È una domenica sera e sto andando al Birdland Jazz Club di New York per il concerto di Arturo O’Farrill insieme al collettivo Afro Latin Jazz Orchestra. Mi accomodo mentre i musicisti entrano portando con sé tromboni, trombe, flauti, ma anche timbales e maracas. Le sonorità latine incontrano il jazz classico e, all’improvviso, ecco il latin jazz. Non è solo una fusione di generi: è l’incontro di spiriti, un linguaggio condiviso di ritmo, melodia ed espressione culturale. E sta tornando di moda. Le ingiustizie politiche, le tensioni razziali e la resistenza culturale hanno alimentato il desiderio di autoespressione nelle comunità latine, e la musica è sempre stata uno dei mezzi per rappresentarle. Grazie alle piattaforme digitali, gli artisti stanno riscoprendo le loro radici e hanno accesso a un pubblico globale. Che si tratti del successo su TikTok di brani come Oye cómo va di Tito Puente o di playlist di YouTube, l’espansione è in corso. Tra i nomi più in vista di questo movimento c’è il pianista e compositore Zaccai Curtis, nato ad Hartford, negli Stati Uniti. Cofondatore della Curtis Brothers Band, crea composizioni che bilanciano l’improvvisazione con la salsa, la rumba e altre sonorità della diaspora africana. Ma ci sono anche altri musicisti: dal già citato Arturo O’Farrill a Pedrito Martinez, fino a Daymé Arocena.
Angie Martinez-Tejada, Remezcla
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Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati