La mattina del 2 ottobre, Lama Abboud passeggia negli spazi coperti del teatro ortodosso di Homs, un gioiello architettonico della fine dell’ottocento di cui ha pazientemente seguito il restauro per tre anni. Le porte in legno massiccio hanno riaperto al pubblico un mese prima. “Era un rudere”, dice la direttrice della fondazione Turathuna per la salvaguardia del patrimonio. Questa ex architetta, mora dagli occhi verdi, potrebbe raccontare per ore la storia di ogni pietra, di ogni piastrella riprodotta identica, di ogni traccia che vuole resuscitare nella città vecchia di Homs, pesantemente danneggiata durante i primi anni della guerra. Alla fine di settembre, ha inaugurato lo spazio con una mostra di Mounir al Shaarani, uno dei più grandi calligrafi contemporanei siriani. “Ha scelto Homs invece di Damasco per il suo ritorno”, si rallegra Lama Abboud. “Qui aveva tenuto la sua ultima mostra, nel 2011. E non avrebbe mai accettato di rimetterci piede se il regime fosse stato ancora al potere.”
Memoria dolorosa
In questo primo anno senza Bashar al Assad, la terza città della Siria conosce una rinascita culturale senza precedenti: una mostra di sculture vicino a un monastero, un festival internazionale del cinema, installazioni d’arte nella vecchia stazione ferroviaria e così via. Sui binari dismessi una giovane contempla le sue tele rosse appese a ganci di metallo. “Ho trasformato i miei ricordi come se fossero carne in una macelleria. Li vedo così, duri e dolorosi. E sono appesi in bella vista perché dobbiamo continuamente confrontarci con la nostra memoria in modo che quello che è successo non si ripeta”, dice di getto Lamia Saida, artista plastica originaria di Al Hasaka, un tempo teatro di feroci combattimenti nel nordest del paese. Sottolineando la necessità di riunire artisti “di tutti gli ambienti e di tutte le comunità”, Saida partecipa alla mostra Path 2, allestita in diverse città della Siria tra cui Latakia e Idlib, desiderose di uscire dall’ombra di Damasco e Aleppo.
A Homs non è la varietà a sorprendere – dopo l’ultimo assedio nel 2017, la vita culturale in mezzo ai quartieri in rovina non si è mai completamente fermata – ma l’essenza delle opere. Per la prima volta non sono sottoposte alla censura del partito Baath. Certo, le nuove autorità pongono dei limiti (da cui gli edifici cristiani sembrano dispensati) sul pudore e sulla promozione di certi valori occidentali. Ma il margine di manovra è eccezionale rispetto a quello dell’epoca di Assad. La libertà è usata per esprimere il dolore represso durante anni bui, per far emergere desideri a lungo sepolti, offrendo uno sfogo collettivo alla città che fu il cuore pulsante della rivoluzione e poi la martire della guerra civile.
Così la famiglia di Wael Kastoun, morto sotto tortura nel 2012, ha potuto tirare fuori le sue sculture dalla cantina dove erano rimaste nascoste per tredici anni. All’inizio di ottobre, le donne dalle curve generose scolpite nel legno, per le quali l’artista nutriva una vera passione, hanno invaso lo splendido monastero dei gesuiti, accompagnate dal suono rilassante di una fontana. “È un momento eccezionale, non pensavamo di poter esporre di nuovo le opere di mio padre”, si commuove Yara Kastoun, figlia maggiore di Wael. In questa città dove tutti si conoscono, una folla di giovani e anziani abbraccia ogni volta che può la moglie e i figli dell’artista. Moaz, 28 anni, si sente “come su delle montagne russe emozionali”, combattuto tra sollievo e malinconia. “Per tutti questi anni, ci siamo accontentati di sopravvivere, senza questa dimensione sociale, quasi senza alcuna coscienza di noi stessi”, racconta.
È in quest’ottica che è nata la primavera scorsa la Homs cinema society, fondata da un piccolo gruppo di registi locali. Ha già organizzato tredici proiezioni di documentari, affrontando temi che vanno dalla guerra e l’esilio alle lotte operaie delle siriane rifugiate in Europa. “Cerchiamo di proporre al pubblico cose nuove, diverse dai film classici e dalla narrazione ufficiale per liberarlo dal pensiero unico ereditato dal regime, dove era impossibile affrontare qualsiasi argomento politico o sociale”, spiega Nawwar Alboukai, uno dei fondatori. Le proiezioni sono spesso seguite da accesi dibattiti tra gli spettatori che sono fuggiti dalla guerra e quelli rimasti nelle zone controllate dal regime, percepiti come collaboratori o accusati di non aver condiviso il martirio comune.
“Abbiamo bisogno di questo dialogo”, insiste Alboukai, che vorrebbe estendere l’iniziativa su scala nazionale. “Poche persone si preoccupano veramente di quello che gli altri hanno sopportato, e questo impedisce di provare una reale empatia per il vicino”, osserva il regista di 24 anni, il cui primo film dovrebbe uscire alla fine del 2026.
Violenze e speranza
Una riflessione radicata nella realtà di Homs, segnata da rapimenti e omicidi quasi quotidiani dopo il rovesciamento di Bashar al Assad. Senza un meccanismo chiaro di giustizia per affrontare i crimini del passato, le vendette e le violenze confessionali si moltiplicano in questa provincia mista, dove la comunità alawita è particolarmente presa di mira. A marzo una serie di massacri in Siria occidentale ha fatto più di 1.500 morti, diffondendo la paura tra le altre minoranze, compresi i cristiani che temono di essere “i prossimi sulla lista”. Il 1 ottobre, a ovest di Homs, tre giovani uomini sono morti sotto i colpi d’arma da fuoco in un villaggio della “valle dei cristiani”. E in totale il 23 ottobre nel governatorato di Homs erano state uccise 25 persone.
Lama Abboud avverte l’impatto di queste violenze nell’organizzazione delle sue visite del patrimonio artistico e architettonico locale, durante le quali si aggira per chiese, moschee e antichi palazzi della città vecchia. “Prima riuscivamo a riunire un centinaio di persone, ora sono una trentina”, precisa. La fondazione Turathuna sta cercando di sviluppare una collaborazione con il ministero del turismo e l’università di Homs per rassicurare il pubblico e aumentare i visitatori. “La cultura non può agire da sola, bisogna accompagnarla con un progetto politico e iniziative di riconciliazione”, aggiunge Alboukai.
Ma nonostante le difficoltà, le figure della scena locale sperano di poter beneficiare della revoca delle sanzioni e dell’apertura del nuovo governo per ottenere fondi e aiuti dall’estero. Così la Homs cinema society il 13 settembre ha organizzato una proiezione con il Syrian doc days, con sede in Danimarca. E la fondazione Turathuna ha potuto finalmente svelare l’identità del suo principale finanziatore, ovvero il British council, che Lama Abboud ha dovuto nascondere per anni per paura di essere accusata di spionaggio. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1644 di Internazionale, a pagina 81. Compra questo numero | Abbonati