La controversa decisione del governo indonesiano di conferire il titolo di “eroe nazionale” all’ex presidente Suharto non è solo un problema di interpretazione storica. È un atto politico carico di simboli e conseguenze, che la dice lunga sulla direzione che sta prendendo il governo del presidente Prabowo Subianto. Insieme alla figura del leader defunto, si vuole riabilitare un’intera epoca il cui spirito autoritario continua ad allungare la sua ombra sulla giovane e fragile democrazia indonesiana. I funzionari sostengono che il governo di Suharto (1967-1998) aveva portato ordine, stabilità e crescita dopo un periodo di caos politico e che le sue conquiste nel campo dell’industrializzazione e delle infrastrutture giustificano il riconoscimento nazionale. Secondo questa narrazione ufficiale i 32 anni al potere di Suharto vanno ricordati come un periodo di modernizzazione, sviluppo e unità. Ma invece furono intrisi di sangue e paura.

I massacri anticomunisti del 1965-1966 compiuti dall’esercito guidato da Suharto provocarono centinaia di migliaia di morti, servirono da fondamenta su cui costruire il suo regime dell’Ordine nuovo. Suharto ha governato usando coercizione, sorveglianza e controllo. Il dissenso era vietato, i mezzi d’informazione ridotti al silenzio e la partecipazione pubblica svuotata. Il parlamento aveva solo una parvenza di legittimità mentre corruzione e nepotismo sono stati istituzionalizzati, diventando la spina dorsale dell’economia indonesiana.

Rendere omaggio a Suharto oggi significa banalizzare quell’eredità e mette in evidenza come la classe politica indonesiana abbia imparato ben poco dalla sua lotta democratica. Il movimento reformasi del 1998, successivo alla caduta di Suharto, non fu solo una reazione alla crisi finanziaria asiatica, ma una ribellione per dichiarare che l’Indonesia non sarebbe più stata governata con la paura e che chi è al potere deve rispondere delle proprie responsabilità al popolo.

Molte delle persone che hanno sofferto sotto il regime di Suharto sono ancora vive. Portano addosso le cicatrici fisiche e morali della prigionia, dell’esilio e della censura. Per loro il tentativo di santificare Suharto non rappresenta un atto di riconciliazione ma un insulto. Implica che le loro sofferenze sono state dimenticate e che la verità è negoziabile, se serve agli interessi politici.

Il ritorno dell’Ordine nuovo

Il tempismo di questa proposta non è casuale. Arriva durante la presidenza di Prabowo Subianto, un ex generale il cui passato è indissolubilmente legato all’eredità dell’Ordine nuovo, anche solo per il fatto di essere l’ex genero di Suharto. Il governo di Prabowo riflette sempre di più per toni e strategia quello dell’ex dittatore. Attraverso una miscela ben dosata di nazionalismo, centralizzazione e alleanze trasversali, Prabowo sta riportando in vita il modello dell’Ordine nuovo.

Nell’agone politico ha consolidato una coalizione di supermaggioranza che nei fatti neutralizza l’opposizione. Esponenti rilevanti di partiti rivali sono stati cooptati nella sua amministrazione, garantendo la stabilità a discapito della vita democratica. Il parlamento rischia ancora una volta di essere solo un megafono dell’esecutivo, mentre le voci critiche della società civile sono marginalizzate o intimidite. Si sta delineando non tanto un autoritarismo esplicito, quanto una forma più sottile di controllo che ricorda i metodi dell’epoca Suharto, quando l’armonia si raggiungeva reprimendo il dissenso. Gli stessi echi sono riconoscibili nella sfera economica. Le politiche di Prabowo enfatizzano l’autosufficienza nazionale e l’industrializzazione guidata dal nazionalismo economico. Le aziende di stato sono rafforzate in quanto strumenti d’influenza politica ed economica, mentre il capitale privato è disciplinato attraverso un misto di incentivi e pressioni. L’approccio del bastone e della carota nei confronti delle élite economiche, che offre progetti redditizi ad alleati ed estromette i critici, è stato il segno caratteristico della politica economica di Suharto. Questa strategia può dare dei risultati nel breve periodo, ma rischia di riportare indietro l’Indonesia: durante il periodo dell’Ordine nuovo, la crescita economica avvenne al prezzo di una profonda disuguaglianza e di una corruzione sistemica.

Gli eroi nazionali dovrebbero incarnare la bussola morale di un paese. Presentare Suharto come tale significa insegnare a una nuova generazione che l’integrità morale si può misurare in base al successo e che il potere assolve le malefatte. Nella democrazia indonesiana le istituzioni risentono ancora dei danni strutturali inflitti durante l’Ordine nuovo. La corruzione continua a essere pervasiva, l’esercito mantiene un’influenza sulle questioni civili e la magistratura fa spesso fatica ad affermare la sua indipendenza. In questo paesaggio il simbolismo riveste un’importanza enorme: elevare Suharto allo status di eroe annacqua il passato e indebolisce anche le fondamenta dell’identità democratica indonesiana.

L’Indonesia è a un bivio. La democrazia non può prosperare quando la storia viene riscritta per essere al servizio del presente. La caduta di Suharto nel 1998 è stata una seconda fondazione della repubblica, basata sul coraggio dei cittadini comuni che si sono rifiutati di vivere nella paura. Tradire quel ricordo significa tradire la stessa Indonesia. Suharto non è uno degli eroi di questa nazione, ma una delle lezioni da ricordare. ◆ gim

Ronny P Sasmita è un ricercatore del centro studi Indonesia strategic and economics action institution di Jakarta.

Un evento traumatico

◆ “Per la nazione Suharto non può che essere un falso eroe, almeno finché non sarà chiarito il suo ruolo nelle campagne di sterminio di massa condotte dai militari a metà degli anni sessanta contro i simpatizzanti comunisti che lo portarono alla presa del potere nel 1967”, scrive il Jakarta Post in un editoriale. “Non sapremo mai il numero esatto delle vittime, perché l’esercito continua a impedire qualsiasi tentativo di fare luce sulle circostanze della lotta politica che costrinse Sukarno, il primo presidente dell’Indonesia, a cedere il potere a Suharto. Ma sappiamo che fu un evento sanguinoso e traumatico, che ha lasciato un segno profondo nella psiche della nazione”.


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati