Chico Buarque (Luiz Maximiano, laif/Contrasto)

Questo è un libro sull’infanzia e su una città, ma soprattutto sul cosiddetto “secolo breve”, l’epoca in cui si moltiplicano i modi di raccontare la vita e si scopre il legame tra memoria involontaria e letteratura. Bambino a Roma, presentato come romanzo, appare come un’eredità tardiva del novecento: un testo pieno di storia e di memoria. Il racconto si apre con la palla di cuoio di un bambino, poi il viaggio in nave, la nausea, l’approdo del piccolo protagonista in un’Italia che porta ancora l’odore della guerra. Il narratore adulto si alterna al sé bambino, affiancando il proprio sguardo a quello del ragazzino appena sbarcato dal Brasile. Sergio Buarque de Hollanda, intervistato molti anni dopo sulla personalità del figlio Chico, lo definì “un ragazzo normale”: e la sua prosa conferma quella naturalezza, con descrizioni rapide, precise, un umorismo strategico e mai frivolo, raro nella narrativa attuale abituata a cercare l’intensità emotiva a ogni costo. È il mondo delle sensazioni di un bambino catapultato in un paese dove l’antico convive con la precarietà del dopoguerra. La casa che li accoglie conserva ancora i ritratti degli inquilini precedenti, suggerendo tragedie taciute. Questa economia dell’allusione, sostenuta da una cadenza veloce, definisce il ritmo del libro. I disastri del “nuovo vecchio mondo” arrivano filtrati dallo sguardo allegro del narratore bambino, per il quale la morte resta un’ipotesi astratta: da qui la sua fascinazione per i fatti di cronaca. E mentre leggiamo, ci attraversa la consapevolezza che Chico tornerà in Italia anni dopo, da adulto, durante la dittatura militare brasiliana. L’iniziazione erotica del protagonista è segnata da differenze razziali e di classe, ed è raccontata con una naturalezza che potrà scandalizzare qualcuno ma che restituisce con onestà l’esperienza di molti ragazzi della sua generazione. In parallelo, le molestie subite da un professore sono descritte con un’ironia liberatoria, con uno sguardo che rivela il narratore adolescente già capace di esorcizzare il trauma attraverso il sarcasmo. Come accade in Natalia Ginzburg, che del ricordare ha fatto un’arte, anche Bambino a Roma è un racconto di esperienze, reali o reinventate. Soprattutto è un testo sicuro e senza artificio, fluido senza affettazione. Laura Erber, Folha de São Paulo

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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati