La catena di infezioni che ha diffuso il sars-cov-2 nel mondo potrebbe essere cominciata, come la maggior parte delle malattie, quando un virus animale ha trovato il modo di entrare, senza alcun aiuto, negli esseri umani, in un campo o in una fattoria, in una grotta o in un mercato. È anche possibile, però, che la catena sia partita da un laboratorio cinese. Queste due ipotesi sono ritenute plausibili da molte delle persone che studiano il covid-19. Ma il fatto che siano entrambe possibili non significa che siano ugualmente verosimili.

Per la maggior parte del 2020 gli scienziati e i mezzi d’informazione hanno per lo più trattato l’ipotesi della fuga da un laboratorio come poco probabile, presentando il contatto quotidiano – il salto zoonotico – come molto più plausibile. Ora le cose sono cambiate. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha detto a marzo che l’ipotesi della fuga dal laboratorio non è stata valutata in modo abbastanza approfondito. Il 26 maggio il presidente statunitense Joe Biden ha ordinato all’intelligence, che non è ancora arrivata a una conclusione sulla vicenda, di darsi da fare.

I precedenti

Il luogo più fortemente legato alla comparsa del sars-cov-2 è un mercato nella città di Wuhan, in Cina. I mercati cinesi di animali selvatici e il commercio che li rifornisce di zibetti, ratti, pangolini e tassi sono crogioli virali colmi di opportunità per un salto zoonotico. Uno studio condotto in Vietnam negli ultimi dieci anni ha dimostrato che gli animali si contagiano a vicenda scambiandosi i coronavirus nel tragitto verso il ristorante o il mercato; non c’è ragione di pensare che le catene di approvvigionamento cinesi siano più salubri. A febbraio del 2020 Pechino ha annunciato la messa al bando del consumo e del commercio di specie selvatiche, riconoscendone la pericolosità. È stato un passo grande e costoso.

Le prime preoccupazioni in merito a una possibile origine in laboratorio del virus sono state alimentate dalla geografia. Il mercato da cui si sarebbe partita la pandemia si trova infatti ad appena 12 chilometri di distanza dall’Istituto di virologia di Wuhan (Wiv), un polo mondiale per la ricerca sui coronavirus. Il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Wuhan (Cdc), anch’esso impegnato nello studio dei coronavirus dei pipistrelli, è ancora più vicino: 500 metri dal mercato. Un dipendente o un gruppo di dipendenti di uno dei due laboratori potrebbe essere stato infettato da un coronavirus usato nella ricerca, permettendo al patogeno di raggiungere il mondo esterno. Una corollario di questa tesi sostiene che il virus provenga da un pipistrello o da un altro animale che si trovava nel laboratorio o che era oggetto di un lavoro sul campo.

Se una di queste ipotesi dovesse rivelarsi corretta sarebbe una sinistra ironia della sorte. Fin dallo scoppio dell’epidemia di sars, una malattia respiratoria causata da un altro coronavirus che si è diffusa all’inizio degli anni duemila, i coronavirus sono stati considerati a forte rischio pandemico. È per questo che hanno attirato l’attenzione dei ricercatori di Wuhan. Il loro lavoro sui coronavirus aveva come obiettivo di scongiurare la minaccia dei patogeni.

Nessuno ha trovato nulla di vagamente simile al “pipistrello fumante”

I virus sfuggono agli istituti di ricerca con preoccupante frequenza. L’ultimo caso conosciuto di decesso da vaiolo è stato il risultato di un incidente di laboratorio nel Regno Unito, nel 1978. Nel 2003 il sars-cov-1, il virus che causa la sars, è sfuggito dai laboratori in due occasioni mentre si diffondeva nel mondo, una volta a Singapore e l’altra a Taiwan. Lo stesso virus è sfuggito dai laboratori altre due volte nel 2004, entrambe a Pechino. Nel dicembre del 2019 più di cento persone tra studenti e personale di due centri di ricerca agricoli di Lanzhou sono state colpite da un’epidemia di brucellosi, una malattia batterica solitamente trasmessa dal bestiame. Il caso più allarmante è quello dell’influenza H1n1, che ha cominciato a diffondersi in tutto il mondo nel 1977. Oggi sappiamo che il virus era sfuggito da un laboratorio del nordest asiatico, probabilmente in Cina o in Russia. Già all’epoca alcuni osservatori occidentali avevano avanzato dei sospetti, ma senza insistere troppo, forse nel timore che la Cina o la Russia si sottraessero agli impegni internazionali per contrastare il virus o che si scatenasse una reazione negativa contro la virologia.

Si sapeva che la sicurezza del Wiv era insufficiente. A quanto pare i diplomatici statunitensi che hanno visitato l’istituto nel 2018 avevano manifestato forti preoccupazioni, citando i coronavirus e il rischio pandemico. A febbraio del 2020 il ministero della scienza e della tecnologia cinese ha emanato nuove regole che hanno imposto ai laboratori un miglioramento delle misure di sicurezza, rivelando il disagio per lo stato delle cose.

L’idea di una fuga del virus da un laboratorio non era assurda per gli addetti ai lavori. Quando Shi Zhengli, esperta di coronavirus e direttrice del Centro per le malattie infettive emergenti del Wiv, è stata intervistata da Scientific American all’inizio del 2020, ha ammesso che una delle sue prime paure era stata che il virus fosse potuto sfuggire dal laboratorio. Dopo aver controllato i registri di tutte le sequenze virali con cui aveva lavorato, Shi ha escluso questa ipotesi. Ma il governo cinese ha sempre avuto la tendenza a nascondere le informazioni sgradite, e forse Shi non avrebbe potuto fare altrimenti. Inoltre è possibile che il virus provenisse da ricerche esterne al suo campo.

Il gruppo di Shi ha lavorato per anni a cercare di comprendere le mutazioni che avrebbero permesso ai virus dei pipistrelli di infettare le persone. In questa prospettiva gli scienziati hanno condotto ricerche per rendere i coronavirus più contagiosi per gli umani. In uno studio pubblicato nel 2015 hanno annunciato la creazione di un virus chimera ottenuto da un coronavirus dei pipistrelli e da uno dei topi, capace di replicarsi efficacemente nelle cellule respiratorie umane.

Da sapere
Tono controproducente

◆ Negli Stati Uniti si ripetono gli appelli perché si faccia un’indagine nei laboratori cinesi. Da un lato i leader repubblicani sostengono che il covid-19 è nato in una di quelle strutture, dall’altro alcuni scienziati ritengono necessaria un’inchiesta approfondita e indipendente sulla “tesi della fuga”. Ma il tono di queste rischieste sempre più insistenti non piace a molti ricercatori, preoccupati che l’esplosività del dibattito vanifichi gli sforzi per capire le origini del virus. Il rischio è che inasprendo le tensioni tra Stati Uniti e Cina, la questione possa compromettere la collaborazione internazionale necessaria in vista di future emergenze sanitarie. Il consenso su questioni cruciali come la strategia globale per aumentare la produzione dei vaccini o la riforma dell’Organizzazione mondiale della sanità, per esempio, è a rischio. “Anche se le intenzioni dei 18 scienziati che in una lettera su Science hanno chiesto nuove indagini sono buone, gli autori avrebbero dovuto riflettere di più sui suoi effetti, visto il clima politico polarizzato che circonda la questione”, sostiene Angela Rasmussen, virologa dell’università di Saskatchewan, in Canada. Nature


Alcuni sostenitori della teoria del laboratorio hanno sollevato interrogativi sugli altri animali che potrebbero essere stati usati in queste ricerche, e sottolineano che il virus somiglia molto a un incrocio tra un virus dei pangolini e un virus dei pipistrelli, con una sequenza genetica aggiuntiva che lo rende più contagioso per gli esseri umani. Questo “sito di scissione della furina” non si ritrova in altri virus strettamente correlati. Forse qualcuno lo ha inserito artificialmente, dicono i sostenitori dell’ipotesi della fuga dal laboratorio.

Mancanza di zelo

Esistono diverse argomentazioni specifiche contro queste speculazioni. E c’è anche da fare una precisazione più generale basata sugli studi di Charles Darwin: la selezione naturale crea minime sfumature di ogni genere, che sembrano prove irrefutabili di un intervento umano a chi affronta la ricerca in modo prevenuto. E le prove sulla diffusone della malattia? Secondo il quotidiano britannico The Guardian il rapporto dello scienziato Peter Ben Embarek, inviato in Cina dall’Oms nel luglio del 2020, sosteneva che i cinesi avevano “fatto poco in termini di indagini epidemiologiche su Wuhan dal gennaio 2020”. Alcuni ritengono che Pechino non stia facendo un’indagine seria perché conosce (o quanto meno teme) il risultato.

Questa mancanza di zelo alimenta i sospetti sull’origine in laboratorio del virus. Uno dei motivi per cui queste tesi hanno preso slancio è che mancano ancora le prove di un salto zoonotico. Nessuno ha trovato nulla di vagamente simile al “pipistrello fumante”. Se la tesi della fuga dal laboratorio acquista slancio mentre quella zoonotica non si rafforza, è naturale che si abbia la sensazione che la prima ipotesi sia diventata più probabile. Ma questo non è un ragionamento logico. È importante ricordare che i progressi relativamente rapidi sull’origine della sars nel 2003 non sono necessariamente affidabili come indicatori di normali tempi delle indagini.

Da sapere
Le novità

Le basi L’origine del sars-cov-2 è ignota. La spiegazione più plausibile è che il virus sia passato dagli animali alle persone alla fine del 2019. La trasmissione da animale a essere umano (spillover zoonotico) è un’origine comune a molti virus, dall’ebola ad alcune influenze aviarie. Tuttavia questa ipotesi non è stata ancora provata, per farlo bisognerebbe trovare un virus quasi identico al sars-cov-2 in un animale selvatico. Non è quindi possibile scartare l’ipotesi che il virus sia sfuggito a un laboratorio.

Perché se ne parla ora? Perché 18 scienziati hanno lanciato un appello su Science chiedendo una nuova indagine, definendo “possibile” sia l’ipotesi naturale sia quella della fuga da un laboratorio. Tre scienziati che in passato avevano escluso questa teoria, ora la considerano plausibile. Inoltre la Cina non ha permesso un’indagine indipendente nel laboratorio di Wuhan a cui potrebbe essere sfuggito il virus.

◆ **Ci sono nuove prove? **No, per ora non ci sono nuove prove a sostegno della teoria della fuga dal laboratorio. Ma capire meglio come è cominciata la pandemia può essere utile per prevenire quelle future.


Alcuni dati mancano, ma ce ne sono altri che semplicemente non vengono condivisi. Durante le due visite dell’Oms in Cina all’inizio di quest’anno, le autorità cinesi si sono rifiutate di fornire dati epidemiologici cruciali sui primi 174 casi noti di covid-19 registrati a Wuhan nel dicembre 2019. Quei dati sono fondamentali. Non tutti i primi casi, infatti, erano legati al mercato. Questo significa che il mercato, anziché la fonte dell’epidemia, potrebbe essere stato solo una rampa di lancio del virus. Questo aspetto evidenzia la necessità di considerare altre possibili fonti, e per farlo servono dati specifici su tutti i casi iniziali. In mancanza di questi dati l’Oms non ha potuto condurre un’indagine epidemiologica standard, come ha sottolineato all’epoca il microbiologo australiano Dominic Dwyer. I primi casi di covid-19 potrebbero indicare chiaramente la provenienza animale o quella da unlaboratorio. Il dibattito in merito alla seconda possibilità è stato alimentato dal riemergere della notizia secondo cui tre dipendenti del Wiv avrebbero contratto una malattia simile al covid nel novembre del 2019, tesi diffusa inizialmente dal dipartimento di stato statunitense negli ultimi giorni della presidenza Trump. Ma mancano conferme, fonti e dettagli sul ruolo delle ipotetiche persone ammalate.

Al momento le prove indicano che le supposizioni circostanziali su cui è basata la tesi dell’origine in laboratorio, ovvero l’esistenza di un centro di ricerca sui coronavirus a cui potrebbe essere sfuggito il sars-cov-2, sono reali. Ma non forniscono alcuna informazione aggiuntiva sulla diffusione dell’epidemia. Come ha dichiarato al Wall Street Journal Ralph Baric, ricercatore statunitense che ha contribuito alla ricerca sui coronavirus del Wiv, “servono una maggiore trasparenza e un’indagine più approfondita per definire le origini del virus”. Baric resta convinto che quella del salto zoonotico sia la tesi più plausibile.

Idealmente la Cina potrebbe contribuire a questa indagine per individuare nuove prove, ma è improbabile che lo faccia. È tuttavia possibile che il caparbio lavoro dei servizi d’intelligence statunitensi crei una tesi convincente in un senso o nell’altro, o che gli scenziati che stanno analizzando i dettagli del genoma e della struttura del virus riescano a trovare un elemento decisivo. Ma non c’è garanzia che il mistero venga risolto in tempi brevi.

Per osservatori come Filippa Lentzos, esperta di biosicurezza del King’s college di Londra, l’incertezza evidenzia la necessità di un dibattito più ampio sui rischi che il mondo è disposto a correre in nome della scienza. Oggi sono in costruzione diverse strutture per la ricerca sui patogeni, e perfino le misure di sicurezza più avanzate possono rivelarsi insufficienti.

Questo significa che è indispensabile condurre le ricerche in modo da garantire la sicurezza e la responsabilizzazione delle persone coinvolte. Gli obiettivi, inoltre, devono essere commisurati al rischio, e la conoscenza, una volta acquisita, dev’essere condivisa e applicata. Non esistono prove del fatto che la presenza del Wiv nella città da cui è partita la pandemia sia più di una coincidenza. Ma non ci sono nemmeno prove che la ricerca sui coronavirus condotta all’istituto di Wuhan abbia contribuito a ridurre l’impatto della pandemia. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati