La vita immaginata segue Steven Mills, uno scrittore e insegnante, nella sua indagine attorno alla scomparsa del padre, avvenuta nel 1984 quando Steven aveva 12 anni. Professore di letteratura inglese brillante ma instabile, il padre – di cui non viene mai rivelato il nome – ebbe un crollo dopo essere stato rifiutato come ordinario in un college del sud della California, e poco dopo abbandonò la famiglia. Il romanzo alterna i ricordi di Steve di quell’anno travagliato a sezioni ambientate nel presente, in cui guida lungo la costa californiana per intervistare colleghi, amici e parenti del padre scomparso da tempo. Dopo aver lasciato il lavoro e aver rotto con la moglie e il figlio, Steve teme di ripetere gli stessi fallimenti del padre fuggitivo; la sua “più grande paura nella vita,” confessa, è “ereditare la sua afflizione, la sua maledizione”. Con i suoi tuffi nel passato Steve ricostruisce un ritratto affascinante del padre: un uomo carismatico e lunatico, che recita Proust in francese con aria sognante ma si abbandona anche a sfoghi paranoici contro colleghi che, a suo dire, complottano per screditarlo. Era sempre stato un padre impacciato; il suo modo di divertirsi con il figlio undicenne era portarlo a vedere un film di Werner Herzog. La vita immaginata esplora un’infelicità domestica costante che sfocia nella disperazione, catturando la struggente immagine di un bambino solo nella sua stanza mentre ascolta i singhiozzi soffocati della madre nella stanza accanto, coperti appena dal suono di un talk show televisivo. È un romanzo sull’assenza, e non solo del padre, ma anche di un presente funzionante (dello Steve adulto non veniamo a sapere quasi nulla: né sulla carriera né sulle sue amicizie). E, infine, un’assenza del sé. “Non avevo mai avuto quel tipo di obiettivo”, riflette Steve, paragonandosi a uno zio di successo. “Mi ero sempre sentito come se mi nascondessi in un bunker… come se fossi stato svuotato”. Uno dei doni della narrativa è la possibilità di accedere ad altre vite. Quando queste vite sono grigie e opprimenti, portare quel dono fino in fondo può diventare una fatica, e La vita immaginata sarebbe un peso se non fosse animato da una profonda compassione e da una grande tensione narrativa. Rand Richards Cooper, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati