La torre di controllo dell’aeroporto di Gatwick è un brulicare di attività. Nelle ore di punta i controllori di volo del secondo aeroporto più grande del Regno Unito gestiscono un decollo o un atterraggio quasi ogni minuto.

Entro il 2030 potrebbero essere ancora più impegnati: il governo ha da poco approvato il piano per la costruzione di una seconda pista, che potrebbe portare la sua capacità a 80 milioni di passeggeri all’anno.

Anche altri tre aeroporti londinesi si stanno espandendo, prima ancora della controversa terza pista pianificata di Heath­row, e gli aeroporti di Parigi Charles de Gaulle e Barcellona El Prat hanno ripreso quest’anno piani di sviluppo che prevedono un’espansione.

Secondo il gruppo ambientalista Trans­port & environment (T&E), con sede a Bruxelles, entro la metà del secolo il numero di passeggeri è destinato a raddoppiare nell’Unione europea e aumenterà ancora più rapidamente in altre regioni del mondo, man mano che le classi medie emergenti cominceranno a volare.

A novembre i governi si riuniranno in Brasile per la prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Uno dei temi all’ordine del giorno sarà come ottenere finanziamenti per il clima dalle industrie più inquinanti, tra cui c’è l’aviazione.

La sfida è immensa. Gli aerei a idrogeno sono lontani decenni dalla fattibilità commerciale, il carburante sostenibile per l’aviazione (Saf) è ancora agli albori e i tentativi di convincere le persone a non viaggiare in aereo sono stati praticamente abbandonati a causa della mancanza di alternative e della necessità di generare crescita economica.

“L’agenda verde è morta”, ha dichiarato recentemente l’amministratore delegato di Ryanair Michael O’Leary. “Sono finiti i tempi in cui francesi, olandesi e tedeschi cercavano di convincerci che dovevamo tutti andare in bicicletta, in treno o in autostrada”.

Il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha messo in crisi le intenzioni europee di tassare le emissioni di anidride carbonica associate ai voli a lungo raggio.

Non così piccolo

Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), in termini di gas serra il trasporto aereo è un pesce piccolo, responsabile di meno del 3 per cento delle emissioni globali legate all’energia. Ma secondo gli scienziati il suo impatto sul cambiamento climatico è maggiore, perché le scie di condensazione che gli aerei possono lasciare ad alta quota intrappolano il calore nell’atmosfera. Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, le scie di condensazione sono responsabili di oltre la metà del riscaldamento prodotto dall’aviazione.

Il progetto di monitoraggio Climate action tracker, che classifica i paesi e alcune industrie in base ai loro sforzi per ridurre le emissioni, ha definito quelli delle compagnie aeree “criticamente insufficienti”, addirittura inferiori a quelli del trasporto marittimo, un altro settore a corto di alternative sostenibili per il suo carburante.

Il comitato sul cambiamento climatico che fornisce consulenza al governo britannico prevede che entro il 2040 l’aviazione diventerà il settore con le maggiori emissioni del paese. Questo perché le sue emissioni sono difficili da ridurre senza abbassare il numero di passeggeri, mentre quelle di altri settori sono destinate a diminuire drasticamente.

Le compagnie aeree affermano di essere già impegnate a ridurre le emissioni. “L’aviazione ha un valore economico e sociale. Il problema è l’anidride carbonica, non i voli”, afferma Luis Gallego, amministratore delegato della British Airways e dell’International airlines group (Iag), proprietario della Iberia. “La sfida per l’industria aeronautica è crescere riducendo allo stesso tempo le emissioni di anidride carbonica”.

Ma secondo Tim Johnson, dell’Aviation environment federation, è “incredibilmente frustrante” che le soluzioni non siano state introdotte al ritmo necessario per tenere il passo con la crescita del traffico. “Tutti gli obiettivi e i traguardi che abbiamo hanno come orizzonte il 2050”, aggiunge. “Questo ci permette di pensare alle possibilità invece che alla realtà commerciale”.

È finito l’olio

Compagnie aeree, aeroporti e attivisti hanno opinioni molto diverse su quale sia il modo migliore per ridurre le emissioni dell’aviazione, tra carburanti più puliti, meccanismi di compensazione o riduzione del numero di passeggeri. Ma sono d’accordo che bisogna rivedere radicalmente le politiche pubbliche in materia di aviazione. Mentre le emissioni di auto e camion possono essere eliminate dalle batterie o ridotte dalla propulsione ibrida, la fisica del volo rende difficile sostituire i carburanti ad alta densità energetica.

La principale soluzione proposta dalle compagnie aeree è il carburante per aviazione sostenibile (Saf). In Europa deve essere aggiunto al carburante tradizionale per costituire almeno il 2 per cento della miscela finale, una quota che dovrebbe salire al 22 per cento nel Regno Unito e al 70 per cento nell’Unione europea e in Svizzera entro il 2040.

Gallego ritiene che il Saf rappresenterà “una parte importante” della soluzione. “Oggi è solo l’1,9 per cento del nostro carburante, ma arriveremo al 10 entro il 2030”.

Gli acquisti di Saf possono anche essere conteggiati nel sistema di scambio di quote di emissione per le compagnie aeree noto come Carbon offsetting and reduction scheme for international aviation (Corsia). L’obiettivo è limitare le emissioni nette all’85 per cento del picco toccato nel 2019 prima della pandemia, per raggiungere la “crescita a emissioni zero” auspicata dal settore.

Lo stabilimento della Rolls-Royce a Derby, maggio 2021 (Davide Monteleone)

Quando viene bruciato il Saf emette la stessa quantità di anidride carbonica del cherosene, ma è prodotto a partire da olio da cucina esausto o altri grassi, rifiuti organici o colture, invece che da fonti fossili. Secondo le aziende questo permette di risparmiare sulle emissioni derivanti dalla combustione degli idrocarburi, che così restano nel sottosuolo.

Il Saf ricavato da queste fonti costa da due a otto volte di più del carburante convenzionale, e non c’è abbastanza olio esausto nel mondo per produrne una quantità sufficiente a raggiungere gli obiettivi. “Se si considera la capacità prevista, non arriveremo al livello di cui abbiamo bisogno almeno fino al 2030”, afferma Daisy Robinson, un’analista della società di ricerca sull’energia BloombergNef. “C’è bisogno di politiche che facciano decollare il mercato e stimolino la domanda”.

Inoltre gran parte delle materie prime attualmente proviene dalla Cina, e la disponibilità è destinata a diminuire se, come previsto, Pechino stabilirà i propri requisiti sul Saf nel nuovo piano quinquennale.

La produzione di Saf con i due principali metodi alternativi (da rifiuti domestici o agricoli, oppure catturando il carbonio dall’atmosfera) è ancora molto limitata, anche se alcuni analisti ritengono che aumenterà nel tempo grazie a maggiori investimenti. “Il Saf è assolutamente fondamentale per raggiungere l’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro il 2050”, ha affermato di recente Willie Walsh della International air transport association (Iata). Ma la produzione “non è al livello di cui abbiamo bisogno”. Walsh, ex presidente del gruppo Iag, è preoccupato che gli obblighi di produrre Saf imposti alle aziende stiano facendo salire i costi per le compagnie aeree, senza ottenere il necessario aumento dell’offerta.

Crescita incontrollata

In ogni caso qualsiasi vantaggio dovuto all’uso di carburante più pulito sarebbe neutralizzato dall’aumento dei viaggi aerei. Secondo un’analisi di T&E, nel 2049 il settore brucerà almeno la stessa quantità di cherosene di oggi. “C’è una spinta molto forte dell’industria aeronautica a consentire una crescita incontrollata, ed è qui che sorge il problema”, afferma Diane Vitry, responsabile di T&E per l’aviazione.

Heidi Alexander, la ministra dei trasporti britannica che ha appena approvato la costruzione della nuova pista di Gatwick, ammette le contraddizioni. “La gente vuole volare, ma se vogliamo che più persone lo facciano dobbiamo rendere i voli più ecologici”, ha dichiarato al Financial Times.

La maggior parte dei politici ritiene che un aumento dei viaggi aerei si traduca in una maggiore crescita economica, attirando turismo, creando posti di lavoro e, sperano, aiutandoli a farsi rieleggere. Il sindaco di Londra Sadiq Khan è contrario alla terza pista di Heathrow, ma ha accolto con favore l’espansione di altri aeroporti londinesi. “Vedo i benefici dell’aviazione per la nostra città e il nostro paese in termini di posti di lavoro e in termini di economia, per coloro che usano l’aereo per andare in vacanza e fare visita alle persone”, afferma. “Allo stesso tempo, dobbiamo assicurarci di rispettare gli obblighi che abbiamo per affrontare l’emergenza climatica”.

Secondo un’analisi del gruppo Transport & environment, nel 2049 i trasporti aerei bruceranno almeno la stessa quantità di cherosene di oggi

A settembre, quando esperti di aviazione e lobbisti di tutto il mondo hanno partecipato alla riunione dell’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (Icao) delle Nazioni Unite a Montréal, le già deboli prospettive di cooperazione globale per imporre un prezzo alle emissioni dell’aviazione hanno subìto un altro duro colpo. All’inizio dell’incontro il segretario ai trasporti statunitense Sean Duffy ha esortato i partecipanti a evitare interventi sul cambiamento climatico, che lo stesso giorno Trump ha definito “la più grande truffa mai compiuta ai danni del mondo”.

“Ecco la dura verità”, ha detto Duffy. “Nel corso degli anni, questo organismo si è spinto ben oltre il suo mandato, sprecando risorse essenziali in programmi sociali o iniziative di finanziamento per il clima che non hanno nulla a che fare con la sicurezza, la protezione e l’efficienza del sistema di trasporto aereo globale”.

L’India, la Cina e la Russia non hanno voluto dire se costringeranno le compagnie aeree a partecipare al Corsia, il sistema commerciale ideato dall’Icao e sostenuto dalle compagnie aeree a cui hanno aderito 130 paesi, quando nel 2027 sarà implementato al livello globale. Gli Stati Uniti non hanno ancora imposto di aderire al Corsia alle loro compagnie aeree, tra cui ci sono alcune delle più grandi al mondo.

Le pressioni di Washington

La credibilità del Corsia come alternativa a una carbon tax è discutibile anche per altri motivi. Sebbene le compagnie aeree affermino di compensare le proprie emissioni acquistando crediti equivalenti a una tonnellata di anidride carbonica ridotta o evitata, questi crediti sono scarsi. Ma sono comunque molto più economici rispetto alle carbon tax dell’Unione europea, in parte a causa dell’incertezza del mercato sulla loro contabilizzazione.

L’unico progetto che attualmente sostiene il Corsia punta a evitare la deforestazione in Guyana, un paese sudamericano che è diventato uno stato petrolifero dopo la scoperta di un importante giacimento al largo delle sue coste.

A maggio il rapporto di un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha criticato la Guyana per le incongruenze e le lacune nelle sue stime sulla quantità di anidride carbonica immagazzinata negli alberi delle sue foreste. Ha inoltre messo in dubbio che la Guyana fosse stata “prudente” nello stimare quanta deforestazione sarebbe stata evitata grazie ai fondi generati da ciascun credito di carbonio.

Il governo della Guyana ha replicato che l’adeguamento autorizzato era in linea con le norme delle Nazioni Unite e giustificato dalle circostanze economiche. L’Unione europea ha dichiarato che valuterà l’efficacia del Corsia nel 2026.

In molti paesi il combustibile per aerei non è tassato, il che equivale a sovvenzionare l’aviazione rispetto ad altre forme di trasporto. “Una compagnia aerea che vola da Londra alle Maldive paga meno tasse sul carburante di un genitore che accompagna i figli a scuola”, afferma Laurence Tubiana, inviata speciale in Europa per l’imminente vertice sul clima Cop30.

Tubiana è anche copresidente della task force globale sui contributi di solidarietà, istituita dalla Francia, dal Kenya e da altri paesi durante la Cop28 di Dubai per valutare come raccogliere i fondi necessari per aiutare i paesi in via di sviluppo ad adattarsi all’innalzamento del livello del mare e agli eventi meteorologici estremi. L’aviazione è una delle sei aree di indagine.

Basso costo, alte emissioni
Emissioni dei voli da e per l’Europa nel 2024, milioni di tonnellate di CO2 (Transport & Environment)

L’Unione europea aveva tentato di tassare i voli internazionali in partenza e in arrivo più di dieci anni fa, ma aveva dovuto fare marcia indietro dopo che un’associazione di categoria delle compagnie aeree statunitensi le aveva fatto causa e John Thune, attualmente leader della maggioranza al senato, aveva proposto una legge che impediva alle aziende americane di pagare la tassa. La Cina aveva sospeso gli ordini di aerei alla Airbus e anche Russia e India avevano minacciato ritorsioni.

Si prevede che l’amministrazione Trump renderà qualsiasi tentativo di riavviare il processo troppo doloroso per poterlo anche solo prendere in considerazione. Washing­ton si è già ritirata dai colloqui mediati dalle Nazioni Unite per discutere di una tassa sulle emissioni del trasporto marittimo e ha minacciato ritorsioni contro gli stati che la sottoscriveranno.

L’opposizione degli Stati Uniti è importante perché alcune delle rotte più inquinanti del mondo, tra cui i tanti collegamenti tra Londra e New York, non sono coperte dai sistemi di tassazione delle emissioni di carbonio per i voli dell’Unione europea, della Svizzera o del Regno Unito.

Gli attivisti che guardano oltre la presidenza di Trump propongono di aumentare la tassa europea sui voli locali per includere pienamente nel prezzo gli effetti delle scie di condensazione, le emissioni di gas serra diversi dall’anidride carbonica e l’inquinamento dei jet privati, oltre a tassare i voli da e per l’Unione. Secondo la società di consulenza indipendente Carbone 4, ciò comporterebbe un aumento delle spese fino a 1.200 miliardi di euro entro il 2040, che sarebbe molto più oneroso per le compagnie aeree rispetto al mercato dei crediti di emissione.

L’Unione potrebbe investire parte del ricavato in progetti per un sistema ferroviario, stradale e portuale che offra ai cittadini alternative più economiche ai voli a corto raggio. La Commissione europea stima che il completamento dei suoi piani per collegare i principali centri abitati ed economici entro il 2030 costerà 515 miliardi di euro.

Cambiare rotta

Di fronte allo stallo sulla tassazione dell’aviazione a livello mondiale e ai dubbi sul Saf e sui sistemi di compensazione delle emissioni di carbonio, governi, ricercatori e attivisti stanno cercando modi meno complessi per ridurre o mitigare l’impatto dell’aviazione.

Alcuni scienziati sostengono che modificando le traiettorie di volo si potrebbero ridurre significativamente le scie di condensazione, che si formano in condizioni di freddo e umidità ad alta quota a causa dell’accumulo di vapore acqueo attorno alle particelle di fuliggine prodotte dalla combustione del carburante.

Google sta usando l’intelligenza artificiale per studiare queste nubi e prevedere come potrebbero essere ridotte al minimo apportando piccole modifiche alle rotte. Un recente esperimento su 70 voli dell’American Airlines ha rilevato che ridurre l’effetto di riscaldamento in questo modo costa meno che usando il Saf.

Al livello politico sta crescendo anche il sostegno a misure che facciano pagare le emissioni del trasporto aereo ai frequent flyer (le persone che viaggiano spesso in aereo) e a chi usa i jet privati invece che alle compagnie aeree. Uno studio del 2020 di Stefan Gössling e Andreas Humpe ha stimato che l’1 per cento della popolazione mondiale è responsabile di più della metà delle emissioni del trasporto aereo.

I governi nazionali potrebbero tassare questa categoria senza bisogno di un accordo globale. “C’è la forte sensazione che la gente riconosca che chi inquina dovrebbe pagare di più… che le persone comuni non dovrebbero essere penalizzate”, afferma Nigel Topping, presidente del comitato per i cambiamenti climatici britannico, che nel 2024 ha convocato un panel di cittadini per valutare l’opinione pubblica sulle politiche climatiche. “Chi porta la famiglia in vacanza in aereo una volta ogni tre anni dovrebbe comunque poterlo fare, ma chi viaggia molto in aereo dovrebbe pagare di più”.

Finora pochi paesi, tra cui Francia e Spagna, si sono impegnati a imporre tasse sull’aviazione di lusso (intesa come viaggi in prima classe e business, oltre ai jet privati) al fine di raccogliere fondi per il clima e lo sviluppo.

La rete di attivisti Stay grounded sostiene che qualsiasi imposta sui _frequent flyer _dovrebbe affrontare tutte le conseguenze dell’aviazione sul riscaldamento globale, non solo le emissioni di anidride carbonica. “L’aviazione è tra i principali responsabili dell’ingiustizia climatica”, afferma Hannah Lawrence di Stay grounded, aggiungendo che incoraggiare un cambiamento nel comportamento dei passeggeri deve andare “di pari passo” con un’azione decisa del governo.

“Il movimento ‘no fly’ dev’essere sostenuto da cambiamenti normativi e decisioni politiche a favore delle persone che scelgono di non volare. E non abbiamo ancora visto niente di tutto questo”, conclude Lawrence”. ◆bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1638 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati