L’universo che esplora la scrittroce argentina Mariana Enriquez fa paura non solo perché evoca l’orrore degli incubi e l’immaginario paranormale; se resta un’inquietudine dopo aver chiuso un suo libro è perché certi battiti, oscuri e appena percettibili, provengono dalla vita quotidiana. I libri precedenti di Enriquez fanno costante riferimento a episodi, nomi o segreti legati al processo di repressione militare in Argentina tra il 1976 e il 1983. Anche in questi racconti la sua prosa fonde la finzione con dei fatti reali dell’esperienza nazionale. Succede che nel punto di confluenza di questa tensione i due piani diventino uno solo. Il merito di Un luogo soleggiato per gente ombrosa è quello di toccare con delicatezza e precisione la corda narrativa che connette quell’universo inquietante al mondo “normale” per vedere meglio, per comprendere meglio. Allarga la prospettiva, anche verso territori che la letteratura preferisce evitare o sottovalutare. Esplora le possibilità della finzione in quella zona strana, per favorire la vicinanza dell’inspiegabile alle forme più familiari della vita quotidiana. Al centro del racconto che dà il titolo al libro c’è una ragazza lasciata marcire in una cisterna, all’ultimo piano di un hotel sinistro. Una giornalista argentina parte per seguire il caso perché, dopo aver lavorato su populismo e liberalismo in America Latina, le viene chiesto di scrivere su “fatti e situazioni strane, vicine al folclore e al soprannaturale”.
Sergio G. Colautti , Letralia

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Questo articolo è uscito sul numero 1637 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati