Il rombo dell’artiglieria si mescola al tubare dei piccioni. Il grido dei rondoni si confonde con il ronzio dei droni da ricognizione. E i libri, sparsi sul pavimento, sono un tutt’uno con i detriti e i frammenti di vetro.
La biblioteca comunale di Pokrovsk, situata al piano terra, è stata miracolosamente risparmiata dall’incendio che ha colpito il resto dell’edificio. Non è però scampata agli altri effetti dei bombardamenti: il soffitto pende a brandelli o è già crollato, ricoprendo il pavimento di pezzi di cemento; tra gli scaffali rovesciati, attraverso le finestre sfondate si vedono i resti anneriti del centro commerciale Bulwar, che un tempo era molto frequentato.
Un tempo, cioè meno di un anno fa. All’epoca Pokrovsk – una delle ultime città della regione di Donetsk ancora sotto il controllo ucraino – era piena di militari, ma anche di civili, tra cui i lavoratori delle miniere di carbone. Convinte che la linea del fronte potesse reggere, diverse persone che erano scappate nel 2022, dopo l’invasione russa, avevano deciso di tornare.
Ora i russi sono alle porte di Pokrovsk e stanno avanzando. La città continua a resistere, ma è deserta: sono rimaste solo poche migliaia di abitanti. Ed è praticamente stata distrutta dall’artiglieria russa, dai bombardamenti aerei e dai droni.
È quasi buio quando insieme a Jonasz, un documentarista polacco che da un anno collabora con il collettivo ucraino Sady Donbasu (i giardini del Donbass), entriamo nella biblioteca. In una stanzetta angusta, stipata di scaffali, cerchiamo di capire cosa c’è da salvare.
Fotografie e cartoline
Alla luce di una torcia riusciamo a distinguere le sezioni tematiche in cui sono divisi i volumi: folklore del Donbass, organizzazione del partito nel distretto di Donetsk, istituti scientifici, parco nazionale di Sviati Hory (Montagne sacre).
Ci facciamo strada tra pile di libri ingialliti di storia locale e letteratura del Donbass. C’è La ballata del minatore di Maria Majerova e un libricino intitolato Krasnoarmejsk, il nome di Pokrovsk fino al 2016. L’autore, Modest Aleksandrovič Podzolkin, veterano della seconda guerra mondiale, viveva in città e scriveva per il quotidiano locale Donbass. Non riesco a trovare da nessuna parte il volume di foto di Marko Zalizniak, il fotografo amatore di Pokrovsk passato alla storia per aver documentato la collettivizzazione degli anni trenta e l’Holodomor, la grande carestia che causò milioni di morti in Ucraina tra il 1932 e il 1933. C’è invece Libro sul Donbass. Natura, persone e cose. E poi pile di cartoline di epoca sovietica.
Anche Il passato storico della regione di Pokrovsk mostra diversi angoli della città, confrontando immagini d’archivio con scatti di qualche anno fa. Viste oggi, le fotografie recenti sembrano già vecchie: quasi tutti i luoghi riprodotti sono ridotti in macerie. L’evacuazione della città ordinata dalle autorità ucraine non riguarda il contenuto delle biblioteche: la priorità sono le persone. Della ricca sezione sulla storia locale – con molti libri sicuramente difficili da trovare, soprattutto quelli riguardanti Pokrovsk e dintorni – riusciamo a portar via solo una piccola parte. Li stipiamo negli zaini, carichiamo tutto in macchina e partiamo. Di prima mattina, dopo aver passato una notte di sonno leggero tra gli scaffali, coperti con i cappotti lasciati nel guardaroba della biblioteca.
Ci muoviamo in fretta. Prima tra le macerie della città, poi sotto una rete tesa sopra la strada (per proteggere le auto dai droni), tra file di alberi in fiore. Superiamo le rovine di un bellissimo ristorante colpito da un drone, lo Zolotoj petuch (il gallo d’oro) a Dobropillja, una cittadina mineraria che aveva poche migliaia di abitanti, tra Pokrovsk e Kramatorsk. Il locale era decorato con raffinati bassorilievi intagliati nel legno.
Sulla mappa delle regioni di Luhansk e Donetsk, dove si estende il bacino carbonifero del Donbass, l’ultimo lembo di terra non occupato dai russi sembra insignificante. Dal 2023 praticamente tutta la regione di Luhansk e più del 70 per cento di quella di Donetsk sono sotto occupazione.
Oggi visitare il Donbass è come vegliare su una persona morente. Le si tiene la mano e si rimpiange di non aver passato più tempo insieme. Di non aver visto ciò che forse non si vedrà mai più, considerato che presto tutto andrà perduto. Di non aver parlato più spesso dei parchi naturali, delle storie locali, della steppa, invece che sempre e solo della guerra.
Il Donbass non è solo industrie saccheggiate e residui di mentalità sovietica. Non è solo una regione arretrata, che dopo il crollo dell’Unione Sovietica ha vissuto di disoccupazione e criminalità. Tutti questi stereotipi – alimentati per anni e usati come strumento politico – hanno fatto la loro parte, contribuendo a rafforzare l’idea di una spaccatura tra l’est e l’ovest dell’Ucraina.
L’amore per il Donbass è sicuramente più difficile di quello per città come Kiev o Leopoli. Ma questo non vuol dire che non possa essere sincero e autentico. Può manifestarsi quando si osserva il panorama dalla cima delle rocce di gesso di Bilokuzmynivka, oggi a dieci chilometri dal fronte; oppure quando la steppa profuma e la salvia è in fiore, e le creste delle colline, ricoperte da delicati ciuffi d’erba, si animano e ondeggiano come il mare, accarezzate dal vento.
Vaghiamo per questi paesaggi, respirando l’aria della steppa, una delle ultime grandi pianure incontaminate d’Europa. Saliamo fino alla grande statua del soldato sovietico Artëm, che domina il monastero di Sviatohirsk, costruito sulle rocce sopra il fiume Seversky-Donets. Nel 2022 il fronte passava proprio qui.
L’orizzonte si tinge di rosso e un gruppo di ragazzi si arrampica ridendo sul piedistallo del monumento per scattare delle foto. Dal fiume che serpeggia ai piedi della collina, si sente il gracidio delle rane. Un filo sottile oscilla tra gli alberi che ricoprono i pendii della montagna. È un cavo in fibra ottica, usato per individuare i droni kamikaze: i più pericolosi, perché resistono alle interferenze elettroniche.
Ricacciati indietro nell’autunno del 2022, i soldati russi si stanno di nuovo avvicinando a Sviatohirsk, che è già nel raggio d’azione dell’artiglieria di Mosca. Da queste parti i droni si affacciano sempre più spesso.
L’eredità industriale
Girando per Dobropillja, che ha sostituito Pokrovsk come snodo logistico dell’esercito ucraino nelle retrovie del fronte, è difficile non notare i cumuli di detriti delle miniere tipici del paesaggio del Donbass. In ucraino si chiamano terekony.
Ci sediamo sull’erba, di fronte a due collinette appuntite ricoperte di vegetazione. Chiedo a Jonasz come si possa raccontare un mondo che presto non esisterà più. “Penso che la perdita sia l’aspetto principale di ogni guerra. È a questo che cerco di fare riferimento nel mio lavoro. La tensione quotidiana che provano le persone che vivono nella zona del fronte, le decisioni che devono prendere. Vorrei anche restituire al Donbass una dimensione diversa da quella schiacciata sulla guerra”.
Già nel 2014, quando poco più che ventenne andò a Kiev per documentare la rivolta di Maidan, per Jonasz il Donbass era più di una semplice regione in guerra. Ci è tornato dieci anni dopo, stavolta per rimanere, e ha cominciato a conoscerlo attraverso il collettivo Sady Donbasu. Il gruppo promuove progetti che abbracciano la natura, la storia e la cultura, antica e contemporanea. E poi tante iniziative nate soprattutto dopo il 2014: dai rave alle mostre organizzate in spazi postindustriali, tutte animate da attivisti e artisti del posto o di fuori città, che fanno parte di una nuova generazione innamorata dell’atmosfera di questi luoghi.
“Quando penso al Donbass sento un’analogia con la regione polacca della Slesia. E io vengo proprio da lì”, racconta Jonasz. “C’è una certa somiglianza nella cultura di queste due zone, entrambe con una lunga tradizione industriale e mineraria. La sua specificità dipende dalla durezza della realtà di questi luoghi”.
Oltre gli stereotipi
Uno dei libri più importanti degli ultimi anni sull’Ucraina orientale è Mescolerò il tuo sangue con il carbone di Oleksandr Myched. Racconta il Donbass con grande sensibilità, senza l’atteggiamento di superiorità che spesso ha chi viene dalla Galizia o da Kiev. Myched evita gli stereotipi. Non scrive mai che “metà della popolazione del Donbass è composta da pensionati e l’altra metà da criminali”, come ha detto in un’intervista lo scrittore Jurij Andruchovyč, tra i più celebri dell’Ucraina. Viaggiando nell’est del paese dopo il 2014, Myched ha studiato la storia complicata della regione e ha documentato i progetti degli artisti e degli attivisti in comunità che negli ultimi anni sono state raccontate esclusivamente come posti di guerra e di violenza.
Le iniziative sono state molte. Nel 2020 sotto le rocce di Bilokuzmynivka è stato organizzato un raduno del gruppo Shum rave, nato per offrire spazi e feste ai ragazzi del Donbass in guerra. Ad Avdiivka, oggi occupata dai russi, si è svolto un festival d’arte, e a Lysyčansk, conquistata da Mosca nel 2022, c’era il centro di cultura urbana Družba, che vuol dire amicizia. Prima della guerra anche a Mariupol c’erano varie iniziative per i ragazzi e le ragazze del posto.
Salvare la memoria
Anna Nevidoma è una scrittrice e fa parte del collettivo Sady Donbasu. C’incontriamo a Charkiv. Nevidoma è originaria della regione di Luhansk, che ha lasciato nel 2014. Da anni gira per il Donbass alla ricerca di gioielli architettonici nascosti, curiosità locali e storie. “Penso che per amare il proprio paese si debba cominciare dal posto in cui si vive. E poi allargare questo sentimento alle regioni più lontane”, dice. “E visto che il Donbass dei miei ricordi sta sparendo, cerco di ritrovarlo in altri luoghi: nella regione di Charkiv, a Mykolaiv, a Odessa. Cerco amici con cui sentirmi a casa, atmosfere familiari. Vengo da un piccolo villaggio di campagna, e quando penso al Donbass, penso soprattutto alla mia infanzia”.
“Il Donbass è una grande pianura. Tutto quello che nei decenni è stato estratto dal suolo ha finito per formare tante piccole collinette”, continua Nevidoma. “È vero, è più facile avere una visione romantica della steppa che di un paesaggio industriale. Ma per vivere in mezzo alle industrie senza impazzire bisogna romanticizzarle in qualche modo. Ho passato la mia infanzia a Luhansk. Mi piace l’etica del lavoro dei minatori e il paesaggio delle miniere e degli impianti di estrazione. Mi ricordano grandi mostri o navi in mezzo al mare, anzi, in mezzo alla steppa. Mi è rimasto questo modo infantile di percepire il mondo e di raccontarlo”.
Il collettivo Sady Donbasu è nato proprio per valorizzare questi luoghi. “È un’organizzazione indipendente , impegnata nella tutela del patrimonio e della memoria della regione”, spiega Nevidoma. “Al momento la nostra attività è limitata: due ragazze del collettivo si sono arruolate nell’esercito ucraino. Ma per quasi due anni abbiamo viaggiato nel Donbass organizzando attività culturali. D’inverno, per esempio, giravamo per le case cantando canzoni natalizie in costume tradizionale”.
Molti di quei posti oggi sono sulla linea del fronte o sotto il controllo russo. “Abbiamo parlato con persone che, nonostante la guerra, hanno deciso di rimanere nella loro terra, vicino alle tombe dei genitori. Ogni volta che arrivo in un villaggio, vado subito al cimitero: è un vero e proprio museo locale”, continua Nevidoma. “Spesso la gente del posto ci dice ‘Cosa cercate qui? C’è la guerra e voi pensate a queste sciocchezze!’. Invece i soldati arrivati dall’ovest ci chiedono: ‘Ma che cultura credete di trovare nel Donbass?’. Ma oggi è assolutamente necessario occuparsi di queste zone, perché il Donbass ucraino sta scomparendo sotto i nostri occhi. E la cultura non è fatta solo di musei e teatri: ci sono il dialetto, le usanze, le tradizioni della vita quotidiana, gli oggetti, che sono diversi da casa a casa”.
“Non dobbiamo dimenticare quel mondo che la guerra ci sta portando via giorno dopo giorno, un pezzo alla volta”, conclude Nevidoma. “Nella storia del Donbass sta finendo un’epoca. Rimarranno solo i ricordi che riusciremo a salvare”. ◆ sb
◆ La regione geografica del Donbass (contrazione delle parole Donetskij bassein, bacino del fiume Donets) occupa buona parte degli oblast di Luhansk e Donetsk, nell’Ucraina orientale. Dopo la rivolta di Maidan del novembre 2013 e la deposizione del presidente Viktor Janukovyč, nell’aprile del 2014 la regione è stata attaccata e occupata da milizie separatiste filorusse guidate da paramilitari russi e sostenute da Mosca, che hanno istituito due entità non riconosciute, le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. Per sette anni il Donbass è stato teatro di un conflitto a bassa intensità tra l’esercito ucraino e le milizie separatiste filorusse. Secondo le stime delle Nazioni Unite, le vittime civili del conflitto tra il 2014 e il 2022 sono state 3.400.
◆ Il 21 febbraio 2022 il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto ufficialmente le repubbliche di Donetsk e Luhansk, e tre giorni dopo, il 24 febbraio, l’esercito russo ha invaso l’Ucraina. Pochi mesi dopo, tra il 23 e il 27 settembre, la Russia ha organizzato dei referendum, non riconosciuti dalla comunità internazionale, per sancire l’annessione delle due repubbliche insieme ad altri due oblast parzialmente occupati dalle forze di Mosca, quelli di Zaporižžja e Cherson. Attualmente Mosca ha il controllo dell’intero oblast di Luhansk e di circa il 70 per cento di quello di Donetsk.
◆ Negli ultimi mesi l’avanzata delle forze di terra nelle regioni di Donetsk e Zaporižžja è stata costante ma molto lenta. In compenso Mosca ha moltiplicato gli attacchi aerei con droni e missili contro obiettivi civili ucraini. Solo a giugno l’esercito russo ha lanciato 5.438 droni contro l’Ucraina, causando 232 morti e 1.343 feriti tra la popolazione civile. I bombardamenti sono continuati con lo stesso ritmo anche a luglio. Nelle notti tra il 18 e il 22 luglio diverse città ucraine sono state bersagliate da centinaia tra missili e droni, in gran parte abbattuti dalla contraerea ucraina. Il bilancio complessivo è di almeno venti morti e più di cento feriti. Tra il 19 e il 20 luglio un attacco con droni dell’esercito ucraino ha causato ritardi e disagi nei maggiori aeroporti di Mosca. Hrmmu, Kyiv Independent
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Questo articolo è uscito sul numero 1624 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati