Perfino Donald Trump sa che il prezzo dei biglietti dei concerti è troppo alto. Di recente il presidente degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo per proteggere i fan dai “prezzi folli” attraverso il contrasto al bagarinaggio e alle spese di commissione nascoste. Al suo fianco, con un vestito molto colorato, c’era il cantante Kid Rock, sostenitore del movimento Maga (Make America great again). “Make America fun again” (Rendiamo l’America di nuovo divertente), ha detto Kid Rock.
Tuttavia, non basterà un ordine esecutivo a risolvere i problemi del settore della vendita e distribuzione dei biglietti. I bagarini sono un bersaglio facile. Il fatto è che, a prescindere dalla loro esistenza, i biglietti dei concerti più importanti non sono mai stati così cari. Dal punto di vista dell’esperienza del cliente è un inferno.
Magari sapete già come funziona. Vi connettete alle dieci del mattino, mesi prima dello spettacolo, e ricevete un posto in una coda virtuale. Magari notate con sgomento che il vostro numero in coda è più grande di quello dei posti disponibili. Probabilmente a un certo punto perdete il posto perché il sito vi ha scambiato per un bot oppure si è bloccato. Quando arriva il vostro turno, vi chiedete come mai oggi un biglietto da 120 euro (più circa 23 euro di misteriose spese di commissione) è considerato un affare. Ammesso che sia rimasto qualche posto dei più economici, e non solo i “pacchetti vip” a cifre gonfiate. A questo punto, vi chiedete perché le cose stanno così.
Quando non si riesce a ottenere quello che si vuole, si tende a dare la colpa a qualcuno. E quel qualcuno di solito è Ticketmaster. L’azienda, che nel 2010 si è fusa con il promoter di concerti Live Nation per formare la Live Nation entertainment, è il più grande rivenditore di biglietti del mondo. È usata dal 60 per cento degli acquirenti nel Regno Unito e controlla più del 70 per cento del mercato statunitense, con una fetta ancora più grande del settore delle arene e degli stadi. Nel 2024 la Live nation ha generato entrate record da 23,2 miliardi di dollari (circa 20 miliardi di euro), mentre Ticketmaster ha venduto 637 milioni di biglietti. I rivali come la See Tickets (di proprietà della tedesca Cts la Eventim) e la Axs (un ramo del promoter statunitense Aeg Presents, quello di Taylor Swift) non sono pesci piccoli, ma Ticketmaster è diventata sinonimo di rivendita, quindi anche parafulmine e bersaglio di tutte le critiche.
Da quarant’anni Ticketmaster è accusata d’imporre prezzi assurdi, commissioni ingannevoli e contratti restrittivi, di commettere errori tecnici, di eliminare la concorrenza e in generale di abusare del suo quasi monopolio. È stata bersaglio di audizioni, inchieste, class action e multe salate. Nel migliore dei casi, chi resta senza biglietti diventa un suo nemico giurato.
Michael Rapino, il sessantenne amministratore delegato canadese della Live Nation, è al tempo stesso la figura più potente e più discussa nel mondo della musica dal vivo. Scherzando con il conduttore di podcast Bob Lefsetz, nel 2023 ha detto che ogni mattina va sui social media per vedere chi lo odia quel giorno.
Tim Chambers, un consulente freelance che ha lavorato per Ticketmaster dal 2000 al 2012, definisce quello della vendita dei biglietti “un settore di cattive notizie”, perché sale agli onori della cronaca solo quando qualcosa va storto, specialmente se ne sono direttamente toccati giornalisti o politici.
Una domanda insaziabile
La scorsa estate la grande pubblicità che ha circondato la reunion degli Oasis, che Rapino ha definito “la più grande vendita della storia”, ha messo in luce lo stato del settore.
Per prima cosa, i prezzi sono senza senso. Un posto in piedi per vedere gli Oasis allo stadio Wembley nel loro ultimo tour del 2009 costava 44 sterline (l’equivalente di 69 sterline di oggi, 82 euro, se aggiustiamo all’inflazione). Nel 2025 un posto così costa 151 sterline. Fantastico per i fratelli Gallagher, che si porteranno a casa milioni, ma nefasto per la musica sul lungo periodo. I prezzi alti non solo attirano un pubblico più vecchio e più ricco, ma lasciano nelle tasche dei fan meno soldi per i concerti minori, dove si formano le stelle del futuro.
In secondo luogo, la domanda per gli artisti famosi è insaziabile. Con circa 14 milioni di persone a caccia dei biglietti, gli Oasis avrebbero dovuto riempire uno stadio ogni sera per sei mesi per accontentare tutti.
In terzo luogo, la vicenda degli Oasis ha portato alla luce la tattica del dynamic pricing (prezzo dinamico, quando i prezzi variano sulla base della domanda), che senza preavviso ha più che raddoppiato il costo di alcuni tagliandi. In risposta a questo episodio, l’autorità per la concorrenza del Regno Unito ha aperto un’indagine per violazione delle leggi a tutela del consumatore. Lo scalpore è stato tale che l’espressione dynamic pricing è arrivata tra i finalisti per la parola dell’anno della Oxford University Press. Un recente sondaggio dell’organizzazione non profit More in Common ha stabilito che il 58 per cento dei britannici vorrebbe nazionalizzare Ticketmaster: una richiesta impossibile ma sintomatica della collera popolare verso l’azienda.
Negli Stati Uniti i problemi di Ticketmaster scaturiscono da un errore fondamentale commesso dall’azienda: quello di essersi inimicata gli swifties, i fan di Taylor Swift. Nel novembre 2022 Ticketmaster ha messo in vendita contemporaneamente tutti i due milioni di biglietti per l’Eras tour della cantante. La domanda colossale ha travolto i server, causando molti problemi. Taylor Swift ha espresso il suo disappunto. Ticketmaster si è scusata. Nel maggio dell’anno scorso il dipartimento di giustizia statunitense ha avviato un procedimento per violazione delle norme sulla concorrenza, ora sostenuto da 39 stati, in cui la Live Nation e Ticketmaster sono accusate di usare il loro potere per “piegare l’industria a proprio vantaggio”.
La Live Nation si è difesa dicendo che i suoi margini di profitto sono inferiori al 2 per cento e che la sua quota del mercato statunitense in realtà si è ridotta dal 2010. Michael Rapino pensa che Ticketmaster sia il capro espiatorio per una serie di complessi fattori strutturali. “C’è confusione sul nostro settore”, ha dichiarato al Los Angeles Times. “Dobbiamo lavorare di più per far capire ai fan perché non riescono a prendere i biglietti, o perché sui mercati secondari il prezzo triplica”.
Da un lato, è scontato che Rapino dica queste cose. Dall’altro, c’è un fondo di verità nelle sue parole. I concorrenti di Ticketmaster fanno gli stessi prezzi. “Non è un settore che rispetta i consumatori”, dice Tim Chambers. E descrive la piramide delle priorità finanziarie nel mercato dei concerti. In cima, naturalmente, c’è l’artista. Più in basso, in ordine decrescente, ci sono il manager, il promoter, la sala da concerto, lo sponsor e il rivenditore di biglietti. E in fondo a tutto c’è il pubblico.
Quindi Ticketmaster è la causa delle frustrazioni dei fan o semplicemente il volto pubblico del sistema? Perché i biglietti costano tanto? C’è forse un modo migliore di gestire la cosa?
Non c’è mai stata un’età dell’oro per chi compra biglietti, una in cui i fan più appassionati riuscivano a ottenere i posti migliori a un prezzo onesto. Gli imbrogli e le delusioni ci sono sempre stati. Alla metà degli anni settanta il leader del settore negli Stati Uniti era la Ticketron, che vendeva biglietti attraverso dei terminali nei punti vendita, oppure per telefono. Tre uomini di Phoenix pensarono che avrebbero potuto fare la stessa cosa in modo più veloce ed economico. Progettarono un sistema informatico che permetteva alle sale da concerto di condividere un database. Il 2 ottobre 1976 nacque Ticketmaster.
L’azienda cresceva. Quando fu acquisita dall’investitore di Chicago Jay Pritzker nel 1982, aveva solo venticinque dipendenti e fatturava un milione di dollari. Ma il nuovo amministratore delegato Fred Rosen, un avvocato newyorkese, si mise in testa di distruggere la rivale Ticketron con un modello aziendale nuovo. La Ticketron faceva pagare ai clienti solo una commissione forfettaria di due dollari per l’uso dei terminali. “Non possiamo finanziare questo commercio approfittando del consumatore”, insisteva il vicepresidente della Ticketron, Bob Gorra.
Rosen non la pensava allo stesso modo. Così cominciò a chiedere accordi esclusivi per gli spazi che ospitavano gli spettacoli: il 100 per cento dei biglietti disponibili. In cambio prometteva di raddoppiare le maggiorazioni e di spartire le entrate supplementari, offrendo al tempo stesso generosi bonus iniziali e fornendo gratuitamente il software e l’hardware. A farne le spese erano i fan. Secondo Alan Citron, ex dirigente di Ticketmaster, Rosen promise che la sua azienda sarebbe diventata “il volto della vendita dei biglietti” e avrebbe “accettato di subirne le conseguenze”.
Il Los Angeles Times descrisse Ticketmaster come un “un agile Davide in lotta contro un Golia invecchiato”. E Davide ha vinto. Nel 1990 la Ticketron fu liquidata. Presto Ticketmaster arrivò a possedere i diritti esclusivi per i due terzi dei biglietti distribuiti nelle più grandi sale da concerto, vendendo anche una bella fetta del terzo rimanente. Era diventata un investimento di pregio. Nel 1993 fu acquisita dal cofondatore della Microsoft Paul Allen e nel 1997 dal proprietario di mezzi d’informazione Barry Diller.
Nel frattempo l’imprenditore newyorchese Rober F.X. Sillerman stava trasformando il mercato della promozione dei concerti. Dopo aver fagocitato tantissime emittenti radiofoniche, Sillerman vedeva un’opportunità simile con i promoter e gli spazi per le esibizioni: una fusione avrebbe reso più efficienti i tour e avrebbe facilitato le sponsorizzazioni milionarie e i contratti pubblicitari. L’azienda di Sillerman, la Sfx Entertainment, si lanciò quindi in un piano di spese folli, finanziato con un debito da due miliardi di dollari, che finì per portare sotto il controllo di un’unica azienda l’ultimo campo dell’industria musicale dominato gli operatori indipendenti. Quando nel 2000 Sillerman vendette la Sfx al canale radio Clear Channel Communication per 4,4 miliardi di dollari, un rapporto della Goldman Sachs stabilì che era “impossibile” fare un tour negli Stati Uniti senza suonare in uno spazio della Sfx.
Da una fusione all’altra
La più importante delle acquisizioni fatte da Sillerman fu quella del promoter canadese Core Audience Entertainment, perché il suo cofondatore era Michael Rapino. Rapino dice di essere “venuto dal nulla”, nello specifico da Thunder Bay, in Ontario. Da studente aveva cominciato a fare da promoter per alcune band nei bar mentre faceva il rappresentante per una marca di birra. Quando nel 2005 la Clear Channel scorporò la sua azienda di promozione musicale, sommersa dai debiti, e la chiamò Live Nation, il quarantenne Rapino ne diventò il primo amministratore delegato.
Rapino è un magnate del pop moderno: astuto, sobrio, con padronanza del linguaggio aziendale. Definisce gli artisti “marchi da miliardi di dollari” e la musica “una delle esperienze di consumo più appassionate”. Sposato con l’attrice di Star Trek Jolene Blalock dal 2003, è vegano, padre di tre figli e medita tutti i giorni. Si descrive come un introverso che non ama uscire a cena con i manager. “Le relazioni non sono importanti come in passato”, ha detto a Billboard. “I grandi prodotti parlano da soli”.
Rapino ha ampliato le attività della Live Nation, comprando quote di maggioranza nelle catene di locali e sale concerto in tutto il mondo ed entrando nel mercato dei festival. Ha lanciato anche un’azienda di management, la Artist Nation, che offriva “pacchetti completi” agli artisti (tra i quali gli U2 e Jay-Z), gestendo non solo i tour ma tutta la carriera. Nel frattempo, anche Ticketmaster si era espansa nel settore del management.
Entrambe le aziende, però, erano in rosso, soprattutto dopo la recessione del 2008. Nel febbraio 2009 i due giganti annunciarono delle trattative per la fusione nell’interesse della sopravvivenza reciproca, suscitando timori per la formazione di un monopolio verticale (quando un’unica società controlla diversi gradini di una filiera). Come scrisse il New Yorker, la fusione avrebbe unito “il più grande venditore di biglietti del mondo e la più grande società di management del mondo con il più grande promoter di concerti del mondo e il più grande gestore di sale del mondo”. Bruce Springsteen definì la fusione “l’unica cosa che renderebbe la situazione dei biglietti peggiore di quella attuale”. Tuttavia, nel gennaio 2010 il dipartimento di giustizia ha approvato la fusione, e Rapino è diventato l’amministratore delegato della Live Nation Entertainment.
Con star come Taylor Swift e i Coldplay la domanda supererà sempre l’offerta
Da allora ha continuato a ingrandire l’azienda, espandendosi sui mercati internazionali, come Brasile e India, e costruendo da zero nuove sale da concerto. Nel Regno Unito tra le sue proprietà rientrano l’immensa Academy Music Group e i festival di Reading e Leeds. Attualmente valutata 30 miliardi di dollari, l’azienda realizza più dell’80 per cento delle sue entrate dai concerti, ma più della metà dei suoi profitti dalla vendita di biglietti, dalle sponsorizzazioni e dalle pubblicità. Nel 2022 il pacchetto retributivo di Rapino era di 139 milioni di dollari, facendo di lui il quinto amministratore delegato più pagato degli Stati Uniti.
Esperienza unica
Quanto dovrebbe costare vedere la tua band preferita? La risposta dell’industria è sempre la stessa: di più. Trent’anni fa l’amministratore delegato di Ticketmaster Fred Rosen disse che i biglietti dei concerti sono “il bene con il prezzo più sottostimato rispetto al suo valore di mercato in America”, e Rapino oggi afferma che il loro prezzo di vendita è “enormemente sottostimato”. Parlando al podcast di Bob Lefsetz ha detto che perfino persone con redditi modesti troverebbero i soldi per fare un’esperienza unica. Anche se il suo paragone tra un concerto e una borsa di Gucci fa capire che ha una strana idea del concetto di “reddito modesto”, non sbaglia sul fatto che i fan sono disposti a pagare prezzi stratosferici.
Abbiamo già visto come i biglietti siano diventati così costosi. Tutto è cominciato negli anni ottanta, quando Rosen aumentò le spese di commissione per ingraziarsi le sale da concerto. Contemporaneamente, i manager dei grandi artisti cominciarono a chiedere una fetta più grande degli incassi per i propri clienti, cambiando gli standard dell’industria: se prima il 70 per cento degli incassi andava agli artisti, oggi si arriva anche al 90 per cento e oltre. Le maggiorazioni ai prezzi non servono a pagare un servizio – ovviamente vendere un biglietto online non costa 20 sterline – ma a dare più soldi ai venditori di biglietti e ai locali.
Attualmente ci sono tre supplementi che aumentano il prezzo di un biglietto su Ticketmaster del 20-30 per cento: una commissione di servizio, una tariffa per l’uso delle strutture e una quota per le spese amministrative. Alla sala (probabilmente di proprietà della Live Nation) spettano circa i due terzi della commissione e tutta la tariffa per la struttura. Ticketmaster si prende il resto. “Tutti chiedono una fetta”, dice Chambers, “soprattutto dopo il covid, che ha fatto perdere due anni d’incassi”.
Negli anni novanta Robert F.X. Sillerman provocò un’ulteriore inflazione strapagando gli artisti per ottenere ricchi contratti di sponsorizzazione. Secondo la pubblicazione di settore Pollstar, tra il 1996 e il 2003 il prezzo medio dei biglietti per i cento tour più importanti è quasi raddoppiato, passando da 25,8 a 50,3 dollari. All’epoca la pirateria digitale aveva ormai demolito le vendite di dischi e le entrate della musica dal vivo rappresentavano fino al 95 per cento del reddito di un artista. I progressi tecnologici nel campo delle scenografie per concerti hanno generato poi una costosa corsa agli armamenti audiovisivi. Di conseguenza il prezzo dei cento biglietti più gettonati è aumentato del 55 per cento negli anni dieci, raggiungendo i 92,4 dollari nel 2019, poco prima che il settore fosse bloccato dal lockdown.
L’epoca d’oro
Dopo la pandemia e l’invasione dell’Ucraina l’inflazione globale ha colpito ogni ramo della filiera, dai trasporti all’affitto delle sale agli stipendi. Questo ha coinciso con un’esplosione della domanda repressa, che Pollstar ha definito “l’epoca d’oro del live”. Nel 2019 le persone che avevano partecipato a uno spettacolo della Live Nation erano state 98 milioni; l’anno scorso sono state 151 milioni.
La maggior parte degli artisti medio-piccoli non esaurisce mai i posti e tanti di loro faticano a rientrare delle spese. Ma con delle superstar come Taylor Swift e i Coldplay la domanda supererà sempre l’offerta. Aggiungiamoci il bisogno del settore di compensare i diciotto mesi di blocco e il prezzo medio è schizzato, arrivando a 135,9 dollari nel 2024. Eppure Rapino sostiene che i prezzi in realtà sono ancora troppo bassi, perché le rivendite sul mercato secondario dimostrano il vero valore di mercato. Secondo questa logica il prezzo di un biglietto da cento sterline sarebbe inferiore al valore di mercato se un venditore secondario può piazzarlo a 400 sterline.
Gli artisti hanno sempre detestato i bagarini. “Non sappiamo più che fare per tenere i biglietti lontani dalle mani degli speculatori”, lamentava Charles Dickens durante il suo tour americano di letture pubbliche nel 1867. Eppure c’è una lunga e torbida storia di artisti e promoter che segretamente hanno dirottato una parte dei biglietti ai bagarini, ottenendone una percentuale. Il bagarinaggio si è spostato “dalle strade a internet”, per dirla con le parole di Rapino, quando nel 2000 il sito StubHub è stato lanciato con l’eufemistica etichetta di secondary ticketing.
All’epoca questo era l’unico modo per rivendere i propri tagliandi non utilizzabili, ma la nascita di piattaforme come Twickets, dove la compravendita avviene solo da fan a fan e al prezzo nominale, ne ha eliminato la ragion d’essere. Molti biglietti sui siti di rivendita sono stati ottenuti in blocco da bagarini professionali, talvolta con mezzi illegali, e rimessi in vendita in modo anonimo. L’autorità britannica per la concorrenza ha proposto un tetto del 10 per cento di maggiorazione sul prezzo nominale, ma la campagna FanFair Alliance vorrebbe che il Regno Unito seguisse l’iniziativa dell’Irlanda, rendendo illegale la rivendita a scopo di lucro.
Nel frattempo il settore sta rispondendo ai bagarini con tre mosse. Una è creare ostacoli, come i software contro i bot e le restrizioni sulle rivendite. Ma i bagarini trovano sempre un modo di aggirarli.
Un’altra è prendersi quella fetta della torta, ma le cose possono andare storte. Nel 2009 Ticketmaster indirizzò i fan di Bruce Springsteen sul suo mercato secondario TicketsNow prima ancora che i concerti avessero fatto il tutto esaurito. In quel caso il venditore primario e il bagarino erano la stessa cosa. “Ticketmaster ha tradito i fan e la nostra fiducia, e questo ci ha fatto infuriare, come a voi”, dichiarò Springsteen. Ticketmaster diede la colpa a un problema tecnico, si scusò e risarcì alcuni clienti. Nel 2018 l’azienda ha chiuso i suoi siti Seatwave e Get Me In! e ha introdotto una piattaforma di compravendita a prezzo nominale.
Il terzo metodo consiste nell’imporre tariffe più alte che riflettano il presunto valore di mercato. Così, i prezzi continuano a schizzare in alto in modi sempre più ingegnosi, per esempio con una differenza tra le prime file e quelle posteriori o con l’introduzione di un sistema di tariffazione a scaglioni: ogni volta che un lotto di biglietti si esaurisce, ne viene messo in vendita un altro più costoso. Poi ci sono le opzioni premium rivolte ai fan più accaniti e all’ospitalità aziendale. Il problema è che i pacchetti vip, insieme alle prevendite attraverso i fan club e gli sponsor, riducono il numero di biglietti disponibili per la vendita generale. Un’inchiesta del 2016 del procuratore generale di New York ha verificato che questi ultimi erano meno della metà del totale.
Il meccanismo più contestato, come hanno scoperto gli Oasis, è il dynamic pricing: più è alta la domanda, più sale il prezzo. Questa è una pratica usuale per i posti in aereo, le stanze d’albergo o le corse con Uber, ma ha fatto scalpore quando Ticketmaster l’ha applicata per la prima volta per un tour di Springsteen nel 2022. L’azienda ha risposto dicendo che solo un biglietto su dieci era stato destinato al dynamic pricing, ma ha omesso di avvertire in anticipo che il prezzo sarebbe potuto salire fino a cinquemila dollari. “L’acquisto dei biglietti è diventato molto confusionario”, si è lamentato Springsteen, “non solo per gli spettatori, ma anche per gli artisti”.
A differenza di altri settori, ci si aspetta che i musicisti abbiano un rapporto speciale con il proprio pubblico, quindi il prezzo dei biglietti tira in ballo anche questioni morali e di reputazione. Dopo il clamore nato intorno agli Oasis, la band ha bloccato il dynamic pricing per la vendita delle date negli Stati Uniti.
Posti vuoti
Quanto potrà continuare l’inflazione dei concerti? Le presenze sono leggermente diminuite dopo il picco successivo alla pandemia, ma i prezzi continuano a salire. L’anno scorso in molte arene e stadi sono rimasti posti vuoti, mentre alcuni tour, compresi quelli di Jennifer Lopez e dei Black Keys, sono stati cancellati. “È come quando nel 1999 le etichette discografiche pensavano: stiamo producendo cd e questo durerà per sempre”, dice un addetto ai lavori. “È una situazione simile: siamo a prova di recessione, la domanda è alle stelle, crescita, crescita, crescita”. Sappiamo com’è andata a finire.
I primi artisti ad attaccare pubblicamente il dominio di Ticketmaster sono stati i Pearl Jam. La band di Seattle voleva vendere i biglietti per il proprio tour estivo del 1994 a soli 20 dollari: 18 per loro e due per Ticketmaster. A Fred Rosen la cosa non andava bene. Quando Ticketmaster minacciò i promoter che avevano rotto i ranghi, la band cancellò il tour. “Ticketmaster ci ha detto: ‘Se non vi piacciamo, andate da un’altra parte’. Ma abbiamo scoperto che non c’erano alternative”, raccontò al New York Times il manager della band, Kelly Curtis. Il dipartimento di giustizia invitò i Pearl Jam a presentare una denuncia per violazione delle leggi antitrust e a testimoniare al congresso.
La battaglia fu persa nell’estate successiva. L’inchiesta dell’antitrust fu archiviata, mentre i tentativi dei Pearl Jam di aggirare Ticketmaster servendosi di un’azienda di vendita dal basso e di luoghi indipendenti come zone fieristiche e parchi statali si rivelò un disastro. Anche se l’episodio riuscì ad attirare l’attenzione sullo smisurato potere di Ticketmaster, la sconfitta della band scoraggiò gli altri esercenti dal prendere una posizione simile. “Se loro non ci sono riusciti”, si chiedeva Rolling Stone, “chi può farcela?”.
Oggi tra le celebrità il più accanito avversario di Ticketmaster è Robert Smith dei Cure. Per il tour statunitense del gruppo nel 2023 il cantante della band ha scelto un metodo orientato ai fan. Ha rifiutato il dynamic pricing, ha vietato le rivendite sul mercato secondario e ha reso disponibili i biglietti a 20 dollari (cifra che, aggiustata all’inflazione, equivale alla metà di quella che i Pearl Jam nel 1994 ritenevano giusta). Ma ha scoperto che le commissioni di Ticketmaster costano più dei biglietti. Smith allora ha gridato allo scandalo e Ticketmaster ha offerto risarcimenti parziali, affermando che i prezzi bassi voluti dalla band avevano mandato in cortocircuito il sistema. Anche se altri artisti tra cui i Coldplay e Neil Young hanno abbandonato il dynamic pricing, l’ostinazione di Smith rimane unica. “Le persone hanno il terrore di infastidire la Live Nation e Ticketmaster”, ha detto al New York Times. “In realtà è strano, perché il potere dell’artista è superiore a tutto”. In effetti, il cantante ha messo in imbarazzo gli artisti dimostrando che sono loro a dettare le condizioni, consapevoli che i fan tendono a prendersela con una multinazionale.
La Live Nation è ancora nel mirino. Il prezzo delle sue azioni ha avuto un’impennata dopo la vittoria di Donald Trump, perché in molti speravano che il dipartimento di giustizia avrebbe archiviato la causa antitrust, che invece prosegue, godendo di un raro sostegno di entrambi i partiti. Annullare la fusione scorporando l’azienda certamente aumenterebbe la concorrenza, ma non è chiaro se questo andrebbe realmente a beneficio dei fan, perché promoter e rivenditori rivali cercherebbero di ottenere contratti esclusivi offrendo più degli altri, ma poi dovrebbero recuperare gli anticipi alzando i prezzi. “Il contesto economico del settore della musica dal vivo è assurdo, perché la concorrenza spesso porta a prezzi più alti per i consumatori”, spiega Dean Budnick.
Intanto le critiche dei giornali e i polveroni sui social media sono la motivazione più efficace per una riforma. Rapino fa concessioni di facciata: si è ritirato dal mercato secondario e ha anticipato le normative che imporrebbero di mostrare tutte le commissioni nel prezzo iniziale. Con la sua ricchezza e il suo potere, difficilmente può essere considerato una vittima, tuttavia non è neppure il cattivo che alcuni vorrebbero dipingere. Anche i più feroci critici di Ticketmaster riconoscono che non ci sono soluzioni facili ai problemi, a meno che la domanda non crolli. Le aspettative dei fan devono mettersi al passo con gli aspetti economici della musica dal vivo.
Insomma, quando Ticketmaster, pur con tutte le sue colpe, si lamenta di essere un capro espiatorio, non ha del tutto torto. D’altronde, questa era stata la promessa di Fred Rosen ai suoi clienti quarant’anni fa. “Il lavoro di Ticketmaster è stato quello di prendere schiaffi in faccia per tutto il settore”, ha detto Rapino a Lefsetz. “È anche per questo che ti assumono”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1616 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati