“Organizzare una mostra biennale in un paese minuscolo che non ha gallerie né scuole d’arte – e neanche un negozio di cornici per quadri e fotografie – poteva sembrare un sogno irrealizzabile. Ma è esattamente quello che un gruppo di cinque guineani ha deciso di fare”, racconta Ricci Shryock sul New York Times.
La MoAc Biss si è svolta dal 1 al 31 maggio 2025 nella capitale della Guinea Bissau e ha portato nel piccolo paese dell’Africa occidentale le opere di 150 artisti di 17 paesi diversi. Anche se di dimensioni ridotte rispetto ad altri eventi culturali della regione, “la MoAc Biss ha riunito creativi provenienti dall’Africa lusofona, dal Portogallo, dal Brasile, dalla Guadalupa e dagli Stati Uniti per inaugurazioni di mostre quasi quotidiane, concerti, spettacoli teatrali, presentazioni di libri, proiezioni di film e dibattiti, tutti gratis”, racconta Jason Patinkin sul settimanale sudafricano The Continent.
Lo spazio principale per le arti visive era “una vecchia segheria trasformata in galleria d’arte, con le pareti piene di tele colorate e fotografie oniriche di foreste e ballerini. Negli angoli bui erano proiettate videoinstallazioni tremolanti. Ma a dominare la scena era Big Kaombo, un’opera dell’artista angolano Evan Claver che critica la promessa della migrazione verso l’occidente. Claver aveva creato una pila di ventiquattro taniche di plastica dipinte, su un lato, con una folla di volti di migranti, e, sull’altro, con il viso di una donna sorridente accanto alla Statua della libertà”, racconta Patinkin. “In un’altra stanza gli spettrali dipinti blu e bianchi realizzati dall’artista capoverdiano César Schofield Cardoso denunciavano l’inquinamento da plastica e l’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche di cui sono responsabili le flotte di pescherecci stranieri nell’Africa occidentale”.
La mostra è nata su iniziativa di un gruppo di cinque artisti originari della Guinea Bissau, preoccupati per l’assenza di una scena artistica nel loro paese. Vorrebbe anche essere un modo per creare opportunità di lavoro per gli artisti locali, che hanno pochi modi per mostrare le loro opere: solo un mercato artigianale all’aperto o gli spazi offerti da enti internazionali come il Centro cultural franco-bissau-guineense.
Punti d’incontro
Nonostante la popolazione di appena due milioni di abitanti, la Guinea-Bissau conta più di trenta gruppi etnici, ognuno dei quali ha le sue danze, i suoi modi di cantare, le sue cerimonie del lutto, ha ricordato al quotidiano newyorchese uno degli organizzatori, António Spencer Embaló, che ha curato il programma di conferenze e di incontri pubblici della MoAc Biss. È anche uno dei paesi meno sviluppati al mondo, con un’aspettativa di vita media di soli 64 anni, secondo la Banca mondiale.
I curatori pensano che l’arte possa essere uno strumento di sviluppo. Cultura e arte “nutrono la nostra anima”, ha detto Embaló a Shryock . “È vero che le persone devono lavorare sodo per nutrire il loro corpo, ma anche il nutrimento dell’anima è fondamentale”. Per questo gli organizzatori vogliono che la biennale resti una presenza viva anche dopo la conclusione dell’evento. Per esempio, nel complesso industriale riadattato per ospitare le opere sono in corso i lavori per costruire studi per gli artisti.
Per alcuni ospiti era il primo viaggio in Guinea Bissau. “Le biennali sono importanti punti di incontro”, ha detto Schofield Cardoso al New York Times. “Svolgono un ruolo chiave negli scambi culturali e la Guinea-Bissau è un paese molto ricco in termini di cultura e creatività, ma poco conosciuto”.
Le biennali, ha osservato Ousseynou Wade, il direttore della prestigiosa Biennale di Dakar, in Senegal, possono contribuire ad abbattere le barriere linguistiche e culturali. “Dobbiamo demolire questi confini, e l’Africa potrà riunirsi regolarmente in questi spazi”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati