C’è uno strano fenomeno che da più di duecento anni unisce la geopolitica e il mondo della moda: ogni volta che aumentano le guerre crescono anche le vendite di abiti militari tra le persone comuni, soprattutto nei paesi non coinvolti nei conflitti. Il fenomeno arriva al paradosso che gli abiti da combattimento diventano spesso l’abbigliamento dei pacifisti, come quando negli anni settanta gli attivisti marciavano per chiedere la fine della guerra in Vietnam vestiti con giacche verdi oliva e tute mimetiche. Da un lato dietro il fenomeno c’è una ragione tecnica: in ogni paese in guerra si producono più abiti militari per alimentare l’economia interna. Ma dall’altro le divise diventano simboli d’identità e appartenenza non necessariamente nazionalista: anche le gang criminali o i gruppi musicali possono usare quel tipo di vestiti. La cosa interessante è che gli abiti che i soldati indossano in battaglia, i loro colori, i modelli e anche le fantasie dei tessuti mimetici non derivano da sofisticati studi, ma dalla moda settecentesca di imitare l’abbigliamento delle guide native americane che accompgnavano i bianchi nelle escursioni. La nuova stagione di Article of interest, un bellissimo podcast che racconta i fenomeni poco conosciuti del fashion design, analizza la tendenza di vestirsi come se fossimo in guerra anche quando andiamo al supermercato.
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Questo articolo è uscito sul numero 1640 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati