Non si fermano gli attacchi russi sull’Ucraina. Il 9 luglio l’esercito di Mosca ha lanciato il numero record di 741 droni e missili sull’est del paese. Il 5 luglio, poche ore dopo una telefonata tra i presidenti russo e statunitense Vladimir Putin e Donald Trump, Mosca aveva sferrato un pesante attacco su Kiev, e nei giorni successivi aveva colpito altre città ucraine. Sempre il 5 luglio l’Ucraina ha colpito la base dell’aeronautica militare russa di Borisoglebsk. Intanto, Trump ha dichiarato che Washington riprenderà l’invio di armi di difesa a Kiev, ribaltando la decisione di fermare le forniture annunciata pochi giorni prima, e ha detto di essere molto deluso da Putin, che “dice un sacco di stronzate e sta uccidendo troppe persone”. A Mosca, invece, negli ultimi giorni sono morti in circostanze sospette tre importanti esponenti dell’apparato politico-economico russo: il vicepresidente dell’azienda statale Transneft Andrej Badalov; Konstantin Strukov, a capo del terzo produttore d’oro della Russia; e Roman Starovojt, ex governatore della regione di Kursk e ministro dei trasporti, appena rimosso da Putin. “Queste morti sembrano le convulsioni di un sistema in crisi. Il che però non significa che la fine del putinismo è imminente”, scrive Mark Galeotti sullo Spectator.
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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati