Vientiane, piccola capitale del Laos a lungo assopita sulle rive del Mekong, è sempre più vicina a Pechino. Ormai la città è solo a tre ore e mezzo dalla frontiera cinese e a dieci ore da Kunming, il capoluogo della provincia dello Yunnan, grazie alla ferrovia costruita dalla Cina nel 2021 e operativa dall’aprile 2023. Gli effetti si fanno già sentire. Un albergo a cinque stelle del gruppo cinese Wanda, un grattacielo in vetro e acciaio alto 138 metri appena terminato a Vientiane, è l’edificio più alto del paese. A sud della città, in una zona speciale presentata come “la futura Shenzhen”, la grande fabbrica di celle fotovoltaiche della cinese SolarSpace si sviluppa più in fretta delle vicine risaie, dove i bufali sguazzano nei fossati inondati dall’acqua del monsone.

La Cina sta usando tutto il suo peso per trasformare il Laos, uno dei paesi più poveri del mondo, in meglio e in peggio. Pechino si presenta come la grande fornitrice di opportunità e di soluzioni di sviluppo, secondo il principio della “comunità dal futuro condiviso”, tessendo le nuove vie della seta nei paesi vicini. Isolato e a lungo ridotto al ruolo di “batteria del sudest asiatico” con la sua miriade di dighe idroelettriche, il Laos si vede promettere un ruolo importante, quello di “piattaforma logistica” al servizio degli scambi tra la Cina e i paesi del Mekong, e con il resto del mondo. Sotto la spinta del presidente Xi Jinping, sono nate varie enclave cinesi in forma di zone economiche speciali o di concessioni. Le abbondanti riserve agricole e le risorse naturali del Laos sono ormai a portata di treno o di camion per il mercato cinese, che moltiplica gli annunci di investimenti.

Il frutto d’oro

Nel suo showroom non lontano dalla capitale, Elavanh Latpakdee, imprenditore di 35 anni, spera di poter partecipare al “sogno cinese” approfittando della corsa al durian. Dal 2010 la Cina è il principale paese acquirente di questo grosso frutto dal guscio spinoso, dal sapore dolciastro e dall’odore nauseabondo. La forte domanda ha reso più dinamica la filiera nei paesi produttori del sudest asiatico: le esportazioni annuali di durian dalla Thailandia e dal Vietnam in Cina valgono miliardi di dollari. Per Pechino è l’occasione di dare qualcosa ai paesi che hanno aderito alle “nuove vie della seta” e che sono suoi debitori nella bilancia commerciale.

Il Laos è ai blocchi di partenza nella produzione di durian. L’esportazione verso la Cina non è stata ancora autorizzata, ma la filiera si sta già organizzando. “Stiamo creando un’associazione di produttori grazie alle procedure agevolate del governo. Gli ispettori cinesi visiteranno tredici coltivazioni”, spiega Elavanh. Insieme alla moglie, questo ex insegnante di break dance ha prima importato il frutto dalla Thailandia, poi ha cominciato a coltivarlo direttamente in un terreno di cinque ettari non lontano dall’autostrada cinese che collega Vientiane con Vang Vieng, 130 chilometri più a nord della capitale. Dopo aver studiato con gli agronomi tailandesi, padroneggia le impegnative tecniche di produzione: il durian, soprannominato il “caviale dei frutti”, richiede una raccolta programmata e un trasporto refrigerato a 12 gradi. Inoltre la Cina, molto severa sull’uso dei pesticidi, ha già inserito sulla sua lista nera alcuni produttori tailandesi o vietnamiti che non rispettavano i suoi standard. Secondo Elavanh il Laos può diventare un esportatore importante: “Le nostre terre sono migliori e meno sfruttate, possiamo proporre prodotti di qualità fin da subito”.

La zona economica speciale di Boten, Laos, 9 aprile 2024 (Lauren DeCicca, Getty)

Più della metà dei piantatori è laotiana, precisa l’imprenditore, mentre gli altri sono cinesi o tailandesi. Gli investitori cinesi dovrebbero finanziare degli impianti di conservazione, come hanno fatto altrove. La coppia riceve già ora richieste pressanti dagli importatori del Guangxi. Elavanh è anche regolarmente invitato a Jinghong, prima grande città cinese dopo la frontiera, lungo la nuova ferrovia. Qui condivide le sue conoscenze con degli agronomi cinesi che lavorano all’elaborazione di una varietà transgenica capace di resistere a una temperatura di 4 gradi.

In attesa degli accordi sull’esportazione, la ferrovia ha aperto la strada ai laotiani del settore. Nei periodi di raccolta Elavanh trasporta decine di container di durian provenienti dalla Thailandia fino a Boten, ultima città laotiana prima del confine con la Cina, dove i passeggeri del treno devono scendere e superare a piedi la frontiera per poi risalire sul loro vagone. Boten, un tempo famosa per il casinò gestito dalla mafia cinese, ha visto il suo destino cambiare nel 2012. Quell’anno la città di frontiera è stata concessa per cinquant’anni all’Haicheng industrial group, una conglomerata dello Yunnan, che nel 2016 ha lanciato la costruzione di una zona economica speciale riservata ai servizi e alla logistica.

Oggi Boten si presenta come una città cinese di transito. I suoi imponenti palazzi di venti o trenta piani con i tetti a pagoda si alternano ai cantieri di abitazioni incompiute. Per le strade i veicoli con targa dello Yunnan passano davanti ai chioschi di noodles all’aperto e ai piccoli supermercati cinesi. La sera i pianterreni s’illuminano di neon rosa con ragazze in minigonna che aspettano i loro clienti sui divani. La sicurezza onnipresente è garantita da vigili e poliziotti cinesi, riconoscibili nelle loro uniformi con la scritta “Jing Cha” (polizia) in lettere latine, che pattugliano in moto. La metà degli effettivi delle forze dell’ordine locali è cinese.

“Ho fatto delle ricerche e penso che Boten sia un luogo promettente; la presenza della polizia cinese dà sicurezza”, dice un imprenditore cinese dello Yunnan sulla quarantina che vuole mantenere l’anonimato e che è venuto qui per sfruttare le “opportunità” d’affari offerte dal settore medico. “Il governo cinese ha deciso di investire pesantemente per trasformare Boten in un centro strategico quando ha visto i gravi problemi alla frontiera con la Birmania dovuti alla guerra, alla criminalità e al riciclaggio di denaro. A Boten tutto questo è vietato, tranne la prostituzione, che è tollerata”. Tuttavia l’imprenditore riconosce che il gruppo Haicheng, responsabile della zona economica speciale, “ha qualche problema di liquidità”. “Con la pandemia le vendite sono state meno buone del previsto, ma l’azienda dispone di terreni, di beni immobili, di diritti e sa gestire bene le sue attività”, racconta l’uomo d’affari. “La Cina concede delle agevolazioni alle imprese cinesi, che approfittano delle infrastrutture in costruzione, mentre l’amministrazione rimane laotiana”. Un modello che secondo lui è vantaggioso per tutti e offre un futuro promettente. “Per farsi sostenere da una nazione potente, un piccolo paese dev’essere degno di fiducia e obbedire”.

Goodbye Mister Wong, un film franco-laotiano realizzato nel 2020, chiarisce la complessità dei rapporti tra la Cina e il Laos. Una donna laotiana che vive di turismo è corteggiata da un ricco cinese. Lui le promette ricchezza e felicità a condizione di cedere alle sue richieste. Tuttavia la ragazza decide di rimanere fedele al suo amore di gioventù, un connazionale. Ricco di sfumature, il film, che ha ricevuto l’autorizzazione del dipartimento del cinema laotiano, mette in scena un personaggio cinese molto ambiguo. “Il cinese del mio film è piuttosto gentile ma si capisce che potrebbe diventare cattivo”, confida il regista, Kiyé Simon Luang. Un po’ come la Cina.

Nel 2022 la combinazione di pandemia, rallentamento dell’economia cinese e scadenza prematura dei debiti ha sconvolto i piani di finanziamento del gruppo Haicheng. La crisi ha travolto il Laos: inflazione galoppante, svalutazione della moneta e forte aumento del debito estero, che nel 2023 è arrivato al 115 per cento del pil, per poi riscendere al 99 per cento. Ma la situazione rimane critica. In aprile un rapporto del centro studi australiano Lowy institute ha lanciato l’allarme su quella che descrive come “una delle patologie più preoccupanti della diplomazia del credito cinese nel contesto delle ‘nuove vie della seta’”. Secondo gli autori, “la Cina, volutamente o meno, ha contribuito a spingere il Laos nella trappola del debito”. Di fatto Pechino detiene almeno il 50 per cento del debito estero del Laos, cioè una percentuale molto superiore a quella osservata durante la crisi economica dello Sri Lanka nel 2017 (la Cina possedeva il 9 per cento), che portò il paese a dare in concessione a Pechino per 99 anni il porto di Hambantota, nel sud del paese.

La moltiplicazione di infrastrutture e di zone sotto il suo controllo permette alla Cina di estendere la sua influenza senza installare basi militari

Grazie a questa posizione di forza Pechino può muoversi liberamente in Laos, strategicamente collocato tra il Vietnam e la Thailandia, le due grandi potenze regionali, e al tempo stesso offrire un accesso alla Cambogia, sua principale alleata tra i paesi del Mekong. “Il Laos condivide una lunga frontiera terrestre con la Thailandia e il Vietnam – usata come campo di battaglia dagli antichi regni tailandesi e vietnamiti – il che rende la presenza cinese in questo paese particolarmente preoccupante per i paesi vicini”, ricordano gli esperti Tita Sanglee e Khang Vu, rispettivamente tailandese e vietnamita, in un articolo uscito su The Diplomat. Entrambi sono favorevoli a una nuova “intesa strategica” tra la Thailandia e il Viet­nam per contrastare l’influenza crescente della Cina nei paesi vicini.

Strategia vincente

Come altrove nella regione, la moltiplicazione di infrastrutture e di zone sotto il suo controllo permette a Pechino di estendere la propria influenza senza installare basi militari all’estero, una politica a cui tiene molto (la sua unica base navale accertata fuori delle sue frontiere è quella di Gibuti). Questo le assicura una presenza discreta in funzione preventiva e al tempo stesso le facilita, se necessario, la possibilità di dislocare delle truppe. La strategia è diventata evidente nel luglio 2024, durante le manovre militari congiunte sinolaotiane chiamate “scudo dell’amicizia”. Di fatto l’esercito popolare di liberazione ne aveva approfittato per “testare” la linea ferroviaria cinese trasportando fino alla stazione di Phonhong, settanta chilometri a nord di Vientiane, circa trecento soldati insieme a mezzi blindati e a del materiale militare.

Sul debito la Cina si sforza di essere generosa. Dal 2020 rinvia il rimborso degli interessi sul debito laotiano, circa 2,5 miliardi di dollari (2,1 miliardi di euro). Di fatto è l’unico creditore ad averlo fatto, poiché il Laos non ha potuto beneficiare dell’iniziativa internazionale del G20 per sospendere il servizio del debito per i paesi più poveri nel 2020 e 2021. Tuttavia la maggioranza dei prestiti cinesi non è sottoposta a “condizioni preferenziali”, cioè i tassi sono vicini a quelli di mercato e sono negoziati in dollari. Di conseguenza il costo degli interessi per il Laos è cresciuto molto, passando, secondo la Banca mondiale, dall’1,1 per cento del pil nel 2023 al 3,2 per cento nel 2024 – cioè più della metà della spesa pubblica del paese. L’onere è aumentato dopo la forte svalutazione nel 2022 del kip, la moneta nazionale.

Il sovraindebitamento del Laos è legato a 35 progetti cinesi avviati dal 2010, secondo il Lowy institute. Quasi sei miliardi di dollari di prestiti sono stati investiti nello sviluppo del settore idroelettrico destinato al mercato interno, rompendo con la logica delle concessioni dirette all’esportazione, adottata dal Vietnam e dalla Thailandia. Con l’arrivo della Cina, il modello è andato fuori controllo provocando un eccesso di capacità e importanti perdite finanziarie per l’azienda elettrica statale del Laos. Nel 2020 questa ha dovuto cedere per 25 anni all’operatore cinese China southern power grid il 90 per cento della sua controllata di gestione delle linee ad alta tensione, per un valore di 625 milioni di dollari (circa un decimo del suo debito). Da allora l’azienda dello Yunnan è responsabile dei futuri investimenti infrastrutturali, ma intasca anche quasi tutti i profitti legati al trasporto dell’elettricità.

La ferrovia che collega la Cina al Laos è costata in totale sei miliardi di dollari, ma il governo laotiano ha dovuto contribuire solo con 480 milioni di dollari, sotto forma di prestiti. Di fatto questa somma rappresenta la quota minoritaria del Laos nell’azienda che gestisce la ferrovia. In altri termini questa linea appartiene già alla Cina per i prossimi settant’anni, come previsto dalla concessione.

Tagli a sanità e istruzione

Il sovraindebitamento del Laos pesa anche sulla spesa pubblica. Il rapporto di sorveglianza economica della Banca mondiale, uscito a maggio, mostra che le spese per l’istruzione e la sanità rappresentavano nel 2024 solo l’11,3 per cento del bilancio, quasi la metà rispetto al 2019. A loro volta quelle per la manutenzione delle infrastrutture stradali erano un terzo rispetto al necessario, mentre il numero crescente di camion che trasportano durian, banane e manioca distrugge l’asfalto.

Preso alla gola, il governo laotiano è costretto a ristrutturare le sue aziende pubbliche, spesso indebitate. Questo avvantaggia le imprese cinesi: il costruttore aeronautico Comac ha proposto di comprare il 51 per cento della Lao Airlines, la compagnia di bandiera, come ha rivelato il primo ministro Sonexay Siphandone durante la sessione parlamentare del 9 giugno. “Il sistema cinese è molto segmentato e serve prudenza nel fare collegamenti”, dice Roland Rajah, uno degli autori del rapporto del Lowy institute. “Ma la situazione del debito del Laos è diventata insostenibile ed è quindi probabile che il governo continui a vendere beni statali a imprese cinesi e di altri paesi”. Il costruttore aeronautico cinese, che vuole vendere il suo nuovo apparecchio, il C909, su un mercato mondiale dominato dalla Airbus e dalla Boeing, aveva già negoziato in aprile il leasing di uno dei suoi aerei alla Lao Airlines. Prendere il controllo della compagnia di bandiera laotiana gli permetterebbe di migliorare la sua strategia internazionale.

Dal 1975 il Laos è governato dal Pathet Lao, un partito comunista che ha rovesciato la monarchia per instaurare la Repubblica democratica popolare del Laos. Finora il partito ha dato poco spazio al dissenso, ma la sessione dell’assemblea nazionale di giugno è stata caratterizzata dall’intervento di Valy Vetsaphong, deputata di Vientiane e proprietaria di una clinica privata. Vetsaphong si è detta preoccupata della cessione di risorse strategiche come la Lao Airlines a un investitore straniero, che si rifiuta peraltro di farsi carico del debito dell’impresa. La deputata ha anche criticato la cattiva gestione della compagnia elettrica nazionale, molto indebitata, che obbligherà la popolazione a sopportare gli aumenti delle tariffe. “È una novità. Dal 2022, con l’aumento dell’inflazione, i deputati cominciano a prendere la parola per esprimere delle critiche”, conferma Emilie Pradichit, francolaotiana a capo della fondazione Manushya, un’ong per diritti umani con sede a Bangkok.

“I matrimoni con i cinesi sono in aumento, e questo non riguarda solo i contadini ma anche gli impiegati di banca e l’alta borghesia”

Ma al di fuori di queste voci autorizzate, in Laos il dissenso esplicito rimane raro. Soprattutto dopo il tentato omicidio nell’aprile 2023 a Vientiane di “Jack” Anousa Luangsuphom, un blogger di 25 anni che sulla sua pagina Facebook scriveva: “Per la sopravvivenza del Laos; per non essere schiavi della Cina”. “Le autorità laotiane non vogliono mostrare di aver perso la loro sovranità, né di agire solo al servizio degli interessi cinesi; sono molto sensibili a questi argomenti e reprimono le discussioni sui rapporti con Pechino”, dice Joseph Akaravong, un dissidente laotiano che si è rifugiato in Francia nel 2018. Anche lui è stato vittima di un’aggressione con un coltello il 14 giugno a Pau (città del sudovest della Francia), per motivi probabilmente politici.

Un’immagine positiva

Ma anche se talvolta la stampa laotiana parla di casi di inquinamento per l’uso di pesticidi o di terreni espropriati da aziende cinesi, tra la popolazione la Cina gode comunque di un’immagine sempre più positiva. Un’evoluzione che non è solo il frutto della diffusione gratuita del quotidiano in lingua inglese China Daily, la voce di Pechino, onnipresente a Vientiane e stampato dalla tipografia nazionale del Laos. “Cinque o dieci anni fa si avvertiva una certa diffidenza di fronte all’arrivo in massa dei cinesi”, ricorda il regista Simon Kiyé Luang. Ma la ferrovia cinese, prima linea importante del paese, ha cambiato la situazione: “I treni non sono cari e sono molto apprezzati dai laotiani”, spiega il regista.

La nuova borghesia di Vientiane gira in Byd, l’automobile elettrica cinese, compra smartphone Honor, ex filiale della Huawei, e fa sposare i figli con i cinesi. “È un movimento di fondo, i matrimoni con i cinesi sono in aumento, e questo non riguarda solo i contadini ma anche gli impiegati di banca e l’alta borghesia”, osserva una francese che ha studiato antropologia e che lavora da molti anni a Vientiane, ma preferisce mantenere l’anonimato. “Tutto questo può essere analizzato come una strategia di protezione nei confronti di un futuro incerto: è sempre bene avere una figlia sposata con un cinese o viceversa. Un fenomeno simile era stato osservato con la vecchia classe dirigente, all’epoca della rivoluzione comunista nel 1975”.

I corsi dell’istituto Confucio attirano i giovani, che disertano l’università. Ogni anno la fila per le iscrizioni si forma all’alba, mentre nelle cinque università del Laos nell’anno accademico 2024-25 gli iscritti erano solo 26.551, la metà rispetto al 2017. Nel 2023 duemila candidati si erano presentati al dipartimento di cinese dell’università del Laos, l’unico in cui gli studenti sono in aumento. Le borse di studio per la Cina sono così ambite che sarebbero oggetto di contrabbando.

Soldati nelle scuole

◆ Il 1 settembre 2025 l’anno scolastico in Laos è cominciato in salita a causa della grave carenza di insegnanti in tutto il paese, e in modo particolare nelle zone rurali, dove il governo ha annunciato che manderà duemila soldati dopo averli addestrati. Il piano rivolto ai militari include un periodo di formazione, con insegnanti specializzati e incentivi economici sotto forma di promozione. La situazione rimane comunque grave e nelle zone rurali le famiglie ritirano i figli da scuola a causa dell’eccessiva distanza da casa, della mancanza di dormitori e della povertà. Gli insegnanti sono dipendenti pubblici e molti giovani offrono servizio nelle scuole come volontari in attesa di un impiego stipendiato. Ma l’inflazione e la crisi economica hanno reso meno probabile la speranza di un lavoro a tempo pieno e sempre più volontari lasciano il loro posto nelle scuole. Laotian Times, Rfa


A lungo dipendente dal grande fratello comunista, il Vietnam, e dalla vicina Thailandia, che assorbe un numero crescente di migranti laotiani, il Laos comincia oggi a sognare un futuro da “piccola tigre” asiatica all’ombra della Cina. Simbolo di questa ambizione, la grande zona economica speciale (sez) di Saysettha, a nord-est di Vientiane, non lontano dallo scalo ferroviario commerciale della linea sino-laotiana, s’impone come uno dei gioielli del “corridoio economico Laos­-Cina”. Posta sotto la gestione del gruppo Yunnan construction and investment, un conglomerato statale della provincia cinese dello Yunnan, questa zona accanto alla zona economica speciale di Boten, rappresenta uno dei progetti principali del “Piano di azione 2024-2028 per una comunità dal futuro condiviso tra la Cina e il Laos”. Il documento, firmato nel 2023 ai massimi livelli dei due regimi comunisti, lega ancora di più il futuro del paese a quello del suo potente vicino e protettore.

La futura zona industriale, circondata da risaie, dovrebbe diventare una nuova Shenzhen. Attira le aziende grazie agli incentivi fiscali e ai vantaggi preferenziali di cui beneficia il Laos, in ragione del suo status di paese meno avanzato nell’Organizzazione mondiale del commercio, nelle esportazioni verso gli Stati Uniti e l’Europa. Gli stabilimenti dell’impresa cinese SolarSpace, specializzata nelle celle fotovoltaiche, si estendono già per centinaia di metri lungo una strada appena asfaltata. Mentre dalla fine del 2024 i pannelli solari cinesi fabbricati in Vietnam, in Thailandia, in Malaysia e in Cambogia sono sottoposti a dazi doganali proibitivi imposti dall’amministrazione statunitense (tra il 45 e il 3.500 per cento), è stato osservato l’arrivo sul mercato di prodotti “made in Indonesia” e “made in Laos”.

“La SolarSpace ha giocato in anticipo perché è stata una delle prime a costruire una fabbrica in Laos”, dice Yana Hryshko, specialista nel settore della fornitura di energia solare presso la società di consulenza Wood Mackenzie. “Di conseguenza ha eluso i radar delle tariffe antidumping e dei dazi statunitensi”. Ma questa situazione privilegiata è instabile. “Una nuova serie di dazi potrebbe abbattersi sui produttori in Indonesia, in India e in Laos, che quindi rischierebbero di perdere il loro unico cliente”, avverte Hryshko. Uno scenario catastrofico per il piccolo Laos, che potrebbe fare le spese della guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1630 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati