Il mese di giugno si sta rivelando particolarmente funesto per le forze armate russe. È cominciato con un inatteso attacco ucraino con droni contro quattro basi aeree dislocate dalla Siberia fino a Murmansk. Stando ai servizi di sicurezza ucraini, l’Sbu, l’operazione ha distrutto 41 bombardieri strategici, circa un terzo della flotta della Russia (altre fonti parlano di tredici o venti velivoli distrutti o danneggiati). Ma all’orizzonte ci sono anche altre novità, forse ancora più importanti. Prima della fine di giugno Mosca avrà probabilmente raggiunto il suo milionesimo soldato caduto o ferito dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, nel febbraio 2022. Le perdite della Russia – che superano quelle subite in tutte le guerre combattute da Mosca dopo il secondo conflitto mondiale – sono una testimonianza della tenace difesa dell’Ucraina contro una potenza ben più forte. Tuttavia, la capacità della Russia di ignorare queste perdite e di continuare ad arruolare uomini da mandare a morire al fronte dovrebbe sollevare un interrogativo inquietante per i paesi europei della Nato: come possono delle democrazie combattere un avversario così indifferente alla vita dei propri soldati da sacrificarli, anno dopo anno, in una logorante guerra di attrito?”. Così l’Economist sintetizza gli ultimi sviluppi militari e strategici della guerra in Ucraina.

Per l’operazione che ha distrutto i bombardieri russi, chiamata “tela di ragno” (pavutyna in ucraino), “sono state usate le armi più economiche tra quelle disponibili: i droni Fpv (first person view)”, cioè pilotati in prima persona, spiega il Kyiv Independent. “La pianificazione dell’attacco del 1 giugno è durata un anno e mezzo, con la supervisione di Vasyl Maljuk, il capo dell’Sbu, e del presidente Volodymyr Zelenskyj. I droni sono stati fatti entrare di nascosto in territorio russo, dove sono stati nascosti nel sottotetto di alcune casette mobili di legno e poi trasportati con dei camion nelle vicinanze delle basi aeree da colpire. Ultimato il trasporto, i tetti di queste strutture sono stati aperti da remoto e i droni si sono alzati in volo per andare a colpire gli aerei russi. La sera del 1 giugno Zelenskyj ha reso noti diversi dettagli dell’operazione, che è stata di un’audacia quasi temeraria. Dopo aver spiegato che nell’attacco sono stati impiegati 117 droni, ha detto che il quartier generale delle operazioni ucraine in Russia si trovava accanto a una sede regionale dei servizi di sicurezza russi, l’Fsb”.

Zelenskyj ha anche fatto notare che nella notte tra il 31 maggio e il 1 giugno la Russia aveva lanciato contro il territorio ucraino più di cinquecento droni, il numero più alto dall’inizio della guerra. “Ci sono state vittime, morti e feriti. E questo succede ogni santo giorno”, ha proseguito. “Quindi no, non importa se la Russia è arrabbiata. Quello che importa è che Mosca deve mettere fine a questo conflitto”.

Come racconta il Kyiv Independent, “i danni causati alle forze armate russe non sono ancora del tutto chiari. L’Sbu ha stimato che le perdite economiche si aggirerebbero intorno ai sette miliardi di dollari, e ha dichiarato di aver abbattuto almeno quaranta velivoli in quattro basi militari: Belaja, nella regione di Irkutsk; Olenja, nella regione di Murmansk; Djagilevo, nella regione di Rjazan; e Ivanovo, nella regione omonima. Tra gli aerei colpiti c’erano i bombardieri Tupolev 95 e 22 e Beriev A-50”, velivoli che in questi anni sono stati usati per colpire le città e le infrastrutture energetiche dell’Ucraina.

“È vero che la reale dimensione dei danni inflitti all’aviazione russa è difficile da verificare, ma l’impatto psicologico dell’operazione di Kiev è evidente”, commenta Le Monde. “L’Ucraina, che secondo il presidente statunitense Donald Trump non ‘aveva nessuna carta in mano’, ha ripreso fiducia e ha rilanciato il proprio prestigio militare. Malgrado la sua spettacolarità, l’attacco del 1 giugno ‘non cambierà i rapporti di forza sul terreno né il corso della guerra’, spiega il consulente militare ed ex ufficiale Stéphane Audrand. Tuttavia ‘mette allo scoperto la vulnerabilità della Russia’”.

Il 2 giugno, il giorno dopo l’attacco, si è tenuto a Istanbul il vertice già programmato tra le delegazioni ucraina e russa. Mosca ha presentato un memorandum con le richieste russe, tra cui la cessione delle quattro regioni già annesse anche se occupate solo in parte, la rinuncia di Kiev a entrare nella Nato e il divieto di ospitare truppe straniere sul suolo ucraino. Gli ucraini hanno fatto sapere che Kiev non rinuncerà volontariamente all’ingresso nella Nato e che i territori occupati non saranno mai riconosciuti come russi. “Anche se alla fine è stato annunciato un terzo giro di incontri, i colloqui, che sono durati appena un’ora, sono sembrati una messa in scena a uso e consumo di Washington”, scrive Die Zeit. “A questo punto le parti hanno una settimana di tempo per valutare le reciproche proposte. La cosa più rilevante è che stanno discutendo quello che dovrebbe essere il più grande scambio di prigionieri del conflitto”.

La notte dopo l’incontro di Istanbul, è arrivata anche la reazione russa all’operazione militare di Kiev. Come scrive Novaja Gazeta Europe, Mosca ha attaccato obiettivi civili nelle regioni di Charkiv, Černihiv e Odessa e nella città di Sumy, provocando almeno tre morti. Il 3 giugno, invece, il ponte di Kerč, che unisce la Russia alla Crimea, annessa da Mosca nel 2014, è stato colpito con esplosivi sottomarini, in un attacco rivendicato dai servizi segreti ucraini. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati