La scatola che contiene gli appunti per i miei articoli sta per esplodere. Se ci fosse un apparecchio in grado di creare una mappatura cerebrale di quello che c’è dentro, probabilmente produrrebbe l’immagine di una tempesta incoerente, di una minestra in ebollizione, di un misto di colori scuri con qualche venatura più chiara.
L’abbondanza di argomenti di cui scrivere mi sta paralizzando. Sono combattuta: una moltitudine di argomenti contraddice il discorso prevalente, e sento che il mio ruolo è quello di lasciare che quest’abbondanza parli da sé, nel suo insieme e nel dettaglio. Ma è una battaglia persa in partenza, a causa del lavoro necessario per affrontare ogni singolo tema. Forse sto solo prendendo tempo per non ammettere che ho il blocco dello scrittore?
O forse non voglio riconoscere che la scelta professionale di vivere tra i protagonisti dei miei articoli (le persone che subiscono l’occupazione) è a un punto morto? Non riesco a comunicare ai lettori (gli occupanti) la portata della loro ostinata ignoranza. Legati a doppio filo, i protagonisti e i lettori vivono in mondi paralleli, opposti e autonomi.
Ormai ho finito le parole per descrivere la distanza tra questi due mondi e la vicinanza del disastro: l’insormontabile vuoto tra le due esistenze e la tangibilità del dolore, il potenziale ignorato delle affinità tra i due universi e i sentimenti sempre più forti (e giustificati) di avversione che i protagonisti-occupati provano nei confronti dei lettori-occupanti.
Traduzione di Andrea Sparacino
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