Nel romanzo Guerra e pace lo scrittore russo Lev Tolstoj mette i suoi lettori di fronte a un apparente paradosso. “Tutti gli storici concordano nel dire che l’attività esterna degli stati e dei popoli si esprime con le guerre”, ovvero: “I minori successi dell’esercito di un popolo contro l’esercito di un altro popolo sono le cagioni o, per lo meno, i segni essenziali dell’aumento o della diminuzione della forza dei popoli”.
Ai tempi di Tolstoj si pensava che fossero le armi a decidere i destini dei popoli, e sembra che si stia tornando a pensarla così anche ai nostri. Ma in questo caso, osserva il grande scrittore, la battaglia di Borodino combattuta dagli eserciti russo e francese nel 1812 “è uno dei fenomeni più istruttivi della storia”.
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Guerra Cos’è la guerra e perché non vogliamo che si ripeta. Con Davide Maria De Luca.
La battaglia, avvenuta poco lontano da Mosca durante la campagna di Russia di Napoleone Bonaparte, aprì le porte della capitale russa alle armate francesi. Ma, fa notare Tolstoj, quella costosa vittoria non aprì un periodo felice per i francesi e per il loro impero, come la saggezza comune spingerebbe a pensare. Anzi: “Mosca è presa, e in seguito a ciò, senza nuove battaglie, non è la Russia che ha cessato di esistere, ma ha cessato di esistere un esercito di seicentomila uomini, e poi la Francia napoleonica”.
Il grande scrittore russo si riferisce alla grande ritirata di Russia, costata a Napoleone prima il suo esercito e poi il trono. Una ritirata causata non da una battaglia, da un fatto d’armi, non da uno scontro che dimostrò la superiorità delle armi russe su quelle francesi, ma da altri fattori che oggi chiameremmo logistici, geografici, politici. La battaglia, ci dice Tolstoj, alla fine è un grande e sontuoso spettacolo, a volte persino affascinante nella sua incomprensibilità, ma è anche un fenomeno meno importante di quanto tanti storici vorrebbero farci credere.
A questi grandi e violenti rituali collettivi – le battaglie, gli atti, le grandi scene che costituiscono lo spettacolo della guerra – è dedicato “Battaglie”, il quarto episodio del podcast Guerra.
Un concetto moderno
Tradizionalmente, la prima battaglia della storia viene indicata nello scontro di Megiddo, tra egiziani e cananei, ricordata dalle iscrizioni sulle pareti del tempio di Amon a Karnak. Ovviamente non fu la prima battaglia a essere combattuta, ma solo la prima di cui abbiamo affidabili descrizioni scritte. E d’altro canto, non fu nemmeno la prima battaglia a essere definita tale dai contemporanei.
L’attuale significato di “battaglia” è un concetto relativamente moderno, su cui gli antichi avevano idee molto più eterogenee. In latino c’era perfino una certa confusione su come indicare una “battaglia”: a volte prœlium (scontro), oppure pugna o acies, una metonimia, visto che il termine indicava la punta di un oggetto acuminato o il filo di una lama e si usava per designare lo schieramento di un esercito sul campo di battaglia.
I romani abbondavano di vocabolario bellico, ma mancavano di quella componente romantica che vede nella battaglia un momento separato e culminante del conflitto. Non parlavano della “battaglia di Canne”, immortalando grammaticalmente fuori dallo spazio e dal tempo la sconfitta inflittagli dal cartaginese Annibale, ma di proelium apud Cannae, lo scontro vicino a Canne.
L’abitudine di “personalizzare” le battaglie, di dargli solennemente un nome per celebrarle e ricordarle si diffonderà in particolare a partire dal medioevo europeo, mentre l’idea della “battaglia decisiva” che cambia le sorti della storia dovrà aspettare la metà del Diciannovesimo secolo per affermarsi.
Il gaggio di Dante
Episodi di “battaglie concordate” tra i contendenti abbondano anche nell’Italia dei comuni. Nel 1289, un importante scontro tra fiorentini e aretini avrebbe deciso il futuro dell’egemonia sulla Toscana. Tra i cavalieri fiorentini c’era, come sanno tutti gli studenti delle scuole superiori, anche Dante Alighieri in una squadra di feditori, i cavalieri più giovani e ardimentosi destinati a essere i primi a impegnarsi in battaglia.
Lo scontro vero e proprio, con le schiere ordinate e le bandiere spiegate, avviene dopo lunghe provocazioni tra le due parti: incursioni, scaramucce saccheggi nelle aree di confine tra Arezzo e Firenze che gli storici moderni hanno paragonato a una guerra tra bande criminali. Quando arriva il momento della battaglia vera e propria, gli animi sono più che predisposti a uno scontro serio. Così gli aretini, “ricevuto per gli Fiorentini allegramente il gaggio della battaglia, di concordia si schierarono e affrontarono le due osti più ordinatamente per l’una parte e per l’altra, che mai s’affrontasse battaglia in Italia”.
Il gaggio altro non era che il pegno della battaglia, la sfida a incontrarsi in un dato luogo a una data ora.
Fronti solitari
Una delle ragioni per cui gli scontri nella guerra in Ucraina non somigliano in nulla a ciò che siamo abituati a considerare una battaglia è la loro natura solitaria. In altre parole, ci sono pochissimi soldati sul fronte. Secondo le principali stime ci sono in media dieci soldati per chilometro. La densità di truppe è, come minimo, un quarto di quella dei conflitti precedenti, probabilmente ancora inferiore.
I soldati ucraini, di solito, presidiano il fronte schierati in gruppi di due o tre in posizioni isolate, costituite da un bunker (blindage, come lo chiamano gli ucraini) scavato nella terra e rinforzato con tronchi, e da qualche metro di trincea intorno. Si trovano a due o trecento metri di distanza l’uno dall’altro, spesso seguendo uno schema simile a questo.
I russi, ormai, attaccano in gruppi altrettanto piccoli: squadre di meno di cinque soldati, sufficientemente ridotte da potersi infiltrare nei buchi della difesa ucraina per attaccare poi le retrovie, le postazioni di mortaio, i droni o i veicoli di rifornimento. La principale e più rapida avanzata russa nel corso del 2025, avvenuta a Dobropillia, vicino a Pokrovsk, nel Donbass, è stata compiuta da un centinaio o poco più di soldati russi che hanno semplicemente camminato in linea retta fino a superare le postazioni ucraine.
Un recente articolo del New York Times a proposito delle difficoltà nell’evacuazione dei feriti mostra bene il tipo di battaglia che gli ucraini stanno affrontando.
Il volto della battaglia
Il libro più importante per comprendere le battaglie è Il volto della battaglia, di John Keegan, forse il più importante storico militare del novecento. Testo non privo di limiti, in particolare quando attribuisce la vittoria di Waterloo all’educazione “sui campi di Eton” degli ufficiali britannici, ma che ha messo in evidenza due aspetti fondamentali dello studio delle battaglie.
Primo: la loro natura di fenomeni rituali complessi, per nulla limitati ai soli aspetti militari. Secondo: la scarsissima conoscenza che abbiamo della loro meccanica, cioè di come, effettivamente e nella pratica concreta, enormi masse di esseri umani si scontrano in spazi ristretti.
Il filone letterario dedicato alle “battaglie decisive” è per sua stessa natura molto limitato e in genere poco illuminante. Ma, per affetto, vorrei comunque citare Le battaglie che cambiarono il mondo, di Sergio Masini, un libro che lessi nell’edizione Oscar Mondadori del 1993, e in cui, l’elenco dei soliti scontri arcinoti, da Maratona a Stalingrado, è inframezzato di tante e tali riflessioni, aneddoti e storie sulla tecnologia, la storia e la cultura e su come queste hanno influenzato gli sviluppi bellici, da far perdonare la premessa del libro stesso.
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