Prendete un tipico romanzo di formazione, scambiate il protagonista con un trentenne, mettetelo in musica e avrete Green to gold, il sesto album degli Antlers, band di Brooklyn. Questo è indie rock, certo, ma ci sono anche parecchi elementi di folk, qualcosa di bucolico e qualcosa legato alla tradizione orale della canzone tradizionale. Green to gold, il pezzo che dà il titolo all’album è un buon esempio: un’ode al susseguirsi delle stagioni che segnano lo scorrere del tempo. Anche Solstice parla di questo di tema quando Peter Silberman canta “le settimane erano lente ma l’anno è volato via”. Green to gold riesce a essere molto letterale, quasi didascalico, senza mai essere banale nella sua estrema delicatezza. Non c’è solo reverenza verso madre natura ma anche parecchia introspezione. Stubborn man e Just one sec sono meditazioni agrodolci sulla fragilità delle cose umane: “Mi puoi ripulire la cache per un attimo? Per un secondo solo liberami da me stesso”, si sente cantare. Eppure Green to gold non si rifugia mai in atmosfere deprimenti, perché tutti i brani si reggono sulla consapevolezza del percorso che la natura ha in serbo per ciascuno di noi. Dylan Barnabe, Exclaim

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Questo articolo è uscito sul numero 1403 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati