Disoccupazione, corruzione, censura dei social media e repressione: sono gli ingredienti principali della ribellione giovanile che ha stravolto il Nepal, sulla scia di recenti movimenti simili in Indonesia, Bangladesh e Sri Lanka. Anche se ognuno ha cause e dinamiche specifiche, ci sono delle somiglianze importanti in quella che è stata soprannominata “la rivoluzione della generazione Z”.

In Nepal la rivolta è scoppiata l’8 settembre, quando migliaia di giovani hanno protestato contro un governo che giudicano corrotto e vecchio. Le autorità avevano appena bloccato i social media su cui da settimane circolava una campagna contro i figli delle élite che ostentano la loro ricchezza. Il primo ministro Sharma Oli si è dimesso dopo che la sede del parlamento è stata data alle fiamme ed è stato sostituito da Sushila Karki, l’ex presidente della corte suprema, scelta dai manifestanti. Questi eventi raccontano la storia di una popolazione giovane e impegnata ma socialmente frustrata, che ha appena dimostrato la sua capacità di provocare un cambiamento politico. I suoi portavoce sono sorpresi quanto chi li osserva dalla rapidità con cui hanno fatto cadere il governo. Quale direzione prendere ora è un’altra questione. I giovani hanno identificato l’oggetto della loro rabbia più chiaramente degli obiettivi della protesta. Il movimento deve ancora dimostrare di avere un progetto a lungo termine.

Creare una rete con i coetanei che in Indonesia, Bangladesh e Sri Lanka hanno protestato prima di loro, consentirebbe ai giovani nepalesi di coordinare le richieste e di condividere le esperienze. Hanno molte cose in comune, a cominciare dal loro peso demografico in una regione del mondo che sta cambiando. ◆ cd

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati