Subito dopo l’inizio delle proteste a Los Angeles, scatenate dalle retate della polizia contro gli immigrati senza documenti, Donald Trump ha deciso di gettare benzina sul fuoco annunciando che avrebbe schierato in città duemila agenti della guardia nazionale.
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Generalmente negli Stati Uniti il presidente ordina un intervento simile solo su richiesta del governatore di uno stato, quindi si è trattato di una decisione insolita con cui Trump ha scavalcato l’autorità di Gavin Newsom, il governatore della California.
Non è la prima volta che Trump minaccia di inviare l’esercito per reprimere il dissenso. Nel 2020, quando in tutto il paese scoppiarono le proteste per la morte di George Floyd, ucciso da un poliziotto, il presidente pensò di rispondere con una schiacciante dimostrazione di forza, al punto che, secondo alcune inchieste giornalistiche, arrivò a chiedere ai suoi collaboratori se fosse possibile sparare sulla folla. Alla fine, vista l’opposizione del dipartimento della difesa, decise di non mandare l’esercito nelle città. Ma oggi al Pentagono non c’è nessuno disposto a contraddirlo. Il 7 giugno il segretario della difesa Pete Hegseth ha scritto su X che “se le violenze andranno avanti, saranno mobilitati anche i marines di Camp Pendleton”, aggiungendo che “sono già in stato di allerta” (settecento marines sono arrivati a Los Angeles il 10 giugno).
Quello che sta succedendo mostra che oggi negli Stati Uniti c’è un governo disposto a usare il potere dello stato per impedire il dissenso e un presidente che non si fa scrupoli a inviare l’esercito contro i cittadini. Gli ultimi sviluppi fanno pensare che i fatti del 2020 siano stati una sorta di prova generale e che ormai Trump senta di non avere nessun freno.
Molti si stanno chiedendo se Trump ha il potere di schierare l’esercito senza il consenso dei governatori. In linea di massima è illegale usare le truppe federali per interventi di ordine pubblico. Ma ci sono delle eccezioni. L’Insurrection act del 1807 dà al presidente questa possibilità, anche negli stati che non danno il loro consenso, per fermare una ribellione armata o gravi disordini civili.
È per questo che nel 1965 il presidente Lyndon Johnson potè schierare la guardia nazionale in Alabama incaricandola di proteggere gli attivisti per i diritti civili che stavano marciando da Selma a Montgomery. Come ha riferito al New York Times Elizabeth Goitein, direttrice del programma sulla libertà e la sicurezza nazionale del Brennan center for justice, quella era stata l’ultima volta che un presidente aveva ordinato l’intervento della guardia nazionale contro il parere di un governatore. L’Insurrection act invece è stato invocato l’ultima volta nel 1992, quando il presidente George H.W. Bush mandò i soldati a Los Angeles per fermare i disordini esplosi dopo il pestaggio di Rodney King. In quel caso però l’intervento era stato chiesto dal governatore Pete Wilson.
Il 10 giugno Trump ha detto che sta valutando la possibilità di usare la legge del 1807. E giorni prima aveva citato la sezione 12406 del codice degli Stati Uniti, che dà al presidente l’autorità di richiamare in servizio i soldati della guardia nazionale di qualsiasi stato quando “c’è una ribellione o il pericolo di una ribellione contro l’autorità del governo federale”. Secondo il testo, il presidente può usare tutte le forze che ritiene necessarie per “respingere l’invasione” o “reprimere la ribellione”. Si tratta però di una norma più limitata della legge sulle insurrezioni, perché si applica solo alla guardia nazionale e non in generale alle forze armate degli Stati Uniti. Stabilisce inoltre che l’ordine di chiamare i riservisti dovrebbe arrivare dai governatori. Per questo il governatore Newsom sostiene che la decisione di Trump sia “illegale” e ha annunciato che farà causa alla Casa Bianca.
Nulla da perdere
Al di là degli aspetti tecnici, Trump sta alzando il livello dell’offensiva contro i diritti fondamentali degli statunitensi, proprio come aveva annunciato. Già tempo fa ha chiarito il suo disprezzo per il dissenso e le proteste, e ora sta passando a un livello successivo.
Dopo aver lasciato la Casa Bianca, nel 2021, si è lamentato spesso di essere stato troppo moderato durante le proteste scoppiate dopo la morte di George Floyd, e ha detto che se fosse tornato al potere non avrebbe aspettato che fossero i governatori a chiedere l’intervento delle truppe federali. “In teoria non dovrei essere coinvolto, devono essere il governatore o il sindaco a farsi avanti”, diceva durante un comizio elettorale nel 2023. “La prossima volta non aspetterò”. Durante la campagna elettorale del 2014, Trump e i suoi alleati hanno tracciato un piano per invocare la legge sulle insurrezioni fin dal primo giorno del mandato, per reprimere le proteste con l’uso della forza militare.
È per questo che tante persone temevano un ritorno di Trump alla Casa Bianca: sapevano che stavolta avrebbe avuto più libertà di manovra, sia perché non avrebbe avuto più nulla da perdere dal punto di vista politico sia perché il suo governo sarebbe stato formato solo da persone leali. È lo scenario che si sta avverando, visto che al Pentagono ci sono funzionari che non vedono l’ora di scatenare l’esercito sul territorio degli Stati Uniti contro cittadini statunitensi. Fa tutto parte di un più ampio attacco alla democrazia e, in particolare, al primo emendamento della costituzione, che garantisce la libertà d’espressione. Da quando è tornato alla Casa Bianca, Trump non ha esitato a punire le persone che esprimono critiche o organizzano manifestazioni, scagliandosi soprattutto contro gli studenti che si sono opposti alla guerra di Israele nella Striscia di Gaza. La sua amministrazione ha incarcerato e cercato di espellere studenti solo perché in passato hanno avuto posizioni vicine alla causa palestinese, e ha mandato agenti dell’immigrazione in borghese a prelevare i dissidenti.
Ora Trump sta cercando di usare la potenza dell’esercito per un ulteriore giro di vite contro i diritti e le libertà civili. Dice di essere intervenuto in California per fermare “violenza e disordine”, ma le forze di polizia locali non avevano bisogno dell’aiuto federale per ristabilire l’ordine.
È probabile che il presidente abbia schierato la guardia nazionale (e mobilitato altri settori delle forze armate) solo perché ha intravisto l’opportunità di farlo e l’ha colta. Da quando è intervenuto, le tensioni sono aumentate. Forse questo era il suo obiettivo dall’inizio: uno stallo drammatico tra i manifestanti e le truppe federali. Questa strategia non ha tanto a che fare con l’ordine pubblico quanto con la volontà di mandare un messaggio agli statunitensi in tutto il paese: alzate la voce contro Trump e ne pagherete le conseguenze. ◆ gim
◆ La decisione di Trump di schierare la guardia nazionale a Los Angeles è l’ennesimo attacco contro la California, lo stato più progressista del paese. Dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Trump ha firmato un ordine esecutivo pensato per indebolire le norme approvate negli ultimi anni dalla California per proteggere l’ambiente e ridurre l’inquinamento, ha contestato una legge statale che tutela gli studenti transgender, ha annunciato tagli ai fondi federali per la sanità e ha aperto inchieste contro le pratiche di ammissione nelle università. “Al momento nei tribunali ci sono quattro cause pendenti chiamate ‘stato della California contro Trump’ e altre sedici intentate dallo stato contro il presidente”, scrive il sito Cal Matters.
◆ Questa dinamica ha messo in rotta di collisione Trump e il governatore Gavin Newsom, che già da tempo è indicato come uno dei potenziali candidati del Partito democratico alle prossime presidenziali. “Newsom sta approfittando dello scontro con Trump per presentarsi come leader dell’opposizione”, scrive Molly Ball sul Wall Street Journal. La sua risposta decisa agli attacchi di Trump ha dato fiducia a molti politici ed elettori democratici delusi dal fatto che finora il partito non ha fatto niente per opporsi alla deriva autoritaria della Casa Bianca. “Negli ultimi mesi Newsom si è spostato su posizioni più moderate per aumentare il suo potenziale consenso nel paese, ma lo scontro con Trump potrebbe consolidare il suo profilo di progressista radicale”. Il 9 giugno, durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, Trump ha detto che “a Gavin piace la pubblicità, ma penso che sarebbe una cosa fantastica” se fosse arrestato.
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Questo articolo è uscito sul numero 1618 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati