Finora non avevo capito perché la Romania fosse considerata un paese dei Balcani. Credevo che fosse stata inserita in questa categoria perché non c’era di meglio. Un paese che non corrisponde perfettamente all’immagine della Mitteleuropa, segnata dall’eredità dell’impero austro-ungarico, ma nemmeno rientra in quella degli stati nati dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica: “Allora mettiamola nei Balcani”. Credevo fosse andata più o meno così.
Prima d’ora i luoghi visitati nei miei viaggi in Romania avevano confermato questa mia convinzione. Oradea? Sibiu? Queste città non hanno nulla di Sarajevo o Podgorica. Cluj-Napoca? Ha un gusto tutto mitteleuropeo. La regione dei siculi, in Transilvania? Ha un sapore unico, ma non quello dei Balcani.
Sono dovuto arrivare fino a Bucarest per capire perché la Romania rientra nella stessa regione a cui appartengono la Bulgaria e la Serbia. Ci tengo a sottolineare che la parola “Balcani” non ha alcun giudizio di valore per me. Non come di solito la usano in Ungheria. Per decenni nei Balcani alcune aree geografiche hanno prosperato in modo invidiabile rispetto all’Ungheria. Basti pensare alla ex Jugoslavia. Inoltre nei rapporti tra le persone ci sono ancora oggi aspetti che noi faremmo bene ad adottare. Proprio come il carattere mitteleuropeo o lo spirito mediterraneo, quello balcanico è un patrimonio culturale che ha lati positivi e negativi. Non è migliore né peggiore di altri.
Confronto con Budapest
È stato alla stazione di Bucarest nord che ho sentito per la prima volta di essere arrivato in un posto diverso da quello da cui ero partito. In precedenza avevo incontrato solo aeroporti con sale d’attesa molto curate e stazioni con treni dai vagoni moderni e impeccabili. E con la possibilità di arrivare comodamente dall’aeroporto al centro della città in meno di mezz’ora e per pochi lei. Chi ha provato a fare la stessa cosa a Budapest sa che tutto questo è straordinario.
La stazione della capitale romena mi ha accolto in un mondo diverso, con una carrellata di colori. I vasti ambienti costruiti su una struttura di ferro ricordano un mercato coperto. Le persone di varia nazionalità che popolano la pianura romena vanno e vengono oppure si accampano qui ad aspettare. Le file di negozi sono simili a quelle a cui siamo abituati nelle stazioni ungheresi, ma il brusio che riempie lo spazio è più vivace e allo stesso tempo più intimo. In piedi davanti al tabellone degli orari ci sono, fianco a fianco, una famiglia numerosa di etnia rom, del sottogruppo Gábor, uno studente universitario diretto a Brașov e una nonna che saluta i suoi nipoti. In un’altra occasione mi sono imbattuto negli ultrà della Steaua che lanciavano petardi sui binari cantando allegramente, finché la polizia non li ha spinti dentro a un treno. Sul tabellone degli arrivi c’è una colonna a parte per i ritardi. Nel tempo trascorso in stazione solo una volta ho visto indicato un ritardo di cinque minuti. E anche se non basta per trarre conclusioni sulla puntualità dei treni romeni, ho comunque pensato che in Ungheria siamo abituati in un altro modo.
Uscendo dall’ingresso principale della stazione sono stato accolto da uno spettacolo sorprendente, come se all’improvviso fossi a Belgrado. L’atmosfera della capitale serba si riflette nei palazzi grigi di epoca socialista e negli ampi viali percorsi da alcuni autobus vecchi e da altri moderni. Nel parcheggio ci sono dei tassisti invadenti che a una rapida occhiata non ispirano fiducia. Cercano di attirare i passeggeri in arrivo. Per le strade i passanti sembravano comparse dell’Europa occidentale finite per caso nel set di un film ambientato negli anni ottanta in Europa orientale. Durante le mie passeggiate ho dovuto ripetermi più volte che non ero a Belgrado.
A questo punto rispondo anche alla domanda che mi è stata rivolta più spesso da quando sono tornato in Ungheria: se Bucarest e Budapest si somigliano. Ci sono delle similitudini dal punto di vista del numero di abitanti (nella seconda sono un po’ di più), degli stipendi (quasi uguali), dei prezzi (Bucarest mi pare un po’ più economica) e forse per quanto riguarda la pulizia degli spazi pubblici (nella capitale romena c’è meno spazzatura per le strade). A parte questi aspetti, però, il confronto finisce qui perché le due città sono due mondi a parte. Nemmeno dal punto di vista turistico sono rivali. Bucarest è bella in un modo diverso.
Il forte terremoto che nel 1977 causò più di 1.500 morti e provocò danni enormi anche nella capitale romena, permise a Nicolae Ceaușescu di avviare un programma edilizio grandioso, trasformando a sua immagine le zone del centro. Fece costruire caseggiati residenziali moderni lungo i larghi viali a raggiera disegnati sul modello di Parigi, e in fondo all’equivalente romeno del viale Andrássy di Budapest fu edificato un palazzo così imponente che potrebbe ospitare l’intero sistema delle istituzioni europee se un giorno oltre a Bruxelles e Strasburgo si scegliesse anche Bucarest come terzo centro della comunità europea.
Se chiudo gli occhi e penso a Bucarest, mi compaiono davanti i grigi palazzoni allineati lungo le strade ampie. Quali sensazioni evochino questi edifici è una questione di gusti: personalmente non ci trovo quel romanticismo da grande città che sono abituato a cercare come turista. Naturalmente per qualcun altro l’effetto può essere diverso. Infatti ho la sensazione che nei prossimi anni questi edifici faranno bene al panorama della città. Oggi sembrano ancora grigi e senza fantasia, ma sono sicuro che acquisteranno lentamente una patina che toccherà l’animo dei nostri nipoti, proprio come i palazzi di Budapest affascinano oggi chi ci abita, anche se poco più di cento anni fa una parte significativa della popolazione non ne aveva affatto una buona opinione.
Bucarest dà l’impressione di essere una città che guarda più al futuro e meno al passato. Anche se nel centro storico si incontrano splendidi edifici ottocenteschi e nei quartieri circostanti rimangono delle ville – per la maggior parte in pessime condizioni – a dominare il panorama urbano sono i palazzoni. Per far tornare il centro storico al suo antico splendore bisognerebbe spendere parecchi soldi. Eppure, mi sembra che la Romania abbia le qualità giuste per rimettere a posto passo dopo passo le strade più antiche e infondergli nuova vita, come ha già fatto in altre grandi città di provincia. Pure gli edifici dei quartieri periferici sarebbero da risistemare, ma il loro aspetto è decisamente più vario.
Ogni anno più bella
La gente qui a Bucarest mi è sembrata un po’ più fredda rispetto agli ungheresi. Certo è possibile che si tratti solo di differenze nelle usanze del posto. Nei negozi e nei locali di solito non ci si saluta, mentre al ristorante i camerieri si limitano in genere allo stretto necessario e spesso dicono che le domande dei turisti sono fastidiose. Dopo la visita guidata nella villa di Ceaușescu sono andato nel negozio del museo e lì il linguaggio del corpo della commessa mi ha fatto subito capire che la mia presenza non le era particolarmente gradita. Quando sono uscito è corsa a chiudere la porta a chiave, come se temesse che ad altri turisti potesse venire voglia di acquistare un souvenir.
Girando per la città ho avuto ogni tanto l’impressione che molti sbrigassero le loro faccende svogliati e di fretta in quella enorme fabbrica di nome di Bucarest. Io mi sentivo come il bambino che i genitori hanno portato con sé al lavoro: vorrebbe curiosare tra le tante cose interessanti, ma finisce per stare sempre in mezzo ai piedi.
Ciononostante, consiglio a tutti di andare a vedere con i propri occhi la capitale romena. Perché come ha detto una persona che ha vissuto vari anni in Spagna ed è tornata a casa dopo una lunga assenza: “Bucarest non è magica come Budapest o Praga, ma anno dopo anno diventa sempre più bella”. ◆ ct
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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati