Orazio era ferocemente contrario alla giraffa. A sentir lui, era un animale concettualmente disordinato: “Se un pittore volesse mettere una testa umana su un collo di cavallo […], o se una donna dal busto formoso diventasse in basso un nero pesce, […] davanti a uno spettacolo simile, invitati a contemplare l’opera, amici, non vi verrebbe da ridere?”. La sua descrizione della giraffa nell’Ars poetica (circa 13 aC) si conclude con una preghiera: “Insomma, sia quello che vuoi, ma almeno sia semplice e sia una cosa sola”. Quando Giulio Cesare, nel 46 aC, tornò a Roma da Alessandria d’Egitto portandosi dietro una giraffa (secondo alcuni, un regalo di Cleopatra), i romani, come Orazio, videro un animale fatto di due parti. Cassio Dione osservò nella sua Storia romana che era “in tutto simile a un cammello, eccettuate le gambe. Queste non sono uguali, perché le posteriori sono più corte. […] Cresciuto così in altezza […] allunga il collo in modo non comune. Ha la pelle screziata come il leopardo”. A differenza di Orazio, però, la folla si rallegrò alla vista della virtuosistica ibridazione di quella creatura. “Per questo”, scriveva Cassio Dione, “ha un nome che appartiene a entrambi gli animali”. Camelopardalis: camelopardo.
Nei secoli abbiamo provato, con grande entusiasmo ma scarsa accuratezza, a spiegare l’origine di un essere così composito e miracoloso. Nel 1022 il geografo persiano Ibn al Faqih scriveva che la giraffa appare quando “la pantera si accoppia con la femmina del cammello”. Zakariyya al Qazwini, nel suo Le meraviglie del creato e le stranezze degli esseri, oltre a parlare dell’al mi’raj (un coniglio con il corno di un unicorno) sostiene che la genesi della giraffa è in due tappe: “Il maschio della iena si accoppia con la femmina del cammello di Abissinia; se il piccolo è un maschio e monta una mucca selvatica, il risultato sarà una giraffa”. Entrambe le ipotesi sono più impegnative di quanto uno si augurerebbe sul piano evolutivo. Ma c’è anche chi pensa che la giraffa sia apparsa per magia. Zheng He, esploratore della prima dinastia Ming, portò a Nanchino due giraffe acclamandole come qilin, mansuete chimere ungulate. Nel 1651 il cappellano di Carlo I, Alexander Ross, scrisse nel suo Arcana microcosmi _che la semplice esistenza della giraffa impediva ai naturalisti di “liquidare l’opinione diffusa tra gli antichi sull’esistenza dei grifoni, se consideriamo che la natura ammette la possibilità di un animale così composito. Poiché la giraffa, o _camelopardalis, ha una stranissima composizione, essendo un misto di leopardo, bufalo, cervo e cammello”.
Ross aveva ragione: la verità della giraffa è più potente e favolosa della nostra fantasia. Le giraffe nascono senza alcun aiuto da parte di cammelli o iene, ma la loro nascita è comunque un prodigio: la gestazione dura quindici mesi, al termine dei quali precipitano al mondo da un’altezza di un metro e mezzo, una mossa rapida e semplice come svuotare una borsa. Nel giro di pochi minuti possono reggersi sulle zampe traballanti e affusolate come gambe di modelle e attaccarsi alle quattro mammelle della madre, staccando con un morso i piccoli tappi che si sono formati nei giorni precedenti per impedire al latte di colare. Ben presto sono pronte a correre, non senza il rischio d’inciampare sulle zampe posteriori, rischio che non riusciranno mai del tutto a eliminare.
Da adulte possono raggiungere i 64 chilometri orari galoppando su piedi grandi quanto un piatto, ma sarebbe più prudente non farlo, perché le zampe tendono a ingarbugliarsi. La loro lingua, che è blu-viola scuro per proteggersi dal sole, è lunga cinquanta centimetri. Usando la punta riescono a rimuovere il muco dal fondo delle narici. Le giraffe guidano insuperate la classifica dei mammiferi più alti: un maschio di giraffa Masai è arrivato a misurare 5,88 metri. L’esploratore John Mandeville esagerava appena quando nel 1356 scriveva che aveva un collo “lungo venti cubiti (circa nove metri) e poteva guardare al di là di un palazzo molto alto”. Nonostante la loro altezza, le giraffe sono accoglienti verso le creature più piccole. Ospitano sul loro corpo le bufaghe dal becco giallo, degli uccellini che gli tolgono le zecche dalla pelle e il cibo incastrato tra i denti. Alcune giraffe sono state fotografate di notte con grappoli di volatili che dormivano al calduccio tra le pieghe delle loro cosce.
Non sappiamo perché la giraffa ha l’aspetto che ha. Fino a poco tempo fa, la lunghezza del suo collo era spiegata in termini darwiniani: secondo la ragionevole “ipotesi della competizione tra brucatori”, la concorrenza di altri brucatori come gli impala e i cudù avrebbe favorito il graduale allungamento del collo, permettendo alla giraffa di raggiungere il cibo a cui altri non arrivavano. Di recente è stato però dimostrato che le giraffe non brucano quasi mai al massimo della loro altezza. Inoltre gli esemplari dal collo più lungo hanno più probabilità di morire in caso di carestia. È possibile che un collo lungo avvantaggi i maschi nel cosiddetto necking, un combattimento a colpi di collo, verosimilmente per imporre il proprio dominio. Ci saranno sicuramente altre scoperte sul necking, che spesso sfocia in un’attività sessuale tra maschi concorrenti. Anzi, gran parte del sesso tra giraffe è omosessuale (in uno studio, la monta tra maschi rappresentava il 94 per cento di tutti i comportamenti sessuali osservati).
Qualunque sia la ragione di tanta lunghezza, un collo così ha un prezzo. Ogni volta che una giraffa allarga le gambe e si china per bere, il sangue le va alla testa. Mentre si china, la vena giugulare interrompe il flusso di sangue al cervello per evitare che la giraffa svenga quando si tira su. Anche quando l’acqua abbonda, le giraffe non bevono per giorni. Essere una giraffa è un’esperienza da capogiro.
Ad Atlanta, in Georgia, è proibito legare le giraffe ai lampioni. È invece consentito importare un cuscino fatto con la testa di una giraffa, con tanto di ciglia ancora attaccate. Tra i principali mercati del commercio di pezzi di giraffa ci sono gli Stati Uniti, anche perché non la considerano un animale in via di estinzione (nonostante oggi ne restino solo 68mila in natura, con un calo del quaranta per cento negli ultimi trent’anni). In dieci anni, i cacciatori statunitensi hanno importato 3.744 giraffe morte. Se oggi vi venisse voglia di esprimere l’afflato cosmico della vostra personalità, potreste comprarvi un cappotto lungo in pelo di giraffa o una bibbia rilegata in pelle di giraffa. Le sottospecie più rare sono sul punto di scomparire: le giraffe nubiane, diminuite del 98 per cento negli ultimi quarant’anni, presto non esisteranno più. La loro bellezza le mette a repentaglio. Come scriveva Plinio il Vecchio, la prova della ricchezza è “possedere qualcosa che in un attimo può totalmente perire”.
Le giraffe ci deliziano e ci scombussolano al tempo stesso. Nel 1827 una giraffa fece il suo ingresso a Parigi. Non era la prima ad arrivare in Europa (nel 1487 Lorenzo de’ Medici ne aveva portata una in Italia e i fiorentini, per darle da mangiare, si erano sporti pericolosamente dal secondo piano delle case), ma era quella vestita meglio. Indossava una cerata fatta su misura con dei gigli ricamati ed era un regalo del viceré d’Egitto Muhammad Ali per Carlo X. Partita dalla regione del Sennar, la giraffa viaggiò per oltre due anni trasportata da cammelli, a piedi e per nave, arrivando a Parigi in piena estate. Lì si chinò per mangiare dei petali di rosa dalla mano del re. Era nota come “la bella africana”, “il bell’animale del re” o, più comunemente, la girafe: come Dio e il re, ne esisteva solo una. Era ospitata nella ménagerie reale, in un recinto con il pavimento di lucido parquet, e i parigini, che a migliaia sfilavano per vederla, furono colti dalla giraffomania. I negozi si riempirono di oggetti decorati con immagini di giraffe (porcellane, saponi, carta da parati, cravatte e vestiti) e i colori di moda dell’anno furono il “ventre di giraffa”, il “giraffa in amore” e il “giraffa in esilio”. Le acconciature si svilupparono in altezza. Le donne si cosparsero i capelli di pomata di grasso di maiale aromatizzato al fiore d’arancio e al gelsomino e li attorcigliarono per ricordare gli ossiconi delle giraffe. Si racconta che alcune erano costrette a sedersi a terra nelle carrozze per non schiacciare le loro coiffures à la girafe.
Ma ci stanchiamo di tutto, anche dei miracoli. Carlo X abdicò, suo figlio regnò per venti minuti, e la girafe sopravvisse alla sua fama. Morì nell’indifferenza generale nel 1845, fu imbalsamata e piazzata all’ingresso del Jardin des Plantes. Delacroix, che la vide nel 1847, scrisse che la sua morte era stata “oscura quanto il suo ingresso nel mondo era stato brillante”. Eppure il travolgente entusiasmo dei parigini era stato, secondo me, la reazione più giusta. Non si sarebbe mai dovuto spegnere: oggi dovremmo ancora portare acconciature a torre alte trenta centimetri. Perché abbiamo smesso? Il mondo è un posto stravagante e improbabile: la giraffa, più strana di un grifone, più alta di un palazzo molto alto, ci fa l’impagabile dono di dimostrarlo. ◆ fs
katherine Rundell
è una scrittrice britannica. Il suo ultimo libro uscito in Italia è I ladri di New York _(Rizzoli 2020). Questo articolo è uscito sulla London Review of Books con il titolo _Consider the giraffe.
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Questo articolo è uscito sul numero 1389 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati