Il mito del
consumatore verde
◆ Ho letto con interesse un po’ annoiato l’articolo sul mito del consumatore verde (Internazionale 1372). Tutto giusto e commendevole, ovviamente. Ingredienti ben assortiti e ben amalgamati, anche se alla fine il risultato era un po’ freddino e vagamente rimasticato. Possiamo parlare di politica, società, impegno, sfruttamento, civiltà e di quello che vogliamo ma, andando di corsa verso i dieci miliardi di abitanti, di cosa parliamo? Basta il numero per capire tutto. La soluzione alla dissoluzione climatico-ambientale globale semplicemente non esiste. Questa è la vera inconvenient truth. Dieci miliardi di persone divisi in circa duecento stati sono semplicemente ingovernabili. L’umanità si è espansa ben oltre la tolleranza fisica del pianeta. Il tempo tra l’inversione demografica e il miglioramento ambientale potrebbe essere di molti decenni.
Roberto Butini◆ Due piccole osservazioni al profilo del “consumatore verde” delineato da Tielbeke. La prima è che si dovrebbe continuare a privilegiare prodotti “sostenibili” per un senso di responsabilità verso chi lavora, più che per smorzare dei rimorsi di coscienza. Nel caso di beni che arrivano da aree dove sappiamo esistere condizioni di lavoro inaccettabili (tanto nel sud globale quanto in alcune aree agricole del nostro paese), scegliere sistemi di garanzia che assicurano ai lavoratori un compenso più equo e l’utilizzo di adeguate protezioni che impongono il divieto di prodotti chimici dannosi significa anzitutto pretendere una forma di giustizia sociale. La seconda nota è che, continuando a favorire certe scelte di consumo, si supporta anche il ruolo di advocacy svolto da organizzazioni come Fairtrade. Ad esempio, per fare pressione affinché vengano introdotte regole più rigide per tutelare le persone impiegate nelle catene di fornitura (come la direttiva europea Unfair Trading practices-633/2019). È vero che dopo decenni di sforzi il percorso per tutelare l’ambiente e i lavoratori è ancora lungo. Tuttavia le relazioni “di potere” che si instaurano tra corporation, politica, consumatori e organizzazioni che li rappresentano non sono mai univoche, ma sempre fluide. E per questo ciascuno dovrebbe continuare a fare (meglio) la propria parte. Fatto salvo che è compito di tutti noi cittadini pretendere di più dai rappresentanti politici e dalle aziende, si potrebbe capovolgere con Franco Fortini la frase di Adorno e dire: “Non si ha vita vera non nella falsa”. Forse ci serve meno utopia e più pragmatismo._
Benedetta Frare, responsabile comunicazione Fairtrade Italia
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Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati