Alle pendici di una collina ricoperta da una fitta vegetazione, l’ecologo Rawiri Walsh appoggia con delicatezza una gabbia di legno. La apre, afferra per le zampe uno dei due kiwi che contiene, lo tira fuori e lo prende in braccio: è un uccello marrone chiaro, grande all’incirca come un pallone da rugby. Il kiwi chiude gli occhi per proteggersi dalla luce del sole, improvvisamente intensa. Scuote agitato la testa, muovendo di qua e di là il caratteristico becco allungato. “Buono”, gli sussurra Walsh, un uomo alto con i capelli rossicci raccolti in una crocchia. Poi s’inoltra tra i cespugli e lascia l’uccello, un maschio, in una tana preparata in precedenza. Poco dopo fa la stessa cosa con il secondo kiwi, una femmina.
Qui, in un pomeriggio estivo a ovest di Wellington, la capitale della Nuova Zelanda, i kiwi si riprenderanno dal lungo viaggio in auto per poi andare alla scoperta del loro nuovo habitat. La riserva per kiwi dove Walsh è andato a prendere gli uccelli, infatti, si trova molto più a nord. D’ora in poi questi animali schivi vivranno liberi in queste colline verdeggianti a mezz’ora di auto dal centro della città. Qui troveranno insetti, vermi e frutti a sufficienza. È questo l’obiettivo di Walsh e dei suoi colleghi, che nel pomeriggio liberano altri sette esemplari poco più in là sulle colline: riportare i kiwi a vivere nei dintorni di Wellington.
Prima che in Nuova Zelanda arrivassero gli esseri umani, su queste isole dalla forma allungata nell’oceano Pacifico vivevano milioni di kiwi. Con l’arrivo dei predatori esotici, però, la popolazione diminuì rapidamente. I maori, che giunsero probabilmente nel tredicesimo secolo e furono i primi abitanti, portarono dei ratti a bordo delle loro canoe. Cinquecento anni dopo arrivarono gli europei, e insieme a loro animali come cani, ermellini, gatti e furetti. Furono quelle specie esotiche a fare piazza pulita dei vulnerabili kiwi, uccelli che non sanno volare e si sono completamente adattati alla vita a terra. Attualmente si stima che rimangano solo circa settantamila esemplari sparsi su piccole isole, chiusi negli zoo o protetti dietro ai recinti delle riserve naturali.
Nel 2017 un gruppo di ambientalisti arrivò a Wellington con l’ambizioso progetto di reintrodurre i kiwi, che non erano più presenti nella zona da oltre un secolo. “Questi animali per noi sono molto importanti”, racconta Paul Ward, un uomo allegro che guida il gruppo. “Il kiwi è il simbolo della Nuova Zelanda. La nostra squadra nazionale di rugby prende il nome da lui e anche noi, come popolo. Insomma, è un’icona nazionale. Non volevamo restare a guardare mentre questo uccello unico andava verso l’estinzione”.
Ward ha avviato il Capital kiwi project. Con un finanziamento pubblico di qualche milione e alcune donazioni private, il gruppetto si è messo all’opera per far ritornare i kiwi nella loro zona naturale a ovest di Wellington. Capital kiwi ha scelto un metodo particolare: invece di far crescere gli uccelli in un ambiente protetto e poi metterli in libertà, ha deciso di eliminare i predatori nella regione individuata.
Nemico numero uno
Su un territorio di 24mila ettari – terreni agricoli, parchi, spiagge, un parco eolico – sono state disseminate 4.600 trappole che dovrebbero servire soprattutto per togliere di mezzo i numerosi ermellini. Centinaia di volontari controllano regolarmente le trappole. “L’ermellino è il nemico numero uno del kiwi”, dice Ward. Ormai ne sono stati uccisi migliaia. “Certo, anche loro meritano rispetto. Purtroppo, però, si trovano nel posto sbagliato. Noi scegliamo i kiwi. Questo è l’unico luogo sulla Terra dove vivono. La Nuova Zelanda è casa loro”.
Alla fine del 2022, quando ormai nella zona gli ermellini erano quasi del tutto scomparsi, il gruppo guidato da Ward ha preso i primi kiwi da una riserva e li ha liberati sulle colline. I tredici uccelli sono stati monitorati e parevano cavarsela benissimo. Sei mesi dopo ne sono stati liberati altri cinquanta, e in seguito altri ancora. Alla fine del 2023 sono arrivate ottime notizie: erano nati i primi due pulcini. Ne hanno parlato in tutto il mondo. Paul Ward, Rawiri Walsh e i loro dieci colleghi, però, erano preoccupati: sarebbero riusciti a raggiungere l’anno di età?
I kiwi adulti pesano circa 3,5 chili e con i loro forti artigli, lunghi quasi come la mano di un essere umano, possono tener testa a quasi tutti i nemici. Le uova sono grandi quasi come quelle di struzzo, per cui gli ermellini non riescono a prenderle in bocca. Il problema sono i kiwi giovani. “I pulcini sono molto vulnerabili”, racconta Ward. “Solo quando arrivano a pesare 1,2 chili, dopo circa dieci mesi, sono abbastanza forti da difendersi. Quello è il loro ‘peso da combattimento’. Per far crescere la popolazione, almeno un esemplare su cinque deve raggiungere quel peso. Quando abbiamo visto che entrambi i piccoli nati alla fine del 2023 ce l’avevano fatta, per noi è stata una grande notizia. Perché significa che il nostro metodo – la lotta ai predatori su vasta scala – funziona”.
Finora nei dintorni di Wellington sono stati liberati 159 kiwi. Venti sono monitorati. Hanno avuto tredici pulcini, e sono tutti ancora vivi. “È fantastico. Va molto meglio di quanto ci aspettassimo”, dice Ward raggiante. Per gli abitanti di Wellington il ritorno dei kiwi è così speciale che la tribù maori locale, la te ati awa, organizza cerimonie di benvenuto per gli uccelli. Ne organizzano una anche per i nove esemplari liberati oggi pomeriggio. Per prima cosa si dà il benvenuto agli animali, portando i kiwi nelle loro gabbie fino all’edificio di legno che serve come centro riunioni, dove all’ingresso quattro donne cantano piano: “Benvenuti tesori preziosi, benvenuti meravigliosi regali”.
Dentro, nella sala dal soffitto alto con il pavimento di legno coperto di tappeti e i ritratti in bianco e nero degli antenati appesi alle pareti, il capo della tribù Kura Moeahu saluta uno a uno i circa centocinquanta invitati. Quando tutti si sono seduti, dice: “I kiwi sono regali della notte, infatti è di notte che sono attivi. Sembrano animali amichevoli e teneri, ma possono essere piuttosto aggressivi. Se tu sei gentile con loro, loro sono gentili con te. Ma se li fai arrabbiare, diventano cattivi. Con gli esseri umani succede lo stesso. Dobbiamo avere rispetto per i kiwi e per noi stessi”.
◆ Il ritorno del kiwi nella capitale neozelandese rientra in un ambizioso programma governativo che si prefigge di sterminare tutti gli ermellini, i ratti e gli opossum entro il 2050. Queste tre specie sono considerate le più dannose per la flora e la fauna endemiche. L’intero paese è disseminato di trappole. Da quando i mammiferi che cacciano a terra sono arrivati in Nuova Zelanda molti uccelli, rettili e rane endemici sono scomparsi; semplicemente, non erano in grado di difendersi. Si stima che i predatori uccidano ogni anno 25 milioni di uccelli autoctoni. In un paio di isolette l’obiettivo è già stato raggiunto. Questa strategia non è esente da critiche. La campagna del governo, infatti, implica l’uso di veleni che provocano molta sofferenza e secondo i difensori dei diritti degli animali finora è stata condotta senza considerare le questioni etiche che solleva. Trouw, National Geographic
Dopo di lui prende la parola la sindaca di Wellington, Tory Whanau. Loda il “lavoro fenomenale” di Capital kiwi e dice che il ritorno degli uccelli nelle colline rende la sua città “speciale, in Nuova Zelanda e in tutto il mondo”. Esclama ridendo: “Tutti noi dobbiamo esserne fieri!”. Applausi dell’intera sala. Poi due esemplari vengono portati in giro in modo che tutti possano vederli; gran parte dei presenti non ne ha mai visto uno dal vivo.
Cani al guinzaglio
Paul Ward è soddisfatto di come sta andando il suo progetto. In tutto, entro la fine del 2026, saranno stati liberati 250 kiwi. “Con questi numeri siamo convinti di poter far crescere la popolazione”. Il pericolo maggiore al momento sono i cani lasciati sciolti a passeggio, ecco perché nel nuovo habitat dei kiwi i cani andranno tenuti al guinzaglio.
L’ambientalista racconta che il richiamo acuto del kiwi somiglia al “grido di guerra di un vichingo”. Ward prevede che i kiwi a Wellington si moltiplicheranno e che diventerà normale incontrarli sui sentieri, sui campi da golf e nei giardini. Ward aggiunge, pieno d’orgoglio: “Spero che tra cinque anni la gente si lamenterà perché fanno troppo rumore. Allora potrò dire di aver portato a termine il mio compito”. ◆ oa
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Questo articolo è uscito sul numero 1610 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati