Il calcio italiano sta cambiando. Faticosamente e lentamente, ma qualcosa migliora. Parliamo, sia chiaro, di quello femminile. In questi giorni la nazionale di calcio femminile è in Svizzera per partecipare al campionato europeo. Anche se negli anni ottanta e novanta era una habituée del torneo – due secondi posti e un terzo posto in sei edizioni – oggi non è certo tra le favorite.

Ma un paio di settimane fa la selezione giovanile under 19 ha raggiunto dopo quattordici anni la semifinale dell’europeo di categoria e, come quella under 17, si è qualificata per il prossimo mondiale. Dietro c’è un lavoro che dura da anni, fatto non solo di risultati sportivi. A giugno è stato pubblicato un rapporto sul futuro del calcio femminile per chi ha soldi da investire . Secondo lo studio “Undervalued to unstoppable” della Nielsen Sports in collaborazione con la PepsiCo, si prevede che entro il 2030 il numero di tifosi e tifose del calcio femminile nel mondo supererà gli 800 milioni, il 38 per cento in più di oggi. Nei prossimi cinque anni si pensa che il calcio praticato dalle donne possa diventare il quinto sport più seguito al mondo. Insomma il calcio femminile è in ascesa e promette guadagni.

La situazione però non è uguale in ogni parte del mondo e il calcio non è solo quello praticato ad alti livelli. In apertura del rapporto sulla stagione femminile di serie A 2023-2024 presentato a maggio, il presidente della Figc (Federazione italiana giuoco calcio) Gabriele Gravina dichiara che “il calcio femminile in Italia sta vivendo una fase di crescita straordinaria, consolidandosi come pilastro essenziale del sistema calcistico nel suo complesso”. Rispetto alla stagione 2021-2022 le presenze medie allo stadio sono aumentate del 35 per cento e il numero di persone interessate è cresciuto.

Ma questa non è l’unica faccia del calcio femminile in Italia, che deve ancora fare progressi dal punto di vista economico e non solo. Pochi giorni fa, per esempio, la Sampdoria Women ha scelto di non iscrivere la squadra femminile al campionato di serie B, a causa di una “revisione strategica e organizzativa” per raggiungere la “sostenibilità economica” e il “consolidamento del club”, si legge nel comunicato ufficiale.

Negli ultimi anni poi sono state rivelate numerose vicende preoccupanti, dalla Spagna allo Zambia. Il caso italiano è stato messo in luce direttamente dalla Fifpro (Federazione internazionale delle associazioni dei calciatori professionisti). Le calciatrici del Pomigliano, nel periodo passato in serie A, tra il 2021 e il 2022, hanno vissuto situazioni da incubo: stipendi non pagati, firme falsificate, aggressioni, negligenze mediche. C’è chi ha raccontato di persone dello staff che entravano in casa delle calciatrici senza preavviso, di molestie insistenti. Storie che, purtroppo, più si scende di categoria più sembrano essere all’ordine del giorno.

Martina (pseudonimo di un’atleta che vuole rimanere anonima) ha giocato per diverse squadre, dall’eccellenza regionale alla serie B, e ha vissuto il bello e il brutto di ogni categoria. “Ci davano un alloggio, ma non poteva entrare nessuno oltre a noi”, racconta. “Anche per invitare altre persone della squadra, non estranee, bisognava comunque avvisare l’allenatore. Una volta una compagna che viveva in un’altra casa si è bagnata sotto un acquazzone. Noi l’abbiamo accolta per farla asciugare e cambiare, e il mister si è arrabbiato perché l’abbiamo fatta entrare senza avvisarlo”. L’allenatore possedeva le chiavi della casa in cui le tesserate alloggiavano e ogni tanto entrava nell’appartamento. A volte avvisava le ragazze che sarebbe entrato anche quando loro non c’erano. ‘Di solito dividevo l’alloggio con cinque ragazze”, continua Martina. “Solo il fine settimana se ne aggiungevano tre che vivevano in altre città e arrivavamo a nove con un solo bagno’’.

Dal primo luglio del 2022 la serie A femminile è diventata un campionato professionistico, il che significa che alle calciatrici ora vengono riconosciute una serie di garanzie fino a quel momento assenti: stipendi adeguati, tutele in caso di infortuni e maternità, contributi previdenziali. Diverso il discorso per le serie minori, anche se non tutto si esaurisce lì.

In Italia esistono più realtà dedicate a donne di ogni età che giocano per divertimento in squadre da cinque, da sette o da undici, affiancando lo sport all’impegno sociale. È il caso della Inguastite Fc, un nome che in più dialetti del centro Italia significa “arrabbiate”, di una “rabbia che alimenta il bisogno di giustizia sociale’’, spiega Ileana Forneris, capitana della squadra perugina di calcio popolare. Le giocatrici hanno tra i 19 e i 48 anni di età, provengono da varie zone d’Italia e del mondo e quasi nessuna prima aveva mai giocato a calcio nella vita. Il valore di base è l’inclusione, quello che Forneris confessa non aver trovato quando giocava in serie B, in una squadra poi smantellata per dirottare i fondi a quella maschile. Nell’idea di Ileana le grandi squadre e le piccole realtà dovrebbero agire in sinergia: “Per una bambina vedere delle squadre femminili che giocano ad alti livelli come quelle dei maschi può essere uno stimolo a sentirsi più forti, qualcosa che fa dire ‘Lo posso fare anch’io’. Però poi è dal territorio che si parte”.

Alla domanda se le giocatrici di calcio popolare seguiranno la nazionale Ileana ha risposto che nessuna delle ragazze segue abitualmente il calcio femminile da tifosa o da spettatrice. Anzi, a parte una delle più anziane che ha giocato ad altissimi livelli, “in generale le altre non hanno mai visto una partita di calcio”. Chissà se cominceranno con la nazionale.

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