In Senegal l’alto numero di migranti morti lungo le rotte dell’Atlantico o del Mediterraneo non scoraggia le partenze con imbarcazioni di fortuna in direzione dell’Europa. Dalla metà degli anni duemila, i governi che si sono succeduti al potere non sono riusciti ad arginare il fenomeno. E una statistica che viene spesso citata, ma mai approfondita, è il numero di persone che scompaiono durante la traversata. Sono morte, detenute in un centro di accoglienza o in viaggio verso un altro paese? L’incertezza attanaglia le famiglie, combattute tra la celebrazione del lutto e il desiderio di conservare un briciolo di speranza.
“Mio padre ha passato tutto il giorno a piangere. Ha versato così tante lacrime. Non l’avevo mai visto così. Continuava a ripetermi: ‘Amdy è morto, me lo sento’”, racconta Cheikh Fall una domenica dell’ottobre 2024. Un mese prima ci aveva contattato per denunciare la scomparsa di suo fratello Amdy Moustapha Fall, che intorno al 17 luglio dello stesso anno era partito in piroga da Mbour, sulla costa del Senegal, per raggiungere l’arcipelago delle Canarie, un territorio spagnolo. L’ultimo suo segno di vita risaliva al 26 agosto, quando aveva inviato un messaggio ad amici residenti in Spagna per dirgli che stava per salire su un’altra imbarcazione proveniente dalla Mauritania e diretta verso le coste spagnole.
Amdy è il 44° senegalese di cui abbiamo ricevuto notizia dal 16 novembre 2023, quando abbiamo lanciato sui social media l’hashtag #PortésDisparus (#dispersi), in seguito alle decine di segnalazioni fatte da parenti e amici di giovani migranti che erano partiti per l’Europa e di cui non si avevano più notizie da settimane, se non da anni. Amdy ha 35 anni, dei figli e due mogli.
L’angoscia, l’attesa, l’incertezza, la disperazione e l’impotenza segnano le giornate di centinaia di famiglie senegalesi almeno dal 2006, l’anno in cui le partenze verso le Canarie hanno raggiunto un record.
Indagando da soli
Moussa Sy è stato uno dei primi a contattarci. Suo fratello minore, Aliou Sy, a cui faceva da tutore dopo la morte dei genitori, è salito su una piroga il 28 ottobre 2023 a Bargny. L’ultima volta che l’ha sentito è stato nel messaggio vocale che gli aveva lasciato su WhatsApp.
Per quasi un anno ha sospeso tutte le sue attività per cercare Aliou. È andato decine di volte a Bargny per indagare e raccogliere informazioni sulle imbarcazioni che erano partite nel periodo della scomparsa di Aliou.
“Sono riuscito a scoprire che aveva preso una delle tre imbarcazioni partite da Bargny il 28 ottobre. Due sono arrivate in Spagna e l’altra si è rovesciata in Mauritania, in un incidente che ha causato vari morti”, racconta Moussa Sy. “Sono riuscito a contattare il familiare di una delle vittime del naufragio in Mauritania. Aveva le foto delle persone morte e le ha condivise con me. Le ho guardate tutte attentamente ma non ho trovato quella di mio fratello. Così, ingenuamente, ho continuato a sperare, non mi sono arreso. Ma oggi non ho più la forza né la volontà di sperare nel ritorno di Aliou. Forse ora mi sono semplicemente arreso, ma è difficile ammetterlo”.
È complicato tenere il conto dei migranti dispersi lungo la tragica _ruta canaria _(la rotta delle Canarie), come la chiamano i nostri colleghi spagnoli Txema Santana e José Naranjo, con i quali collaboriamo per identificare quelli che arrivano nell’arcipelago al largo delle coste africane. Queste persone partono nella totale segretezza, ma non solo: la maggior parte delle famiglie non vuole che le foto dei loro cari finiscano sui mezzi d’informazione o sui social media.
Nel novembre 2023 avevamo raccontato su Facebook la drammatica storia di un giovane di nome Pape Moussa Diouf, dopo aver scambiato delle informazioni con uno dei suoi parenti. Ma la famiglia ci ha chiesto di cancellare il testo. “Genitori, zii e zie mi hanno chiamato per dire che non dovremmo rendere pubblica la storia di Pape. Pensano che sia una vergogna per la nostra famiglia”, ha spiegato il cugino.
È successo lo stesso con un altro giovane migrante che viveva a Tambacounda ed era partito da Joal. Uno dei suoi familiari, che ci aveva fornito le informazioni sulla sua identità e sulle circostanze della sua partenza, poche ore dopo la pubblicazione della foto sui social media ci ha chiesto di cancellarla su ordine della sua famiglia. Per molti genitori è una questione d’onore. Lo sguardo e il giudizio della società pesano, al punto da non rivelare la scomparsa di figli, fratelli o sorelle.
A parte i loro familiari, che spesso muovono mari e monti per ritrovarli, pochi si preoccupano della sorte dei migranti scomparsi. Il governo senegalese punta solo a prevenire le partenze e a reprimere l’emigrazione irregolare. I rari casi in cui fornisce assistenza sono quelli in cui vengono rimpatriati i senegalesi arrestati durante il viaggio dalla guardia costiera marocchina e da quella mauritana.
Mancano i dati ufficiali
In Senegal non sono disponibili dati ufficiali sul numero di morti registrati dal 2006 nell’oceano Atlantico, nel mar Mediterraneo o nel deserto libico. Il governo di Dakar si difende parlando della mancanza di “dati affidabili ed esaustivi”. A parte le segnalazioni di istituzioni come la marina e la direzione per l’informazione e le pubbliche relazioni dell’esercito (Dirpa) sul rovesciamento o sull’affondamento di barche lungo le coste senegalesi, non esistono comunicazioni ufficiali sul numero di migranti irregolari morti o dispersi.
Al ministero degli esteri di Dakar c’è un dipartimento per l’assistenza ai senegalesi residenti all’estero, ma i suoi funzionari si attivano solo dopo essere stati contattati dalle famiglie che cercano i loro cari. A quel punto contattano le sedi diplomatiche competenti, in particolare quella in Marocco, che riceve la maggior parte delle segnalazioni, e quella in Spagna. “Raramente riceviamo risposte positive”, nonostante il gran numero di richieste, rivela una fonte nel dipartimento per i senegalesi all’estero.
Un altro dei rari modi con cui si ottengono informazioni sono i migranti stessi, che arrivati sani e salvi riferiscono della morte di compagni di viaggio. “Ma sono informazioni frammentarie che non possono essere usate per informare ufficialmente le famiglie”, ci dice la fonte.
Il progetto Missing migrants dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) mira a registrare le persone morte o che si presume lo siano dal 2014, ma il compito è arduo. L’Oim ammette che “nel mondo la maggior parte dei decessi di migranti non viene registrata”. Le sue cifre, anche basate su una stima al ribasso, sono sconcertanti: almeno 30.547 persone sono morte o scomparse dal 2014 nei viaggi verso l’Europa attraverso il Mediterraneo; 6.335 attraversando il deserto del Sahara e altre 4.889 sulla rotta dell’Africa occidentale, dall’oceano Atlantico alle isole Canarie. Nel 2023 hanno perso la vita 958 migranti in 47 naufragi registrati su questa rotta.
Al di là delle cifre, spesso è impossibile determinare l’identità delle persone scomparse, per le scarse informazioni disponibili su di loro e la mancanza di coordinamento tra i paesi di partenza, transito o arrivo. “Non c’è una raccolta omogenea dei dati, se non all’arrivo alle Canarie”, dicono all’Oim.
Il problema è così ampio che la Commissione africana per i diritti umani e dei popoli (Cadhp, un organo dell’Unione africana), in una risoluzione del 2021, ha raccomandato ai paesi africani di adottare “misure speciali” per facilitare la ricerca e l’identificazione dei migranti morti o scomparsi. La Cadhp raccomanda, tra l’altro, un meccanismo per la raccolta e lo scambio di informazioni e chiede che i paesi africani investano sui servizi di medicina legale e creino una banca dati centralizzata sui corpi non identificati. ◆ adg
La Maison des Reporters è un sito senegalese indipendente nato nel 2019, interamente finanziato dai suoi lettori.
Si occupa di temi sociali, in particolare di lavoro e diritti delle donne.
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Questo articolo è uscito sul numero 1616 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati