure, nel caso dei boicottaggi culturali, proprio le persone che più si adoperano per creare ponti o che sono tra le voci più critiche dei governi. È quello che ha detto, per esempio, l’Associazione dei produttori israeliani respingendo l’appello. Ma c’è chi la pensa diversamente. Avigail Sperber, regista israeliana molto premiata e apprezzata nel suo paese, su Haaretz ha scritto: “Quello di cui noi israeliani abbiamo più bisogno è che il mondo ci boicotti”. È vero, dice Sperber, in un certo senso prenderci di mira sembra ingiusto. In fondo noi siamo “gli israeliani buoni”, quelli che si oppongono alla guerra. Ma “le atrocità sono commesse in nostro nome, con i soldi delle nostre tasse, da un governo che ci rappresenta nel mondo. La semplice e dolorosa verità è che quello che succede a Gaza è anche una nostra responsabilità”. Il boicottaggio obbliga gli artisti a considerarsi non creatori indipendenti, ma complici dello stato di Israele. “Dobbiamo rovesciare il governo. Rifiutarci di prestare il servizio militare. Organizzare scioperi, smettere di girare film, smettere di mandare i nostri figli a scuola, smettere di comprare cose. Bloccare tutto finché non finirà l’orrore che viene perpetrato in nostro nome”. Quello di Sperber non è un lamento: “È l’ammissione di un fallimento e una richiesta d’aiuto”. Il boicottaggio “è uno specchio sgradevole, che però ci mostra la verità. L’immagine è terrificante, ma non possiamo più distogliere lo sguardo”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati